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Perchè ripensare la ricetta della differenziazione
E’ dagli anni ’80 che studi e ricerche sulle imprese eccellenti propongono come un mantra che, per avere successo nel lungo periodo, bisogna differenziarsi dai concorrenti.
Molte aziende hanno intrapreso una gara, quasi esasperata, nell’offerta di prodotti e servizi sempre più ricercati, talvolta perfino troppo sofisticati per essere compresi appieno dalla propria clientela. Altre invece hanno ridisegnato le attività interne per costruire un modello di business che le renda differenti. Altre ancora hanno puntato prevalentemente sulla costruzione di un’immagine attrattiva.
In molti casi l’obiettivo principale perseguito sembra essere stupire e sorprendere.
Dopo più di quarant’anni di pratica, la costruzione di un brand forte e riconosciuto (Salvatore Ferragamo o Illy solo per citarne un paio), un’organizzazione della supply chain differente rispetto ai concorrenti (per esempio Zara), o un sistema d’offerta unico (si pensi ai casi di riferimento del design italiano, come Kartell o Poltrona Frau) rappresentano ancora elementi cruciali per avere successo nell’attuale contesto competitivo?
Andare oltre la concezione tradizionale di differenziazione
Finalmente c’è chi come Vermeueln, professore di strategia della London Business School, ha cominciato a porsi in maniera più puntuale questa domanda arrivando a mettere in dubbio la validità di una strategia di differenziazione, sopratutto in mercati nei quali per il cliente non sia semplice identificare la qualità del prodotto e/o del servizio offerto. Vermeueln fa riferimento alle società di consulenza strategica, le big three.
I risultati prodotti da McKinsey, BCG o Bain, non dipendono dagli eccellenti servizi di consulenza direzionale, consideranti alla stregua di una condizione necessaria, quanto dallo status costruito nel tempo attraverso la valorizzazione di un complesso sistema relazionale tra dipendenti, ex dipendenti e clientela. Semplificando e generalizzando il concetto, il motore principale dei risultati è da ricercare nelle relazioni costruite più che nella sofisticatezza del prodotto messo a punto che, spesso, risulta assai similare a quello dei diretti concorrenti.
Più in generale, appare evidente che anche la più tradizionale dicotomia fra costo e differenziazione ha assunto, nel tempo, contorni sempre più sfumati.
Questo da quando alcuni importanti realtà, come IKEA e Zara per nominare i casi più citati, hanno costruito un modello di business che combina, in un complesso sistema, attenzione all’efficienza e creazione di unicità percepita per i clienti. Nel complesso contesto competitivo attuale, anche i grandi gruppi del lusso, come LVMH e Richemont per citarne alcuni, maestri nell’arte della differenziazione, hanno rivolto maggiormente la loro attenzione verso l’efficienza aziendale.
Ripartire dalla cultura e dai valori, con semplicità
Dando per superata la storica dicotomia, dobbiamo quindi interrogarci su quali sono le chiavi per costruire una strategia che consenta di aver successo in questi anni turbolenti. Osservando le scelte compiute dalle imprese eccellenti, la strada di riferimento è legata alla valorizzazione delle competenze e delle risorse aziendali attraverso una strategia chiara, semplice e coerente, che sappia adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente esterno. Gli obiettivi devono essere semplici da trasmettere e in linea con valori e cultura aziendale. La chiave, quindi, sta nella semplicità e chiarezza della direzione.
Anche in questo caso, si può trarre ispirazione dalle aziende che operano in contesti simbolici ove cultura e valori aziendali assumono un ruolo cruciale non solo all’interno ma anche all’esterno. Bulgari, Cartier e Tiffany sono emblematiche. Pur offrendo tutte e tre collezioni di gioielleria, il core business, rappresentano identità, culture e valori fra loro assai differenti con cui la clientela si identifica, che trovano declinazione nell’estetica dei prodotti offerti, nelle campagne di comunicazione e nell’architettura dei punti vendita.
Costruire un successo duraturo richiede quindi la costruzione di elementi di distintività dinamici – di prodotto, di processo o di modello aziendale – ma anche la capacità di farli conoscere e trasmettere all’interno dell’azienda, per facilitarne condivisione e messa in pratica, ed anche all’esterno, non solo ai clienti ma a tutti i potenziali portatori di interesse.
Si pensi al ruolo sempre più rilevante dello storytelling, utilizzato dalle imprese per comunicare le proprie radici, la propria storia, i propri valori ed i propri prodotti per creare conoscenza condivisa e diffusa, anche in un contesto di crescita internazionale. Possiamo citare, per esempio, la storia del Monogram di Louis Vuitton o l’evoluzione della Maison Chanel.
La proiezione verso l’esterno: differenziare attraverso i network relazionali
Focalizzare l’attenzione solo sula dimensione interna della cultura e dei valori non basta. Spesso, infatti, sono le relazioni che si è saputo costruire con i clienti o i canali distributivi o i produttori di prodotti e servizi complementari le principali fonti di spiegazione di una strategia di successo. Il valore creato non è più da ricercare nelle attività svolte bensì nel network di relazioni che un’azienda sa creare, in primis con i propri clienti ed i propri fornitori.
Ryall, professore di strategia alla Rotman School of Management, ne propone una interessante sistematizzazione nel suo Value Captured Model. La distinzione tra costo e differenziazione è definitamente archiviata per lasciare spazio alla creazione e appropriazione del valore all’interno del network di appartenenza. Il successo dipende dalla capacità di bilanciare, in un mix unico e coerente, elementi di distinzione, attenzione all’efficienza e relazioni di potere.
In un contesto turbolento come quello attuale anche la strategia non può che trasformarsi in un dominio complesso, in cui le variabili da considerare per costruire un successo durevole si ampliano coinvolgendo in un tutt’uno le competenze e risorse aziendali ed il potere che può derivare da una rete di relazioni forte e consolidata che possa creare valore per tutti i soggetti coinvolti. Pensiamo ad esempio alla strada che brand come Bulgari, Armani, Versace, hanno intrapreso verso l’hospitality con l’obiettivo, più o meno dichiarato, di estendere le occasioni di relazione con i clienti o con gli appassionati del brand oltre il punto vendita monomarca, toccandone le corde emozionali e coinvolgendoli oltre la semplice esperienza d’acquisto.