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Consumo materiali: aziende italiane (quasi) promosse
Stando al recente rapporto More from Less — Material Resource Efficiency in Europe 2015 Overview of Policies, Instruments and Targets in 32 Countries, a cura della Agenzia Europea per l’Ambiente, l’Italia è il paese dell’Unione Europea col più basso uso di risorse materiali pro capite - a livelli paragonabili a quelli della Svizzera - e uno dei paesi col più alto livello di produttività delle risorse (misurata sulla base del rapporto tra PIL e uso delle risorse pro capite). Abbiamo chiesto un commento a Fabio Iraldo, Associate Professor of Management alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e IEFE Research Fellow presso l’Università Bocconi.
L’eccellenza in tema di uso efficiente delle risorse naturali e dei materiali del nostro paese, evidenziata dal rapporto dell'Agenzia Europea per l’Ambiente, è una buona notizia da leggere, tuttavia con le dovute cautele.
Senz’altro è confortante che il nostro sistema produttivo dimostri di saper ottimizzare l’uso delle materie prime e delle risorse ambientali, in particolare in un periodo di recessione o di bassa crescita. Come evidenziato da molti studi, infatti, è proprio in questi periodi che l’efficienza rischia di peggiorare, poiché contrariamente a quanto si potrebbe immaginare vi sono una serie di «consumi fissi» che rimangono invariati al diminuire della produzione (si pensi alle necessità materiali di mantenere attivo e rifornire uno stabilimento produttivo che funziona a bassi regimi, oppure ai consumi energetici per il riscaldamento e/o raffreddamento dei locali, o all'acqua per i lavaggi degli impianti). Questo causa, a livello aggregato, una diminuzione del PIL più netta della diminuzione degli input produttivi, peggiorando conseguentemente l’efficienza. Le aziende italiane invece, come dimostra il rapporto EEA, sono state evidentemente capaci di migliorare la produttività delle risorse, nonostante la perdurante crisi, ottenendo il massimo risultato dal minimo consumo.
Ma occorre non farsi trarre in inganno dagli indicatori utilizzati. Il dato che misura l’utilizzo delle risorse materiali e naturali è infatti il ben noto domestic material consumption (DMC) per person, che include essenzialmente i consumi di input produttivi primari, ovvero le materie prime. La diminuzione del valore di questo indicatore, nelle economie sviluppate, spesso è controbilanciato dall’aumento più che proporzionale dei consumi di prodotti intermedi e semilavorati da parte dell’industria. Il che implica non una diminuzione di risorse utilizzate in termini assoluti, bensì una diversa scelta di approvvigionamento, che a propria volta induce un aumento dell'utilizzo delle materie prime nei paesi di origine dei semilavorati. Si pensi all'industria tessile, all’industria conciaria, alla lavorazione dei metalli, sempre più «dematerializzate» nel nostro paese poiché le fasi a monte della supply chain si sono spostate in paesi extraeuropei; con l’aggravante, dal punto di vista ambientale, che in quei paesi i cicli produttivi causano impatti peggiori sull’ambiente e che le nostre importazioni generano ulteriori impatti legati ai trasporti.
La «material efficiency» e in particolare la dematerializzazione sono obiettivi ambiziosi e prioritari nell'agenda dei policy maker, ma celano spesso insidie in termini di «trade off» tra differenti impatti sull'ambiente... attenzione quindi ai facili ottimismi!