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Il sogno economico di Pechino è al capolinea?
«Senza i depositi [bancari], non ci sono diritti umani», «Il “sogno cinese” di 400mila risparmiatori è andato in frantumi nello Henan». Gli striscioni mostrati dai manifestanti a Zhengzhou, capoluogo della suddetta regione della Cina centrale, sono diventati virali in poche ore. È il 10 luglio 2022, e centinaia di uomini e donne che chiedono di poter accedere ai propri risparmi vengono malmenati da non meglio identificati agenti in borghese. È dalla metà di aprile che chiedono di essere risarciti al governo locale. Ma a giugno, quando hanno tentato di organizzare la prima manifestazione pubblica, i loro codici sanitari digitali sono improvvisamente divenuti rossi, impedendo loro di accedere ai luoghi pubblici proprio come se fossero entrati in contatto con persone positive al Covid e dovessero quindi essere confinati in quarantena. È allora che il loro caso è divenuto pubblico. L’intero Paese ha protestato per l’uso inappropriato del controllo sanitario e cinque funzionari locali sono stati puniti.
È così che si è scoperto che almeno quattro banche regionali dello Henan (Yuzhou Xinminsheng Village Bank, Shanghai Huimin County Bank, Zhecheng Huanghuai Community Bank e la New Oriental Country Bank di Kaifeng), e una dell’Anhui (Guzhen Xinhuaihe Village Bank) avevano congelato i conti dei loro correntisti già lo scorso 18 aprile. A seguito del grande clamore provocato dalla manifestazione di inizio luglio, il governo centrale si è mosso. Ha accusato il gruppo che controllava queste cinque banche, lo Henan Xincaifu Group, di frode e ha promesso che chi aveva meno di 50mila yuan sul conto (circa 6300 euro) sarebbe stato rimborsato immediatamente. Sembra però che le carte presentate dai correntisti non fossero mai sufficienti, e che alcuni di essi siano addirittura stati tacciati di essere complici della frode che li ha portati sul lastrico. Ma non è questo il punto. Sembrerebbe infatti che il fenomeno sia ben più esteso.
Le banche di medie e piccole dimensioni in Cina sono indebitate al punto che rischiano il collasso. E, soprattutto, non sono poche. Si tratta di circa 4mila istituti per un valore di 14mila miliardi di euro. Secondo i dati della stessa People’s Bank of China, a metà del 2021 il 29 per cento delle istituzioni finanziarie ad alto rischio di fallimento era composto proprio dalle banche rurali che negli ultimi anni, per essere più competitive, avevano innalzato i tassi di interesse e offerto vantaggiosi servizi attraverso piattaforme terze su tutto il territorio nazionale. Solo quest’anno il Consiglio di Stato ha già approvato lo stanziamento di quasi 13 miliardi a debito per iniettare liquidità nelle piccole banche delle regioni del Liaoning, del Gansu, dello Henan e della megalopoli di Dalian.
Intanto l’ente regolatore del settore, la CBIRC, si sta attivando affinché le banche locali, in genere tra i più importanti finanziatori del settore immobiliare, non interrompano i prestiti alle agenzie che si occupano di real estate proprio quando queste ultime stanno subendo una profonda crisi e una sorta di sciopero dei pagamenti dei mutui da parte degli acquirenti che temono che le case comprate in costruzione non verranno mai portate a termine. Sì perché, come semplificano i giornalisti, oggi per la Cina c’è il rischio di un «momento Lehman Brothers». Il più grande sviluppatore immobiliare del Paese, il gruppo Evergrande, è infatti fallito alla fine del 2021 non riuscendo a ripianare un debito di oltre 300 miliardi di euro. Sembrerebbe che gruppi minori del settore potrebbero seguire a ruota e fare default prima della fine dell’anno.
La crisi del settore immobiliare potrebbe causare una perdita di circa 900 miliardi di euro ai governi regionali, a loro volta pesantemente indebitati con le banche locali. Ma anche le grandi banche nazionali, che in genere coprono quelle locali, stanno fronteggiando un’emergenza. Hanno prestato miliardi ai Paesi che hanno ospitato i progetti infrastrutturali della One Belt One Road e ora, complice la regressione globale, rischiano di riempirsi di crediti deteriorati e di non avere la liquidità necessaria a coprire le banche di piccole e medie dimensioni.
Insomma, proprio nell’anno in cui si attende la consacrazione di Xi Jinping come leader a vita, la Cina si trova ad affrontare un pericolosissimo cocktail socio-economico composto da alti tassi di disoccupazione, crescita in stallo, stop and go della produzione dovuti alla politica zero-Covid e continui scioperi nei pagamenti dei mutui. E sì che dai tempi di Tienanmen la credibilità del Partito comunista e il patto della leadership con il popolo cinese è basato sull’aumento tangibile della qualità della vita. Ecco, forse il governo riuscirà a non far esplodere questo cocktail prima del XX Congresso previsto questo autunno, ma diciamo almeno che è finita l’epoca della «prosperità condivisa» inaugurata da Xi Jinping.