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18/05/2022 Cecilia Attanasio Ghezzi

La grande fuga dalla Cina

La pandemia ha accelerato una tendenza che ha caratterizzato tutti gli anni della Cina di Xi Jinping. Nell’ultimo decennio gli stranieri residenti a Shanghai sono calati del 20 per cento, e quelli residenti a Pechino addirittura del 40 per cento. Inoltre, le severe restrizioni di movimento imposte dal Governo di Pechino a oltre 370 milioni di persone stanno spingendo anche i cinesi a considerare la via dell’emigrazione dal Paese. Una fuga che la Repubblica popolare sta arginando limitando l’emissione di passaporti e vietando tutti i viaggi all’estero «non strettamente necessari».

Tutto è cominciato alla fine di marzo. I circa 25 milioni di residenti di Shanghai sono stati sottoposti a Covid-test di massa e poi, nonostante le autorità avessero affermato che non fosse necessario, a un lockdown senza precedenti. A una settimana di distanza la logistica della città più moderna e cosmopolita della Cina continentale era nel caos più totale. Niente cibo per i cittadini bloccati per decreto nelle loro abitazioni, urgenze mediche ignorate, famiglie divise, case di riposo fuori controllo, centri di quarantena stracolmi, illuminati h 24 e senza docce. Sui social malcontento generale, seguito da censura. In strada proteste e singole alzate di testa represse con durezza da funzionari zelanti e anonimi addetti Covid-19 in tuta di protezione bianca. Si è andati avanti così e oggi, superato il mese e mezzo di lockdown, a Shanghai l’idea di futuro è ridotta ai minimi storici. Inoltre, anche se è solo questa metropoli a essere sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo, sono almeno 41 le città cinesi coinvolte da severe restrizioni di movimento per un totale di oltre 370 milioni di persone[1] e il 40 per cento del suo output economico[2]. E anche a Pechino, finora risparmiata dalle misure più severe, la popolazione comincia ad aver paura e a svuotare gli scaffali dei supermercati[3].

Le immagini di quella che un tempo era nota come la Parigi d’Oriente, ci raccontano una metropoli svuotata dei propri cittadini, recinzioni alzate in fretta e furia tra un condominio e l’altro, lavoratori migranti costretti a dormire nelle tende e rider incapaci di soddisfare le troppe richieste di delivery[4]. A un certo punto neppure i gruppi d’acquisto hanno funzionato più. Così il governo ha chiesto alla popolazione «una settimana di silenzio»: non si può più neanche ordinare online, bisogna aspettare il cibo fornito dal governo. Emigrare pare essere l’unica via per tornare alla normalità. E infatti è quella stessa parola, in cinese yimin, a subire un picco di ricerche online: 72 milioni di volte su WeChat solo il 15 aprile 2022, contro i 16 milioni di appena un mese prima[5]. Su Baidu, il Google cinese, il topic «condizioni per emigrare in Canada» è salito ai primi posti delle ricerche effettuate con un incremento di quasi il 3mila per cento, seguito da «dov’è meglio emigrare»[6]. Certo, probabilmente è solo la parte più giovane, istruita e benestante della popolazione che se lo può permettere, e di certo non è un piano facile da mettere in pratica.

Per prima cosa bisogna ottenere un passaporto, pratica che da agosto scorso subisce sempre più restrizioni con la scusa di evitare il rischio che nel rientrare in Patria si facilitino quelle che Pechino chiama «infezioni di ritorno». Per avere un’idea del calo vertiginoso dei cinesi che possono andare all’estero, si pensi che nella prima metà del 2021, la Repubblica popolare ha emesso 335mila passaporti, appena il 2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente[7], e che proprio la scorsa settimana le autorità cinesi hanno dato un ulteriore giro di vite vietando tutti quei viaggi all’estero «non strettamente necessari»[8]. Allo stesso tempo si assiste a un incessante esodo di stranieri da quella che, fino a qualche anno fa, era una delle città più cosmopolite del mondo.

Sul corrispettivo cinese di WhatsApp, ci sono almeno tre gruppi formati da centinaia di persone di «people leaving», suddivisi tra chi ha intenzione di partire a marzo, aprile o giugno. La Camera di commercio britannica ha stimato che le scuole internazionali perderanno almeno il 40 per cento dei loro insegnanti prima dell’avvio del nuovo anno scolastico il prossimo autunno[9], e l’85 per cento degli intervistati ha preso in considerazione l’idea di lasciare la Cina proprio a causa delle misure implementate sotto l’ombrello della politica «zero Covid». Lo stesso motivo per cui l’80 per cento delle aziende statunitensi faticano ad attirare personale straniero[10]. Ma di fatto la pandemia sta solo accelerando una tendenza che ha caratterizzato tutti gli anni della Cina di Xi Jinping. Secondo i dati raccolti nel censimento ufficiale del 2021, in un decennio gli stranieri residenti a Shanghai sono calati del 20 per cento, e quelli residenti a Pechino addirittura del 40 per cento[11].

Ma se Pechino è il centro del potere politico, a Shanghai il business la fa da padrone e le aziende straniere valgono il 20 per cento dell’occupazione della città, il 50 per cento del suo settore di ricerca e sviluppo e il 67 per cento del valore dell’import-export totale. Un prezzo altissimo sacrificato all’altare della politica «zero Covid», che per due anni è stata il fiore all’occhiello dell’amministrazione Xi Jinping, tirata in ballo dallo stesso presidente per dimostrare la superiorità del suo governo su quelli delle democrazie occidentali. E con il XX Congresso alle porte, quello che dovrebbe incoronarlo definitivamente, non può certo rimangiarsi le sue parole.

Nell’ultima riunione del Comitato permanente del politburo, infatti, Xi Jinping ha rinnovato l’intenzione di proseguire questa politica e, anzi, ha sottolineato che chiunque la metta in dubbio verrà combattuto. Li Qiang, il segretario di Partito di Shanghai a lungo considerato l’alleato del presidente che sarebbe entrato nella rosa dei sette uomini più potenti della Cina, non può far altro che aderire a questa politica come fossero «ordini militari». Ma oggi il suo futuro politico è in discussione. E con esso la ricchezza e la peculiarità della città che governa. Shanghai difficilmente tornerà a essere quella che era.



[4] «Photographs of an Empty Shanghai», Sixth Tone, 2 maggio 2022.

[7] «China issues fewer passports amid COVID-19 pandemic», The State Council the People’s Republic of China, 30 giugno 2021.

[9] «British Business in China: Covid-19 Impact Report», British Chamber of Commerce in China, aprile 2022.

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