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Trump e la scommessa sulle tasse (basse)

Analisi e controanalisi di vario genere e natura, magari anche sedute di autocoscienza collettiva: tutto entra nelle analisi del «day after» delle elezioni americane. Ma volendo ridurre proprio all’osso, in poche battute, le tante questioni e i tanti problemi, focalizzando l’attenzione sul programma economico del candidato repubblicano e futuro presidente Donald Trump, cos’è che va particolarmente tenuto d'occhio? 

«C’è un elemento che è stato tutto sommato poco considerato dagli analisti (e la cosa colpisce)», commenta l'economista Francesco Daveri. «Si tratta delle promesse di Donald Trump di riduzione delle imposte. A differenza della Clinton che prometteva maggiore eguaglianza di opportunità, Trump è stato molto concreto nel suo programma economico, sia per quanto riguarda la promessa di supporto alla classe media (quella dove si radica il malessere alla radice dell'escalation di Trump e, direi, non solo...) sia sul fronte delle aziende. La promessa era ed è chiara: aliquote sui redditi individuali ridotte al 12 per cento per i redditi dai 29.000 ai 54.000 dollari; 3 punti verranno tagliati anche ai redditi tra i 91.000 e i 154.000 dollari. Per le aziende, oltre alla deregulation, il piano di Trump prevede la detassazione del reddito d’impresa dal 35 al 15 per cento».

Insomma, un «meno tasse per tutti» che pare abbia sortito grandi effetti, contribuendo a rendere attrattivo il voto per Trump.

«Certamente, prosegue Daveri, questo è un elemento chiave per far percepire la concreta possibilità di uno nuovo slancio al paese. Ma c’è, tra le tante, un’incognita non da poco: nel suo programma si parla di riequilibrio dei conti con l’estero, cosa difficilmente perseguibile con una politica fiscale così espansiva come promesso. Il tentativo è senz’altro, per quanto riguarda le aziende, di spingere sul rientro dei capitali da iniettare nel tessuto economico americano, riducendo il fenomeno delle delocalizzazioni. D’altro canto, il più che probabile apprezzamento del dollaro significherà maggiori oneri per le importazioni, che dovrebbero aumentare per lo stimolo alla domanda interna, e dunque più deficit nei conti con l’estero».

La partita è aperta, tra il Trump candidato e il Trump presidente.

(om)

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