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Finanza e social media: un connubio pericoloso
Le crisi finanziarie e gli scandali a esse associati si ripresentano nel corso degli anni e quindi anche ai nostri tempi. Dopo le grandi crisi degli anni 2007/2008, in verità, sembravano destinati a scomparire, ma invece sono più attuali che mai anche se non hanno più raggiunto l’intensità del biennio ricordato. Rispetto ad allora è anche cambiata la loro qualità, come dimostrano alcuni fatti recentissimi dai quali si possono trarre informazioni interessanti.
Ne citerò quattro, di cui tre molto simili fra loro e uno diverso e per alcune aspetti più «nuovo». Alludo, da un lato, ai fallimenti di Wirecard, che ho in parte già trattato e commentato su queste pagine[1], di Greensill nel Regno Unito e di Archegos negli Usa e, dall’altro lato, alle vicende di GameStop ancora negli Stati Uniti. I primi tre hanno avuto come protagonisti intermediari finanziari non bancari mentre il quarto ha visto una strana e nuova combinazione fra il mercato azionario, alcuni hedge fund, una marea di speculatori e il mondo dei social. Quest’ultimo li ha indotti a effettuare massicce operazioni su un titolo azionario, il cui andamento in Borsa è stato del tutto anomalo e ha comportato allo stesso tempo grandi guadagni e grandi perdite a chi ha partecipato al gioco.
Mi concentrerò sui primi tre, che hanno molti punti in comune. Innanzitutto, essi sono, come ho già accennato, fallimenti di intermediari finanziari non bancari non sottoposti alle regole di legge e di vigilanza cui sono invece sottoposte le banche. In uno dei casi esaminati il non assoggettamento a tali regole ha permesso che un intermediario, o meglio un family office, la cui regolamentazione è ancora più opaca di quella delle non bank, fosse posseduto, amministrato e gestito da una persona che non aveva i requisiti di onorabilità previsti dalle nostre norme. Bill Hwang, come si chiama costui, era già stato infatti sanzionato nel 2012 e dovette pagare una multa salatissima per insider trading e nel 2014 fu addirittura escluso dal trading di Hong Kong. Come hanno fatto a fidarsi di lui gli investitori istituzionali che gli hanno affidato in gestione somme assai cospicue? E perché le autorità finanziarie, anche senza responsabilità specifiche, non sono intervenute per evitare un crack che avrebbe potuto essere evitato?
Il problema dell’intervento delle autorità negli altri due casi menzionati ci fu, ma fu estremamente leggero e poco convinto, anche nei riguardi delle banche facenti parte dei gruppi falliti. Esso fu anche tardivo, come ormai accade troppo spesso. Non si riesce a capire come, sia nel caso Wirecard sia in quello Greensill, tali autorità non si siano accorte dell’esistenza, in quei gruppi di reti internazionali, di società costituite ben prima del fallimento, per preparare la strada del dirottamento di fondi a danno dei loro creditori e anche dei loro azionisti di minoranza.
La suddetta struttura prevedeva poi un forte rapporto con il mondo politico, che è quasi sempre, come certamente è stato in questi casi, deleterio.
I fallimenti in esame sono poi stati dovuti anche, e forse soprattutto, a una cattiva gestione, imperniata su una poco accorta valutazione dell’affidabilità dei clienti finanziati, su un’eccessiva concentrazione del portafoglio crediti, su un anomalo uso degli algoritmi, su una scarsa considerazione dei conflitti di interesse, su un’opacità delle iscrizioni in bilancio degli affidamenti e degli utilizzi. Quanto questi fatti siano stati involontariamente dovuti a errori o a comportamenti deliberati è difficile dire, ma è certo che quando i vertici di quegli intermediari hanno insistito nel reclamizzare che i loro obiettivi erano quelli di effettuare operazioni a basso rischio e ad alto rendimento, ci si sarebbe dovuti rendere conto che questa combinazione non avrebbe potuto funzionare. Nei nostri casi ci sono stati addirittura rischi alti e rendimenti catastrofici.
