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Daniela Montemerlo

Rubelli: quando si dice avere la stoffa

Rubelli 2Un antico manifesto pubblicitario di Rubelli dei primi anni Venti del secolo scorso, guardato oggi, contiene molto di più di un «payoff» d’epoca. Esso mostra, infatti, come la famiglia proprietaria, che è alla guida dell’azienda veneziana dal 1889, abbia formulato sin dall’inizio una visione strategica chiara e di ampio respiro, e soprattutto, cosa non scontata, come le generazioni successive alla prima l’abbiano mantenuta attuale salvaguardandone le radici e, contemporaneamente, sviluppandola in tutte le direttrici possibili, nel sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione che caratterizza le imprese familiari capaci di durare nel tempo. E qui siamo alla quinta generazione, con la sesta che si affaccia, e in un’impresa riconosciuta in tutto il mondo come leader incontrastata del tessile per arredo nei segmenti del lusso e dell’alto di gamma, con progetti strategici promettenti in alcune aree di business contigue. 

Partiamo proprio dalle radici: le stoffe d’arte per arredamento Radici non semplici da preservare in un settore come il tessile che, in tutti i suoi segmenti, ha vissuto anni quanto mai turbolenti. Ma la famiglia non ha mai smesso di crederci e investire, neanche negli anni più difficili tra il 2009 e il 2012, aggiornando e rafforzando le competenze distintive aziendali alla ricerca continua dell’eccellenza e con il sostegno di una solidità finanziaria perseguita con altrettanto impegno. Così, la ricerca e sviluppo ha costantemente alimentato nuove collezioni integrando l’arte e gli stili Novecento e antichi di Lorenzo Rubelli in un caleidoscopio più ampio in cui convivono passato, presente e tendenze future, sfarzo e minimalismo, Venezia e il mondo, materiali e colori variegati in un tutto coerente. Proprio dall’archivio stilistico, dal 2009, Giorgio Armani attinge e interpreta disegni all’interno dell’accordo di licenza che ha dato vita alla collezione «Armani Casa – Exclusive Textiles by Rubelli».

La produzione interna in Italia – che Rubelli e pochi altri hanno conservato – è stata razionalizzata in un unico sito a Cucciago tecnologicamente all’avanguardia, senza dimenticare uno spazio per antichissimi telai a mano tuttora in funzione. Dalle filiali in Venezia, Firenze, Trieste, Roma si è arrivati a flagship store e showroom in alcune delle principali città d’Europa, Stati Uniti e Middle East e a una presenza commerciale in quasi 80 paesi nei cinque continenti anche attraverso venditori diretti, agenti, distributori e partner commerciali. Nel «residenziale» (ossia nell’area dei tessuti per abitazioni private o yacht) si è affrontato il ridimensionamento del canale tradizionale del retail e dei «tappezzieri», cogliendo per tempo l’affermarsi del canale dei decoratori e progettisti; nel «contract» (cioè nell’area dei tessuti tecnici venduti su commessa) è andato via via ampliandosi il parterre di navi, alberghi, teatri e altri spazi pubblici di prestigio decorati con tessuti prodotti fin dal 1889 anche su disegni e in tipi speciali – tessuti che sono realizzati anche per i grandi marchi della moda e del lusso. La comunicazione ha svolto un’attività incessante e a 360 gradi, dal presidio e affinamento progressivo di un’immagine coordinata all’aggiornamento del logo aziendale negli anni Duemila (ridisegnando in chiave contemporanea l’icona del leone marciano), dalla razionalizzazione dei marchi in un portafoglio dalle identità complementari alle sponsorizzazioni di luoghi ed eventi culturali, fino allo sviluppo di collaborazioni che hanno portato i tessuti Rubelli a decorare, tra gli altri, gli arredi di Moroso, le scarpe Santoni, una mostra nelle cantine Fontanafredda.      

Lo sviluppo delle radici, come accennato, ha portato con sé alcune «ramificazioni» in business correlati, sia per crescita organica sia per linee esterne: nell’arredamento e nei complementi, con l’acquisizione nel 2005 dell’azienda americana Donghia Inc. con la sua offerta integrata di tessuti del medesimo segmento di Rubelli; mobili e illuminazione di design, con la costituzione di Rubelli Studio nel 2014, unità dedicata all’interior design, e nel 2015 con il lancio della collezione Rubelli Casa, nella direzione anche qui della creazione di un mix di marchi complementari.

Oggi, Rubelli ha un fatturato consolidato di 82 milioni, che ha fatto segnare un +11 per cento nel 2015 rispetto al 2014 e in crescita anche nel 2016 – pur in un mondo in cui la turbolenza non accenna a ridursi anche per ragioni extra economiche –, impiegando circa 320 dipendenti. Il viaggio prosegue ed è rimasta celebre un’affermazione del Presidente, l’avvocato Alessandro Favaretto Rubelli (un vero e proprio «rifondatore» che ha fatto fare passi da gigante alla piccola realtà del manifesto di inizio Novecento) nel 2005, nel pieno dell’acquisizione Donghia: «completiamo questa avventura, e mettiamoci subito a pensarne altre!». Ma non è solo diventata una celebre affermazione: i fatti successivi dimostrano che è stata messa in pratica.

Rubelli 1E a questo proposito, dietro a questo viaggio siffatto non vi sono solo i due fattori indicati all’inizio, ovvero chiarezza e ampiezza di visione strategica e continua attualizzazione della visione stessa, ma anche un terzo fattore chiave, che è alla base del successo di lungo periodo di molte imprese familiari: il lavoro collegiale unito all’apertura ai terzi e alla capacità di rendere complementari le differenze, come la trama e l’ordito di una stoffa. Due figli dell’avvocato Favaretto Rubelli, Nicolò e Andrea, hanno assunto il ruolo di Amministratori Delegati e hanno man mano affiancato il padre in un modello di co-leadership con Nicolò alla guida del team commerciale e stilistico e Andrea di quello logistico-produttivo, oltre che della controllata Donghia, di cui è CEO (con il fratello e il padre nel board). La strategia è costruita e realizzata con il coinvolgimento del team manageriale, del CdA di capogruppo, aperto a non familiari, dei soci terzi di Donghia e dei numerosi partner strategici (che includono aziende dello stesso settore e di settori diversi come quelle già menzionate), in un disegno unitario di cui ognuno si sente parte. È sintomatico che in foto che hanno fatto il giro del mondo, come quella della riapertura del teatro Bolshoi di cui sono stati realizzati il sipario e tutti i tessuti, on stage ci siano non solo familiari, ma anche manager esterni e altri attori chiave del progetto.

(Storia d'impresa a cura di Federico Visconti)

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