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19/01/2021 Francesco Perrini, Stefano Pogutz

La sostenibilità al centro dell’impresa

Era la fine del 2019 quando Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che, girando il mondo, aveva risvegliato le coscienze di migliaia di giovani sulla questione climatica, venne definita da TIME «Person of the Year», ricevendo l’onore della copertina e le attenzioni di leader politici, top manager e imprenditori. Nello stesso periodo l’Unione Europa aveva approvato il Green Deal, l’imponente Piano d’azione che, tramite lo stanziamento di circa 1000 miliardi di euro nell’arco di un decennio, ha come obiettivo quello di trasformare la sfida climatica e ambientale in un’opportunità, garantendo lo sviluppo di una società più giusta, prospera, fondata su un’economia moderna e competitiva. All’inizio del 2020 di sostenibilità si era parlato molto approfonditamente anche al World Economic Forum di Davos – il summit mondiale su economia e mercato – dove i fenomeni climatici erano al centro di molteplici incontri, insieme a economia circolare, transizione energetica e grandi sfide sociali.

In sintesi, l’homo oeconomicus sembrava finalmente avere preso coscienza delle proprie responsabilità verso il pianeta, spinto dalle crescenti evidenze scientifiche e dalle pressioni di quella parte della società più attenta al futuro e alla resilienza dei nostri ecosistemi: i giovani. Poi tra febbraio e marzo 2020 il mondo è stato colpito dalla violenza della pandemia da Covid-19 che, arrivata all’improvviso, ha sconvolto le nostre vite. In quei primi mesi di paura e confusione, in cui stavamo cercando di capire come affrontare l’emergenza sanitaria, economica e sociale, a detta di diversi detrattori della sostenibilità saremmo dovuti ritornare alle «cose concrete», al «business of business is business» di friedmaniana memoria, a focalizzarci sulle attività industriali consolidate, lasciando in un cassetto le richieste di Greta e i sogni dei giovani per un mondo più sostenibile e giusto.    

Oggi, mentre stiamo ancora lottando con il virus, possiamo guardare all’annus horribilis appena trascorso con la consapevolezza che almeno una cosa positiva è accaduta, un elemento che avrà effetti importanti sulla nostra prosperità, sul nostro benessere e sul nostro futuro. E stiamo parlando proprio della sostenibilità. Sia che si tratti dell’implementazione delle misure pubbliche necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, sia che si tratti dello stanziamento di risorse private, a differenza di quanto ritenevano gli scettici, i cinici o i negazionisti del riscaldamento climatico, il 2020 ha consolidato l’idea di sostenibilità come unico percorso possibile verso il futuro. Una scelta obbligata da cui ripartire, o provare a farlo, per superare le enormi ferite generate dal coronavirus, ma anche un’opportunità per ricostruire il nostro equilibrio tra economia, società e pianeta.

Dopo anni di sostanziale indifferenza da parte di manager, imprenditori e comunità accademica, oggi la sfida del clima, la scarsità delle risorse energetiche, i diritti umani, la parità di genere, la questione delle disuguaglianze sono diventati temi centrali nelle agende di aziende, banche, investitori, business school. Sembra infatti che la pandemia abbia contribuito ad accelerare alcuni percorsi avviati nell’ultimo decennio; su tutti, una dinamica di consumo più attenta ai prodotti di aziende che hanno un purpose sociale o ambientale, la richiesta di trasparenza e tracciabilità sull’operato delle imprese, lo sviluppo di forme di rendicontazione non finanziaria, l’attenzione degli investitori ai rischi Environmental, Social and Governance-ESG e all’impatto sociale. Inoltre, dopo il grande disimpegno sul tema ambientale del suo predecessore, il recente successo di Joe Biden nelle elezioni americane ha rilanciato la questione della lotta al cambiamento climatico e della sostenibilità, con l’idea che queste sfide possano finalmente diventare il perno comune dell’agenda politica ed economica internazionale per il prossimo decennio.   

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