È anche stupefacente constatare che il finanziamento di tali intermediari è stato assicurato dall’intervento massiccio di grandi investitori e primarie compagnie di assicurazione. C’è da chiedersi su quali basi essi abbiano affidato debitori come questi. Il quesito è ancora più grave se si pensa che alcuni di essi, come il Credit Suisse, sono stati coinvolti in due dei fallimenti in esame, fatto che ci ricorda il vecchio proverbio per il quale sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico.
Un ultimo fenomeno che ha accomunato i quattro scandali è stato il ruolo svolto nei loro confronti dai mezzi di comunicazione di massa. Il fallimento Wirecard è stato addirittura anticipato all’opinione pubblica e, quasi paradossalmente, anche alle autorità, comprese quelle di vigilanza, dal Financial Times. Qualcosa di simile è accaduto anche in Greensill, sul quale lo stesso giornale ha pubblicato nei primi mesi di quest’anno oltre quaranta articoli, evidenziando soprattutto i rapporti del finanziere a capo di quel gruppo con le autorità politiche nazionali e internazionali. Anche per Archegos l’attenzione dei media è stata forte, ma diversa dai due casi precedenti. Questi ultimi hanno infatti degli stake holder tipici dell’attività al dettaglio mentre il family office di Archegos ne aveva meno perché operava con un massimo di quindici clienti, nei confronti dei quali si è comportato come un classico gestore di patrimoni. Sui primi due l’analisi dei media si è dilungata sulle cause dei dissesti, sulle loro conseguenze sui creditori e sulle responsabilità dei vertici aziendali e della vigilanza. Su Archegos l’attenzione è stata invece concentrata essenzialmente sulla figura del finanziere che la gestiva, sull’ingenuità dei clienti che tanto ingenui in verità non avrebbero dovuto essere, sulle solite autorità di vigilanza che non avrebbero fatto bene il loro mestiere e, infine, sulle carenze delle norme legali e di vigilanza, che si sono rivelate troppo facilmente violabili o aggirabili e che dovrebbero quindi essere cambiate.
Nella vicenda GameStop i media coinvolti hanno svolto le funzioni classiche di diffusione delle relative notizie e del loro più vario commento, ma alcuni di essi, cioè le piattaforme social, sono state le vere protagoniste. Esse hanno invitato milioni di follower ad acquistare azioni di GameStop in un momento in cui i loro corsi erano in discesa a causa delle cospicue vendite di quel titolo da parte degli hedge fund. Gli azionisti sollecitati dai social hanno fatto invertire in pochi giorni la tendenza dei corsi che sono incredibilmente cresciuti facendo guadagnare parecchio chi li ha comprati nel momento giusto. Quando peraltro essi hanno cominciato a vendere, i corsi sono scesi rapidamente e molti si sono trovati, come si suol dire, con il cerino in mano. Senza l’azione dei social una vicenda del genere non avrebbe potuto accadere e questo la dice lunga sul loro potere, che del resto è destinato ad aumentare. Anche nel mercato finanziario ne vedremo delle belle e, peraltro non solo per questo motivo, gli scandali e il panico aumenteranno così come si ripeteranno le crisi degli intermediari bancari e finanziari seguendo copioni déjà-vu.
A parità di altre condizioni, l’importanza dei media in queste vicende avrà un impatto sempre maggiore e, a seconda delle circostanze, potrà aumentare o attenuare i loro danni. Il ruolo di tali mezzi diventerà più delicato e l’etica con cui esso sarà svolto raggiungerà un’importanza almeno pari, se non addirittura maggiore, di quella dei responsabili del mondo della finanza, protagonisti volontariamente o meno delle difficoltà temporanee, delle crisi vere e proprie, del panico e degli scandali finanziari e bancari, eventi pericolosissimi soprattutto quando si combinano in circoli viziosi che è difficile o impossibile fermare.