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L'organizzazione al tempo della digital transformation
L’impatto del digitale sulle imprese è un tema ormai dibattuto da tempo. Se da un lato sono molti gli articoli e i lavori di ricerca sulla creazione di nuovi business e sulla distruzione di altri dovuti alle tecnologie digitali, dall’altro poco è stato scritto finora sugli impatti organizzativi e operativi.
Il recente articolo pubblicato da MIT Sloan Management Review, «Aligning the Organization for Its Digital Future», fondato su una ricerca svolta nell’autunno del 2015 che ha coinvolto più di 3700 intervistati provenienti da 131 paesi diversi e rappresentanti 27 differenti tipologie di aziende si pone due obiettivi:
- capire l’impatto della trasformazione digitale sugli aspetti organizzativi;
- individuare una serie di misure in grado di stabilire il grado di maturità digitale.
La domanda cardine che ha guidato la ricerca è stata: se immaginiamo un’organizzazione ideale già completamente trasformata da tecnologie e capabilities digitali che migliorino i processi, coinvolgano i talenti di tutta l’organizzazione e guidino nuovi modelli di business per la generazione di valore, quanto dista la vostra azienda reale da questa rappresentazione ideale della realtà?
Ogni rispondente operava un confronto tra questa azienda ideale e la propria azienda reale posizionando quest’ultima su una scala di scostamento (o maturità percepita) rispetto a quella ideale. La scala di valori è stata ricondotta a tre categorie: iniziale, in sviluppo e in maturazione.
L’articolo riporta una serie di dati interessanti sugli elementi più rilevanti del processo di trasformazione, quali:
- la necessità di agire in maniera determinata per la creazione di una cultura digitale (un aspetto considerato necessario dall’80 per cento delle aziende della categoria «in maturazione» e solo dal 23 per cento di quelle della categoria «iniziale»);
- retention dei livelli più qualificati di management (le aziende in stato «iniziale» vedono a rischio di retention il 30 per cento di tali figure);
- investire sui propri talenti (75 per cento di quelle «in maturazione» rispetto al 14 per cento di quelle «iniziale»);
- la ripartizione degli skill necessari non si discosta molto da quelli richiesti in ogni azienda attenta allo sviluppo della propria leadership interna: visione e capacità di trasformazione (22 per cento), spirito di collaborazione (22 per cento), pensiero innovativo (20 per cento), orientamento al cambiamento (18 per cento), capacità tecnologiche (18 per cento);
- necessità di creare coerenza digitale, ovvero permeare in modo coerente tutta l’organizzazione e tutti i processi con la trasformazione digitale.
Come pura fotografia dello stato delle cose, l’articolo raggiunge il suo scopo.
Risulta invece carente quando si tratta di uscire dalle raccomandazioni generiche, valide per ogni situazione: anche gli esempi riportati non escono da questa genericità e non costituiscono quindi una guida utile, sia nel caso di best practice, sia nell’individuazione delle criticità di percorso incontrate soprattutto dalle aziende più avanti («in maturazione») nel processo di trasformazione.
Al lettore desideroso di qualche raccomandazione approfondita resta un po’ la sensazione di trovarsi di fronte a una conclusione alla Catalano: è meglio essere ricchi, belli e in buona salute, che poveri, brutti e malandati….
(Gianluigi Castelli è Direttore del DEVO Lab della SDA Bocconi; sul n. 3/2016 di Economia & Management ha pubblicato, con Severino Meregalli, Disruptive as usual. Un manifesto per la digital transformation)