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19/10/2016 Daniela Montemerlo

Onori e oneri di un imprenditore:

riflessioni da un testamento

Nei giorni scorsi è stato reso pubblico il testamento del Dottor Bernardo Caprotti, fondatore e azionista di controllo di Esselunga e recentemente scomparso, che segna un capitolo fondamentale di una lunga vicenda costellata da successi aziendali ma anche da vicissitudini familiari che hanno avuto ampio risalto sulla stampa. 

Non intendo in alcun modo entrare nel merito della vicenda ma piuttosto prenderne spunto per alcune riflessioni generali sul ruolo imprenditoriale – in particolare quando si combina a quello di soci di controllo – e sulle sue implicazioni per chi già lo svolge, per chi si appresta a svolgerlo e per chi con loro collabora.

 

Tre riflessioni sul ruolo imprenditoriale

Gold scales of justice isolated on whiteLa prima riflessione riguarda la compresenza inevitabile e, insieme, l’entità dei benefici e dei costi personali del ruolo imprenditoriale. Un ruolo che, se interpretato con successo, catalizza evidentemente grandi onori, fatti di prosperità economica, di prestigio e di visibilità, di potere. Ma altrettanto grandi sono gli oneri del ruolo, fatti di un lavoro duro e pesante (per utilizzare le stesse espressioni del Dottor Caprotti) per le enormi responsabilità che esso porta con sé e che implicano a loro volta decisioni importanti da prendersi in solitudine, in un ambiente molto spesso turbolento e imprevedibile e, ultimo ma non ultimo, tra invidie e opportunismi. Emergono da tutto il testamento l’orgoglio per i risultati raggiunti accanto alla fatica e, in taluni casi, alla sofferenza che l’assunzione delle relative responsabilità comporta anche per il solo fatto di “doverle” assumere, come vedremo meglio in seguito. E sono netti i riferimenti alle difficoltà di contesto, ai “cortigiani” e all’Italia come “Paese cattolico che non tollera il successo” (e al riguardo mi chiedo se il problema non sia più ampio, per soggetti e per valori o sedicenti tali).

La seconda riflessione riguarda la “magnitudo” delle responsabilità imprenditoriali e delle decisioni che ne derivano. Una magnitudo che deriva dalla rilevanza economica e sociale dell’impresa, la cui “tranquillità e continuità” (altre due espressioni usate dal Dottor Caprotti) realizzano un bene comune a una pluralità di stakeholder. Traspare, anche qui, chiara e forte dal testamento la preoccupazione per un “bene di tutti, in primis le decine di migliaia di persone i cui destini dipendono da noi (sottinteso: da noi controlling owner)”. In questo caso si tratta di decine di migliaia di dipendenti, di una rete vastissima di aziende fornitrici e via dicendo; ma la concezione dell’impresa come istituto fatto per realizzare nel tempo un bene comune a più stakeholder e, proprio in quanto tale, indispensabile a uno sviluppo duraturo dell’impresa stessa è un principio di buon governo che vale indipendentemente dalla dimensione e dalla complessità aziendali e anche dalla natura della proprietà che è oggetto della riflessione che segue.

17rhx3mevumo9jpgLa terza riflessione attiene alla natura caleidoscopica e al conseguente “elevamento a potenza” della magnitudo delle responsabilità degli imprenditori e imprenditrici familiari data la loro tripla veste di capi azienda, di soci di controllo e di componenti di una famiglia (una veste, in verità, ancora più che tripla data l’articolazione possibile delle relazioni soprattutto in ambito familiare). In particolare, da capi azienda e soci di controllo occorre assicurare le migliori condizioni in termini di leadership e di governabilità. Da “capi famiglia” occorre preoccuparsi della crescita dei propri cari, figli in primis, e della trasmissione equa del patrimonio agli eredi tutti. E l’intreccio dei ruoli può portare a scelte estremamente difficili come quella di cambiare orientamento rispetto ai ruoli di vertice futuri prefigurati sino ad un determinato stadio dell’evoluzione aziendale e come quella di applicare una logica “differenziata” tra gli eredi nella trasmissione delle quote proprietarie.

