Archivio

08/11/2022 Donato Masciandaro, Gianmarco Ottaviano

Il fair play finanziario ha cambiato l’industria europea del calcio?

Di fronte all’ennesima conferma della scarsa salute finanziaria di cui gode l’industria del calcio in Italia, il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, ha sottolineato la necessità di estendere a tutti i club professionistici le regole del fair play finanziario della UEFA, imposte di fatto solo a chi partecipa alle competizioni internazionali. Un nuovo studio coordinato dal centro BAFFI CAREFIN dell’Università Bocconi mostra che, se da un lato il fair play finanziario ha promosso l’equilibrio contabile dei club a cui è stato imposto, dall’altra ha accresciuto il dominio dei top club europei nelle competizioni nazionali.

La scorsa estate il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, interveniva a Sky Sport per presentare la dodicesima edizione del Report Calcio, sviluppata dal Centro Studi FIGC, in collaborazione con AREL e PwC Italia. Una relazione in chiaroscuro verrebbe voglia di dire, anche se in realtà c’era molto più scuro che chiaro. 

«I dati del nostro Report Calcio sono impietosi come sempre […] in 12 anni abbiamo messo insieme un rosso aggregato di 4,1 miliardi di euro: abbiamo perso un milione di euro al giorno […] Il 79% delle nostre società ha chiuso in perdita. Negli ultimi 12 anni il nostro mondo praticamente ha raddoppiato il debito, passando da 2,4 a 4,7 miliardi, ma quello che colpisce: nonostante la perdita crescente nel mondo del calcio, il costo del lavoro è aumentato in maniera spropositata rispetto ai ricavi, oggi impatta sui ricavi per il 66% in condizioni normali, purtroppo diventa il 92% al netto delle plusvalenze […] C’è una sorta di miopia nel non voler prendere coscienza di un insieme di azioni che bisogna porre in essere per rivoluzionare la politica di gestione delle nostre società […] Stiamo cercando di traslare le nuove norme in linea con il FPF: la solvibilità, la politica della sostenibilità finanziaria e la politica del contenimento dei costi […] Un sistema come il sistema calcio ha un impatto rilevante nell’economia del nostro Paese […] il mondo del calcio sano diventa anche un mondo economico credibile e diventa competitivo nel confronto con altre realtà. Dobbiamo prendere coscienza con gradualità, applicando anche gli indicatori che devono essere elementi identici per tutto il mondo professionistico, basta con le differenziazioni. Devono essere identiche per Serie A, Serie B e Lega Pro, è un passaggio storico su cui stiamo lavorando».

Il FPF a cui faceva riferimento Gravina è il cosiddetto «fair play finanziario», noto in ambito internazionale come Financial Fair Play Regulation (FFPR). Di che cosa si tratta? Perché gli indicatori devono essere identici per tutti? Andiamo per gradi.

Nel 2009, l’Unione delle Federazioni Europee di Calcio (UEFA), l’organo di governo del calcio europeo, varava una serie di regole, note appunto come FFPR, che aveva lo scopo di introdurre disciplina finanziaria e responsabilità nei processi decisionali delle squadre di calcio europee, sopprimere il «doping finanziario» e, in definitiva, proteggere la redditività a lungo termine dell’industria calcistica europea. Questo importante intervento normativo è stato finalmente approvato nel 2010 e la prima valutazione delle società calcistiche è stata effettuata nel 2011. Da allora sono passati appunti i fatidici 12 anni di cui parlava il presidente della FIGC.

All’epoca in cui si era discusso per la prima volta della regolamentazione FFPR, il calcio era in tutta Europa un settore in gran parte non redditizio con un livello del debito insostenibile: la metà dei club stava perdendo denaro e le perdite nette annuali combinate di tutte le principali leghe europee erano passate da 0,6 miliardi di euro nel 2007 a più di 1,5 miliardi di euro nel 2010. Limitare la capacità dei club di scommettere sul successo sportivo acquistando grandi nomi veniva considerato fondamentale per garantire la stabilità dell’intero sistema. L’introduzione della FFPR mirava pertanto a incoraggiare la spesa responsabile dei dirigenti calcistici e ad aumentare sia la credibilità dei club sia la loro trasparenza, a beneficio della salute di lungo periodo dell’industria calcistica. A tale scopo, veniva introdotta una misura chiave della performance dei risultati dei club, il cosiddetto Break-Even Requirement (BER): su un periodo di tre anni consecutivi (a partire dall’esercizio 2011-2012) e all’interno di deviazione accettabile, le prestazioni dei club sarebbero state misurate in termini di pareggio tra spese rilevanti ed entrate rilevanti.

