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Desconocido
La vendetta dell’investitore tradito
Un padre in auto con i suoi due figli. Una bomba sotto il sedile. E la minaccia di farla esplodere se l’uomo – bancario avvezzo alle speculazioni finanziarie – non restituirà il denaro che ha fatto perdere ai suoi clienti vendendo derivati e titoli tossici. Desconocido dello spagnolo Dani de la Torre è un thriller tesissimo e adrenalinico che si articola attorno a una riflessione non scontata sul rapporto fra le banche, la finanza e i clienti-investitori.
Desconocido – Resa dei conti
Regia: Dani de la Torre
Int.: Luis Tosar, Javier Gutierrez, Goya Toledo
Spagna, 2016
Neanche a colazione parla con i figli. Prima ancora di uscire di casa, Carlos è attaccato al telefono. Parla con il direttore della banca per cui lavora e concorda con lui una spregiudicata operazione finanziaria da effettuare in tutta fretta nelle ore successive. Ordinaria amministrazione. Ordinaria colazione. Solitudini: dei figli rispetto ai genitori, del padre rispetto alla madre, del fratellino rispetto alla sorella adolescente. Fenomenologia di una famiglia borghese nell’era digitale. Ognuno sta solo, chino sul proprio device. Tutti comunicano con ciò e con chi è lontano, nessuno comunica con chi sta lì, e gli è vicino. Con chi dovrebbe quanto meno condividere la colazione. È tardi. Hanno fretta. Hanno tutti fretta. Il padre urla alla madre: «Li porto io a scuola!». Escono di casa quasi correndo. Bella casa, con piscina. Quartiere residenziale di lusso. Davvero una bella famiglia borghese dell’era digitale. Una famiglia normale. Normale? Le anomalie iniziano appena padre e figli si avvicinano all’auto. Le portiere sono aperte. Nell’abitacolo c’è uno strano odore. Ma non c’è tempo per porsi delle domande. Soprattutto non c’è tempo per darsi delle risposte. Il padre si mette alla guida, figlio e figlia si accomodano dietro. Appena partiti sul display dello smartphone del padre appare un numero sconosciuto. Desconocido, come recita il titolo del film. Il padre risponde. Una voce anonima e minacciosa gli comunica che c’è una bomba sotto i sedili. Se uno dei tre si alza la bomba esplode. Lo sconosciuto vuole che Carlos trasferisca tutti i risparmi suoi e di sua moglie su un conto che gli indicherà. E vuole che Carlos convinca i clienti della sua banca a trasferire sul medesimo conto una cifra complessiva di poco inferiore al mezzo milione di euro. «Dovete restituirmi tutto quello che mi avete rubato!», urla al telefono. È l’inizio di un incubo: Carlos non scenderà più dall’auto fino alla fine del film. Ma nell’ora e mezza che manca al finale, avrà modo di fare i conti (e di farci fare i conti…), in tempo reale, con la ferocia non solo della finanza, ma anche della vita. Costruito come un thriller, con una tensione che cresce e inchioda alla poltrona, Desconocido dello spagnolo Dani de la Torre trasferisce nei codici del racconto di genere un tentativo intelligente e originale di indagare non solo sui meccanismi dell’alta finanza, ma anche sulle doti attitudinali che deve avere un uomo ordinario obbligato ad agire in circostanze straordinarie. A suo modo, Desconocido è un film sulla leadership e sulla fiducia. Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.
S.S. Desconocido è stato letto dai più come un generico e abbastanza facile atto d’accusa nei confronti delle banche e dei loro metodi «spregiudicati» per piazzare derivati e titoli tossici a clienti spesso troppo ingenuamente fiduciosi. In realtà a me pare che metta a fuoco molto bene soprattutto la fenomenologia di un leader. Carlos lo è, non c’è dubbio. Se non lo è per investitura all’inizio del film, lo diventa sul campo, con l’azione. Tanto che nella sequenza finale, quando la banca cerca di richiamarlo in servizio, gli riconosce fra le sue doti proprio quella di essere un leader. Di esserlo quasi senza volerlo, per istinto, per natura.
G.C. Certo. Durante tutto il corso dell’azione, Carlos deve prendere decisioni in condizioni estreme di stress, deve mantenere la calma e il sangue freddo, non deve interrompere le relazioni né con lo sconosciuto che lo ricatta né con la polizia. Deve saper consolare i figli, non insospettire il suo antagonista, chiamare i clienti che si fidano di lui per convincerli in pochi minuti a spostare parte del loro denaro su un «prodotto» speculativo ma ad altissimo tasso di interesse atteso… insomma deve giocare in modo multitasking e dar prova di saper gestire contemporaneamente più relazioni complesse. Il tutto sotto la minaccia di una bomba che può esplodere da un momento all’altro, uccidendo con lui anche i suoi figli
S.S. Non c’è solo Carlos, nel film, a misurarsi con il tema della leadership. C’è anche il conflitto fra il capo della polizia e la responsabile degli artificieri, che si contendono sul campo il comando delle operazioni e lo fanno cercando di dare la lettura più convincente di quello che sta succedendo. Il pianosequenza centrale, con la poliziotta che gira sulla scena del crimine per raccogliere informazioni e per cercare di intuire chi mente e chi dice la verità, è molto bello tecnicamente ed è efficacissimo nel rendere l’idea di come solo assumendo le informazioni esatte si può elaborare la visione necessaria per svolgere oggettivamente un ruolo da leader.
G.C. A me pare molto interessante il modo in cui il film lega il tema della leadership a quello della fiducia. Carlos all’inizio ha solo la fiducia della sua banca e quella dei suoi clienti. Quelli a cui peraltro vende titoli tossici sapendo che sono tali. Non ha più la fiducia della moglie, non ha quella dei figli, non ha neppure – ovviamente – quella dell’uomo che lo minaccia proprio perché lo accusa di aver tradito la fiducia che lui e sua moglie avevano riposto nelle sue proposte di investimento speculativo. Perfino la sua segretaria in ufficio non sa se credere o no alle richieste che lui le fa al telefono. La performatività cui è chiamato dalla situazione estrema in cui si trova lo porta necessariamente a dover riconquistare la fiducia: prima quella dei figli, poi quella della poliziotta infine – ed è la prova più difficile – la fiducia in se stesso.
S.S. Il messaggio economico importante del film riguarda proprio la relazione di fiducia che intercorre fra il risparmiatore e l’agente che investe il suo patrimonio. C’è un’ovvia asimmetria in questo rapporto, e ciò può portare il bancario a manipolare il proprio cliente sprovveduto. Carlos ha manipolato. Lo ha fatto sapendo quel che faceva, ma sapendo anche di aver a che fare con risparmiatori disposti a tutto pur di guadagnare. Lo rimprovera anche, nel finale, al suo aguzzino, senza che questi peraltro senta ragioni. Carlos viene scaricato da tutti, ma non da sua figlia, non da suo figlio. È proprio la consapevolezza di aver ritrovato la loro fiducia a dargli la forza per combattere la sua battaglia fino in fondo.