L’importanza di decidere a 360°: due linee guida

A tale proposito, non esistono soluzioni predeterminate in merito a “che cosa” decidere; non esiste mai un’unica alternativa e ogni scelta deve essere commisurata alle esigenze, attuali e prospettiche, dell’impresa e alle caratteristiche dei diversi “attori protagonisti”. Ma l’esperienza suggerisce due linee guida.

In primo luogo, occorre decidere leadership e governance aziendali future riducendo il più possibile le inerzie e avendo come “stelle polari” il bene dell’impresa e delle persone coinvolte. Molti imprenditori e imprenditrici, nelle situazioni difficili al crocevia tra impresa, assetto societario e famiglia (o famiglie), maturano tutte le loro valutazioni aziendali e proprietarie ma faticano poi a compiere i passi decisivi della presa di decisione e delle azioni e comunicazioni che ne conseguono perché “frenati” dal timore di rovinare rapporti familiari o, comunque, relazioni di lunga data (magari anche con top manager non familiari “veterani” con cui si è collaborato una vita intera tanto da considerarli un’appendice della famiglia). 
La fatica è assolutamente comprensibile: purtroppo tanti casi mostrano che l’assenza di decisioni, o una loro scarsa pianificazione o il ritardo nel prenderle o nel realizzarle possono mettere a repentaglio il bene dell’impresa e anche delle persone più direttamente interessate dalle scelte medesime, soprattutto in caso di aspettative a lungo maturate e poi, per qualsiasi ragione, non confermate. Senza contare poi che la preoccupazione per alcuni familiari (o top manager di lungo corso come sopra accennato) può distogliere l’attenzione dagli altri familiari e, in generale, dagli altri soggetti rilevanti.decision-making

In secondo luogo, anche in mezzo alle difficoltà menzionate è fondamentale compiere scelte aziendali e proprietarie che salvaguardino i diritti legittimi di tutti gli eredi e, per quanto possibile, le relazioni familiari con un’attenzione speciale a chi abbia ricevuto una parte del patrimonio, nelle sue varie componenti economiche e non economiche, diversa da quanto atteso. Trascendendo, ancora una volta, il caso specifico (che peraltro contiene espressioni di attenzione nel senso citato), occorre un impegno diretto: a maturare valutazioni personali e approfondite grazie all’ascolto di tutti gli attori di rilievo all’interno e all’esterno della famiglia; a decidere, anche qui, di conseguenza senza “abdicare” anche ai professionisti più qualificati; a scegliere attentamente questi ultimi in modo da disporre di un supporto valido dal punto di vista sia tecnico che valoriale data la delicatezza delle tematiche in oggetto; a curare, sempre in prima persona, la spiegazione delle scelte compiute a tutti gli interessati.

La trappola da cui guardarsi, particolarmente insidiosa in una vita professionale così impegnativa e gravosa come osservato sopra, è la tentazione di concentrarsi sull’ambito e sulle responsabilità strettamente aziendali e gestionali, con il rischio di decisioni apicali (o di non – decisioni, o di decisioni tardive) che finiscono, in ultima analisi, per penalizzare l’intero sistema famiglia-proprietà-impresa in direzione esattamente contraria rispetto alle intenzioni degli imprenditori. 

Per converso, un impegno sulle scelte prioritarie nei tre ambiti di responsabilità e nella loro intersezione non può naturalmente azzerare le difficoltà e le sofferenze, tante sono le variabili in gioco, ma può certamente contribuire a mitigarle e a trovare soluzioni win-win. Soluzioni che, tra i vari stakeholder, gli imprenditori sono i primi a meritarsi, per goderne i frutti in vita per quanto possibile e per perpetuare la loro eredità al meglio.

 

Fonte: Ideas of Management on Stretegy and Entrepreneurship 

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