Da allora il BER è diventato la pietra angolare della FFPR, richiedendo essenzialmente ai club di agire come imprese autosufficienti. Come aveva affermato Michel Platini, presidente della UEFA quando venne introdotto il BER, «vivere con i propri mezzi» è la base della contabilità, ma non è stata la base del calcio per anni.

Con il BER, la UEFA ha cercato di tradurre in azione un ragionamento di interesse pubblico: i club non avrebbero più dovuto spendere troppo in grandi nomi per preservare l’integrità a lungo termine delle competizioni, il bene del calcio e, data l’importanza sociale del calcio, la comunità in generale. La violazione del BER avrebbe potuto comportare l’esclusione di un club dalle lucrose competizioni internazionali organizzate dalla UEFA. Il rispetto del nuovo obiettivo contabile sarebbe quindi diventato un prerequisito per poter accedere a risorse economiche aggiuntive. Avrebbe anche offerto ai club l’opportunità di legittimarsi maggiormente agli occhi degli stakeholder. Non solo i dirigenti e i giocatori, ma anche gli sponsor e i tifosi si sarebbero preoccupati per la possibile esclusione dalle competizioni UEFA, dal momento che tale esclusione avrebbe avuto ricadute negative sia sotto il profilo economico sia sotto quello di immagine.

Nonostante i suoi obiettivi dichiarati, sin dalla sua introduzione la FFPR ha sollevato diversi dubbi sui suoi probabili effetti e le sue possibili conseguenze indesiderate. I punti più critici possono essere riassunti partendo da una denuncia presentata dall’avvocato belga Jean-Louis Dupont alla Commissione Europea nel 2014. Secondo Dupont, il BER avrebbe potuto limitare gli investimenti, fossilizzare la struttura di mercato esistente (poiché con ogni probabilità i top club avrebbero mantenuto o persino aumentato la propria leadership), ridurre il numero e l’importo dei trasferimenti, diminuire il numero di giocatori a contratto nei club e ridimensionare i ricavi degli agenti dei giocatori. In breve, il BER avrebbe aumentato BER aumentato la redditività dei club, ma lo avrebbe fatto in gran parte riducendo la spesa salariale e consolidando i vantaggi competitivi dei top club di allora. Per entrambi gli aspetti, secondo Dupont, la FFPR avrebbe violato il diritto dell’UE in materia di concorrenza. L’iniziativa di Dupont non ebbe successo.

A distanza di un decennio, un gruppo di ricerca della Bocconi e della École normale supérieure Paris-Saclay, coordinato dal centro BAFFI CAREFIN, ha cercato di capire se la FFPR ha modificato l’industria del calcio europeo nella direzione dichiarata o se invece i suoi critici avevano ragione[1]. Dopo diversi anni dal suo lancio, nonostante l’acceso dibattito pubblico che riecheggia anche nelle parole di Gravina, prove concrete sulle effettive conseguenze della FFPR sulla redditività dell’industria calcistica europea sono, infatti, ancora piuttosto scarse. In tale ottica, quello che i ricercatori forniscono è la prima dettagliata valutazione causale degli effetti congiunti della FFPR sui conti economici e patrimoniali delle squadre di calcio europee da un lato e sull’equilibrio competitivo dei campionati europei dall’altro.

A tal fine, il gruppo di ricerca ha sfruttato un dataset originale su 186 club che hanno giocato nei cinque più importanti campionati europei (Bundesliga in Germania, LaLiga in Spagna, Ligue 1 in Francia, Premier League in Inghilterra, Serie A in Italia) dalla stagione 2007-2008 alla stagione 2019-2020, corrispondenti ai conti dei club dal 2008 al 2020.  Il campione include tutti i club che hanno gareggiato nella massima serie del proprio Paese almeno una volta nel periodo osservato. I dati finanziari sono stati estratti da Orbis (Bureau van Dijk) e si riferiscono ai bilanci e ai conti economici delle squadre di calcio. Le prestazioni sportive dei club sono invece misurate in termini di ELO ranking secondo la classificazione del sito web clubelo.com creato da Lars Schiefler[2]. L’ELO ranking misura la competitività di un club in base ai risultati ottenuti contro i loro avversari, ma tenendo conto della loro competitività di questi ultimi. Questo lo rende diverso dalle classifiche standard basate sui punti raccolti e permette un confronto sensato tra club che non giocano nello stesso campionato. L’ELO ranking è utilizzato, per esempio, dalla International Chess Federation per classificare i giocatori di scacchi e anche dal FIFA Women’s World Ranking.

