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PA: accelerare sulla riforma (e non solo)
Finalmente il Consiglio dei Ministri ha approvato alcuni importanti schemi di decreti legislativi per l’attuazione della Riforma Madia sulla PA. Renzi aveva posto la riforma come priorità ed effettivamente la legge con cui il parlamento aveva affidato al governo il compito di riformare la PA era stata approvata in tempi brevi e, per la prima volta, dopo una raccolta sistematica di pareri e suggerimenti. A una partenza bruciante sono però seguiti tempi tecnici per la predisposizione dei decreti nettamente più lunghi del previsto. Ora i quattro decreti dovranno essere esaminati dal Consiglio di Stato (la giustizia amministrativa), dalle commissioni parlamentari di Camera e Senato e dalla Conferenza Stato-regioni, per poi tornare in Consiglio dei Ministri per l’approvazione finale. Un iter decisamente troppo articolato data l’urgenza delle disposizioni da approvare; tuttavia questa fase può essere un’opportunità per ragionare sulla «riforma delle riforme» e per promuovere un più generale orientamento al cambiamento sostanziale delle pubbliche amministrazioni italiane.
Una radicale riforma della PA italiana è senza dubbio necessaria. Il danno sociale, umano ed economico di uno stato che non riesce a svolgere in modo soddisfacente la funzione di rappresentanza dell’interesse pubblico è enorme. Ne abbiamo tutti testimonianza diretta quando aspettiamo ore per un certificato o quando dobbiamo accettare docenti impreparati e demotivati per i nostri figli o ancora quando siamo costretti a costi assurdi (e a volta ingiustificati) per fare impresa. La riforma della PA deve essere fatta e velocemente, a meno di essere convinti che società complesse, e con spinte individualistiche e particolaristiche molto forti, possano funzionare senza istituzioni pubbliche, cioè senza comuni, stati, Unione Europea, WTO o Nazioni Unite.
La riforma della PA sta procedendo lentamente perché in Italia i processi decisionali pubblici sono troppo farraginosi e spesso attenti alla forma giuridica anziché alla sostanza. Ma non procede anche per ragioni di potere. Una parte dell’alta dirigenza dello stato e uno schieramento politico trasversale ai partiti non vogliono una riforma della Pubblica Amministrazione in grado di renderla più moderna, efficiente ed equa. Non la vogliono perché uno stato che funziona meglio limita le posizioni di rendita, nel pubblico e nel privato, e favorisce un sistema meritocratico basato sulle performance individuali, ma anche sull’effettivo contributo al benessere collettivo.
Pertanto è da auspicarsi che la riforma vada velocemente avanti malgrado alcuni aspetti critici. Eventualmente si potrà intervenire di nuovo nei prossimi anni. Uno degli aspetti più critici è la scelta di adottare un modello di concorsi nazionali per l’abilitazione alla dirigenza pubblica. Il principio che i dirigenti dello stato si reclutino con concorsi nazionali e basati sull’accertamento del merito tramite esami è un tratto essenziale della storia degli stati più forti in Europa e in Asia. Tuttavia la valutazione della professionalità tramite un esame è un modo più adatto ad accertare competenze di natura tecnica o giuridica che di natura manageriale, come quelle richieste per posizioni dirigenziali. Preso atto di questo limite del modello proposto dalla riforma Madia, e visto che la delega data al governo non dà spazi per un ripensamento, il ministro potrebbe comunque lavorare per ammodernare radicalmente il sistema degli esami, prevedendo nuove modalità per valutare le competenze, focalizzandole il più possibile sull’accertamento di esperienze sostanziali (non semplicemente titoli formali) e sull’attitudine a ricoprire posizioni di comando per perseguire l’interesse pubblico.
Per un paese la cui economia stagna da quasi 20 anni, anche a causa di uno stato non all’altezza delle sfide economiche e sociali poste dai grandi cambiamenti in atto, approvare leggi e decreti per riformare la PA è urgente, ma non sufficiente. Non si cambia un sistema fatto di persone, pratiche, routine, ma anche di convincimenti e valori, solo a colpi di norme. La PA si cambia soprattutto dentro le aziende pubbliche, con progetti concreti di cambiamento organizzativo e culturale, valorizzando le persone preparate e motivate che operano sul campo. Le leggi non sono automaticamente il cambiamento; possono solo creare alcune condizioni più facilitanti per promuoverlo e gestirlo, per esempio aprendo spazi per selezionare dirigenti più capaci e onesti o rimuovendo vincoli per permettere di ridisegnare processi amministrativi più snelli e coerenti con le aspettative dei cittadini.
(Giovanni Fattore è Direttore del Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico dell'Università Bocconi)