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A l’è pejo el tacòn del buso
(È peggio la toppa del buco)
A proposito dell’incapacità di riconoscere i propri errori (e di ciò che ne consegue)
Questo proverbio veneto, fulminante nella sua semplicità, dovrebbero ricordarselo tutti quegli imprenditori e manager i quali, avendo preso una decisione che si è rivelata sbagliata, invece di riconoscerlo e voltare pagina s’incaponiscono nel difenderla. Non c’è niente di peggio. Si finisce per aggiungere costi a costi e per perdere tempo.
Nella mia esperienza una scelta aziendale sbagliata è sbagliata e basta. Punto. E cercare di porvi rimedio non solo è inutile, ma dannoso. Proprio come dice il proverbio. L’unica cosa giusta da fare è cambiare direzione. Come quando si va in barca a vela e il bordo dà scarso: è inutile insistere, si perde solo tempo. Meglio una buona virata decisa, per prendere il bordo buono. Invece in azienda, il più delle volte per non perdere la faccia, si ricerca una modifica graduale, una soluzione alternativa tutto sommato vicina a quella che si è rivelata sbagliata. Non funziona. Tanto più nel caso in cui la soluzione sbagliata era fondata su presupposti errati. Per trovare la soluzione giusta, in questo caso, vanno cambiati i presupposti. Tabula rasa e si riparte da capo. Nei miei anni di lavoro ho maturato una convinzione: le imprese eccellenti non sono quelle che sbagliano poco (che di solito sbagliano poco perché fanno poco). Sono quelle che sbagliano tanto perché fanno tanto, ma che sono brave a «uscire» velocemente dai propri errori, utilizzandoli come esperienze utili per individuare la rotta giusta. Chi cerca di mettere le toppe ai buchi, questo non lo saprà mai fare.