Per studiare la risposta dei club europei all’introduzione della FFPR, il gruppo di ricerca ha seguito una strategia che imita un disegno di ricerca sperimentale attraverso l’analisi dell’effetto differenziale dell’introduzione della FFPR («trattamento») sui club esposti a queste regole («gruppo di trattamento») rispetto ai club non esposti a esse («gruppo di controllo»). Sfruttando il fatto che le sanzioni per la violazione della FFPR sono essenzialmente irrilevanti per i club che non aspirano a partecipare alle competizioni UEFA, i ricercatori hanno confrontato i club trattati, che tendono a partecipare, con i club di controllo, che tendono a non partecipare e quindi hanno scarso incentivo a rispettare la FFPR, nella misura in cui farlo comporta costi aggiuntivi. Poiché la logica delle sanzioni per la violazione della FFPR implica de facto che i club che aspirano alle competizioni UEFA si preoccupano molto più degli altri club di rispettare la FFPR, la probabilità di partecipare a tali competizioni viene presa come un indicatore dell’intensità del trattamento.

I risultati sono molto interessanti. Dal punto di vista finanziario, l’introduzione della FFPR ha portato a un miglioramento dei risultati finanziari, coerentemente con l’efficacia del BER (soprattutto per i club con investitori stranieri), ma questo sviluppo positivo nel conto economico dei club non sì è tradotto in una migliore sostenibilità complessiva del debito. In altre parole, solo i risultati finanziari oggetto della riforma hanno reagito con decisione alla riforma contabile.

Sul versante sportivo, si osserva un impatto positivo della riforma sull’ELO ranking delle società trattate. L’effetto è più ampio e significativo sei anni dopo la riforma, in parallelo con il comportamento delle variabili finanziarie. Confrontando un club del gruppo di controllo al margine del 20% più alto dell’ELO ranking con un club del gruppo di trattamento al margine del 20% più basso, quest’ultimo aveva una probabilità di vittoria del 53,9% nel 2011 che aumenta al 61,6% sei anni dopo la riforma. In altre parole, l’introduzione del FFPR ha ridotto l’equilibrio competitivo tra i club di trattamento e di controllo. Il BER ha aumentato la redditività dei club, in gran parte aumentando le entrate relative alla spesa salariale, piuttosto che ridurre quest’ultima.

In sintesi, i risultati dell’analisi ex post confermano alcune delle previsioni critiche ex ante, da due punti di vista: il BER non è bastato a promuovere la sostenibilità finanziaria dei club nel lungo periodo e ha rafforzato il dominio dei top club. Ciò è avvenuto perché solo i club con ambizioni europee hanno avuto un incentivo ad adeguarsi alla FFPR, ma anche questi club non hanno avuto incentivo ad andare al di là del BER. È per questa ragione che nella primavera di quest’anno la UEFA ha introdotto le nuove regole di sostenibilità finanziaria, in sostituzione del vecchio fair play finanziario, aventi come obiettivo la solvibilità, la stabilità e un maggiore controllo sui costi e sulle spese dei club. È per la stessa ragione che il presidente della FIGC ne invoca l’applicazione a tutti i club professionistici.

  

Donato Masciandaro è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Intesa Sanpaolo Chair in Economics of Financial Regulation. Dal 1989 scrive sul Sole 24 Ore. Dal 2005 per Economia&Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle pagine del quotidiano economico-finanziario.

Gianmarco Ottaviano è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Achille and Giulia Boroli Chair in European Studies. Scrive sul Sole 24 Ore e su lavoce.info. Per Economia&Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle due testate.



[1] C. Ariela, L. Sébastien, M. Donato, O. Gianmarco, «Has Financial Fair Play Changed European Football?», BAFFI CAREFIN, novembre 2022. 

iStock-1412155355