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Fare impresa nel food: il fattore Serendipity
Nel paese simbolo della tradizione culinaria mediterranea, c'è spazio per fare innovazione nel food retail. Ma ci vogliono inventiva, pragmatismo imprenditoriale e la capacità di trarre il meglio da ogni esperienza passata.
Questa la testimonianza di Flower Burger, la prima catena vegan-burger gourmet in Italia, giunta al successo a solo un anno dal lancio e in fase di rapida espansione a livello italiano. Ne parliamo con Matteo Toto, 30 anni, che ha deciso di lanciarsi in questa avventura imprenditoriale dopo molteplici esperienze lavorative nella ristorazione, nella vendita e nell'export management.
Come è nato il concetto Flower Burger?
Ero a Varsavia, in trasferta, quando ero export manager per un'impresa di distribuzione di regalistica aziendale. Mi fermai in un locale vegan dove facevano hamburger buonissimi. Il locale, in un paese per tradizione carnivoro, era pienissimo e soprattutto il prodotto era molto buono. Quindi il concept mi incuriosì sin da subito.
Nel frattempo la mia vita stava cambiando, stavo per entrare in società in una nuova azienda. Sarebbe stato il mio ennesimo cambio di vita. Diedi le dimissioni e passai tre mesi a fare il passaggio di consegne. Ma al momento dell’acquisizione parziale della nuova azienda, ci fu un problema con i soci precedenti e la mia operazione non giunse a compimento.
Fu un periodo molto buio per me. Grazie a questo “imprevisto” decisi di cambiare vita, di nuovo. Mi ricordai di Varsavia e iniziai a preparare tutto il materiale per riuscire nell’impresa. Volevo fare meglio di quello che avevo visto. Iniziai a preparare il business plan, a cercare lo spazio per il locare, a lavorare sul concetto di Flower Burger a 360°; il primo investitore fu il mio ex capo.
Flower Burger nacque dunque mettendo insieme le mie esperienze e la voglia di creare un locale che possa attirare tutti. Il concetto nasce dalla volontà di portare sul mercato la consapevolezza che si può mangiare in modo gustoso, colorato e divertente anche solo utilizzando i verdure, legumi e cereali.
Il nome da cosa ti è stato ispirato?
Non volevo che il concetto vegano (io non sono vegano) fosse visto come moralizzatore, volevo ispirare leggerezza e divertimento. Spesso i cibi destinati a nicchie di mercato sembrano voler educare il consumatore, per noi è importante attirare tutti. E così ho pensato alla cultura Hippie, che coniugava divertimento e rispetto e attenzione per l’ambiente. Ispirandomi a Flower Power decisi di chiamare il locale Flower Burger.
Guardando il negozio da fuori non si capisce che è vegano, ma si comprende che il cibo è buono, che c’è un clima di spensieratezza. E’ questo quello che vogliamo comunicare. Che chiunque può scegliere di mangiare vegan. Proprio come scegliamo di mangiare giapponese, indiano, cinese, kebab si può scegliere di mangiare vegan.
Avete aperto quattro locali di Flower Burger in meno di un anno, quale è la vostra visione?
Vogliamo fare un prodotto (il vegan burger) e farlo bene in maniera gourmet. Fin dall’inaugurazione del primo locale (ottobre 2015) ho pensato a un modello esportabile e replicabile. Il concept portante è l’home made, dove tutto quello che si mangia si fa nel punto di vendita. Ma ovviamente quando si cresce (abbiamo 2 di proprietà e due in franchising) si giunge velocemente a una sfida: coniugare standardizzazione e artigianalità.
Per riuscire in questa impresa apriremo dei laboratori centralizzati che forniranno il pane e i dischi dei burger a una decina di punti di vendita. La mia visione è a fiore, i negozi saranno i petali e il laboratorio sarà il polline al centro.
Per garantire una qualità alta organizziamo il training direttamente nei punti vendita già aperti e dei corsi online. Cerco di formare i dipendenti a garantire 30 minuti di pace e di esperienza positiva per il cliente. Per ottenere questo clima bisogna creare un ambiente di lavoro buono e rilassato. Bisogna puntare quindi su una buona organizzazione interna, che per esempio ho imparato nella mia esperienza di cameriere a Londra.
Le tue esperienze passate come hanno influito sulle tue scelte imprenditoriali?
Lavoro da quando ho 17 anni e da ogni esperienza ho tratto lezioni che mi sono servite nella mia attuale avventura imprenditoriale. Tutti gli errori e le cadute mi hanno aiutato a essere più forte e consapevole oggi.
Grazie al mio primo lavoro da cameriere ho imparato a capire e impostare i processi di ristorazione. Il lavoro da promoter in un call center mi ha insegnato come vendere e valorizzare a valorizzare le mie idee. L'esperienza di export manager mi ha permesso di conoscere il mondo e la diversità dei mercati. Quando sono stato responsabile di una piccola azienda ho imparato a gestire le persone, l'organizzazione e a leggere i numeri.
Oltre alle esperienze lavorative, anche dal MISA, il Master in Imprenditorialità e Strategia della SDA Bocconi, ho tratto le esperienze alla base di Flower Burger: ogni mese lezione era un capitolo diverso di un libro che mi permetteva di vedere e di capire il mondo delle aziende. Grazie a tutte queste esperienze penso di avere sviluppato una sorta di Business Serendipity, grazie alla quale ho superato la paura di realizzare i miei sogni e a cogliere ogni casualità in maniera positiva.
Ed è grazie anche a queste esperienze se in meno di un anno Flower Burger è tra i primi 50 (su circa 6000) ristoranti di Milano su Tripadvisor!