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La politica monetaria europea verde: una spada a due lame
Dal punto di vista della politica monetaria europea, il 2021 è stato un anno importante, con l’annuncio da parte della Banca Centrale Europea (BCE) della revisione della sua strategia. Il pilastro fondante è molto chiaro: in conformità con i trattati europei, l’obiettivo primario della politica monetaria continuerà a essere la stabilità del valore interno dell’euro. Dato l’obiettivo primario, la BCE avrà come obiettivo secondario quello di supportare le altre finalità della politica economica dell’Unione. Nella lista delle finalità secondarie è comparsa per la prima volta la qualità dell’ambiente. Poi, in un documento parallelo, la BCE ha sancito il suo impegno a incorporare nelle sue decisioni di politica monetaria le considerazioni legate al cambiamento climatico. Ma questo che cosa significa concretamente?
In una visione tradizionale, il rapporto tra la finalità di tutelare il valore della moneta, nel medio periodo, e quello di fare attenzione alla variabile climatica, in un più lungo periodo, non è mai conflittuale, avendo appunto i due target orizzonti temporali diversi. L’analisi economica più recente ha però messo in luce che la dinamica macroeconomica e la variabile ambientale vanno sempre considerate in una prospettiva sincronica, e non sequenziale. La ragione è che sempre di più l’attenzione al clima deve essere sistematica e quotidiana, non sporadica e posticipata. Perché in generale i canali attraverso cui la variabile climatica può incidere sulla congiuntura economica sono almeno tre.
Primo: la variabile climatica può incidere sull’andamento dell’offerta aggregata. Semplificando, gli effetti del cambiamento climatico incidono negativamente sulla produttività, provocando effetti negativi in termini di volatilità di prezzi e produzione. Secondo: occorre tener conto delle politiche pubbliche, in particolare di quegli interventi sulla tassazione che sono mirati proprio a contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico. Per esempio: l’aumento della tassazione di 25 euro per tonnellata di CO2 deciso in Germania a inizio anno si è riflesso in un aumento dei prezzi al consumo di 60 punti base. Terzo: gli effetti del cambiamento climatico possono incidere sulla stabilità finanziaria. Il canale di trasmissione parte dagli effetti che disastri ambientali e calamità naturali possono avere sulla rischiosità di imprese private e istituzioni pubbliche, passa attraverso il riflesso di tale aumento di rischiosità sui bilanci di banche e intermediari finanziari e assicurativi, per arrivare infine alle responsabilità che le banche centrali hanno in tema di stabilità finanziaria.
Quindi non si può escludere che la BCE possa dover affrontare, anche in un futuro vicino, spiacevoli nodi da sciogliere tra l’esigenza primaria di tutelare la stabilità monetaria e, allo stesso tempo, dimostrare la sua sensibilità ambientale. In tali situazioni, sarà automatico l’emergere di frizioni tra i cosidetti falchi, tradizionalmente meno sensibili alle tematiche ambientali, e le colombe.
Un metodo per superare al meglio tali attriti potrà essere l’uso del cosiddetto «criterio di proporzionalità» per valutare gli effetti diretti e indiretti di ogni intervento di politica monetaria. Il criterio di proporzionalità è una ulteriore novità dei documenti strategici che la BCE ha annunciato nel corso del 2021. La sua introduzione riflette la discussione innescata, sempre nei mesi scorsi, dall’atteggiamento critico della Corte costituzionale tedesca sulle scelte della BCE. Ma è indubbio che la proporzionalità può essere uno strumento efficace per realizzare e spiegare una condotta di politica monetaria che deve essere guidata da una regola, ma flessibile. Attenzione però: la proporzionalità non deve divenire il grimaldello per scalfire i due pilastri da cui dipende l’efficacia della politica monetaria. Vale a dire: priorità alla stabilità monetaria e indipendenza della BCE. Per essere chiari: occorre evitare che i politici utilizzino strumentalmente le tematiche ambientali come cavallo di Troia per tornare a influenzare quella produzione di moneta pubblica, da cui invece – come ci insegna l’analisi economica e la storia – devono esssere tenuti ben lontani, altrimenti la sensibilità verde della BCE può diventare una spada a due lame. E non si tratta solo una eventualità. Un esempio? Lo scorso aprile l’organizzazione ecologista Greenpeace ha acceso i riflettori sul nuovo corso che la BCE ha avviato dall’inizio della pandemia, per quel che riguarda la politica di acquisto di titoli emessi da imprese private. In tale corso, la necessità di aumentare l’immissione di liquidità ha spinto la Banca centrale ad abbassare gli standard in termini di rischiosità dei titoli acquistati. Da questa scelta, sottolineava Greenpeace, hanno tratto beneficio imprese altamente inquinanti come Lufthansa, International Airlines Group, Renault e Technip. L’accusa si aggiunge a un precedente rapporto di varie organizzazioni ecologiste – inclusa la stessa Greenpeace – in cui si affermava che il 59 per cento dei titoli privati utilizzabili come garanzia per i prestiti della BCE – per un totale di 1,6 trillioni di euro – siano emessi da imprese inquinanti.
Le scelte della BCE vengono criticate in base a due diversi criteri. In primo luogo appaiono in contrasto con l’obiettivo generale di emissioni zero, da raggiungere entro il 2050, che tanti governi e istituzioni internazionali affermano di condividere. In secondo luogo sembrano cozzare con l’obiettivo specifico della politica monetaria di essere il più possibile neutrale.
Le osservazioni espresse da Greenpeace hanno senza dubbio il merito di mostrare come la svolta verde di politica monetaria può nella realtà divenire una spada a due lame. Nel merito, il quesito cruciale è il seguente: utilizzando il criterio di proporzionalità, che cosa si deve intendere per neutralità della politica monetaria, quando si introduce il tema dell’impatto ambientale? Nel caso delle operazioni in titoli sui mercati finanziari, il principio di neutralità implica l’obiettivo macroeconomico di minimizzare l’assunzione di rischio: per chi deve tutelare il valore della moneta pubblica che emette, è indubbiamente il primo criterio. Poi, la sfida diventa quella di saper calcolare anche l’effetto microeconomico del rischio ambientale sui titoli che la Banca centrale decide di utilizzare per le proprie operazioni, e minimizzarlo.
Quindi la definizione dell’offerta di una politica monetaria verde presuppone la capacità di saper calcolare sia l’effetto macroeconomico sia quello microeconomico. È una sfida doppia, non semplice, ma ineludibile. Altrimenti, la spada a due lame rischia di ferire chi la impugna.
Per saperne di più:
Bolton, P., Desprès, M., Pereira da Silva, L., Samama, F., Svartzman, R., (2020), “Green Smans”: Central Banks in the Age of Climate-Related Risks, Banque de France Bulletin, 229(8).
Carney, M., (2015), Breaking the Tragedy of the Horizon – Climate Change and Financial Stability, Bank of England, September, 29.
Masciandaro, D., Tarsia, R.V., (2021), Society, Politicians, Climate Change and Central Banks: An Index of Green Activism, Law and Economics Yearly Review, 10(1), 34-81.
Shoenmaker, D., (2021), Greening Monetary Policy, Climate Policy, 1-12.
Donato Masciandaro è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Intesa Sanpaolo Chair in Economics of Financial Regulation. Dal 1989 scrive sul Sole 24 Ore. Dal 2005 per Economia&Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle pagine del quotidiano economico-finanziario.