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09/10/2020 Eleonora Maglia

Best Workplaces anche per le donne?

Gli elementi immateriali e relazionali rappresentano sempre di più i parametri tramite i quali verificare la bontà o meno di un luogo di lavoro. Tuttavia, il tema della promozione delle pari opportunità, rallentato dalla recente crisi da Covid-19, deve essere riaffermato per garantire ottimi luoghi di lavoro anche per le donne e per le madri

Cosa rende un luogo di lavoro «il miglior posto» dove svolgere la propria professione? Certamente molte componenti riguardano diverse variabili soggettive (l’età, la situazione contingente o le aspirazioni future), che rendono le persone più o meno sensibili a specifici aspetti (la stabilità economica, le prospettive di carriera o anche la vicinanza alla propria famiglia). Se la storica piramide di Maslow ricorda quanto sia necessario e prioritario il soddisfacimento dei bisogni basilari, gli studi sul tema e gli esperimenti organizzativi più recenti insistono piuttosto su elementi immateriali e relazionali. Secondo Ariely, per esempio, per i collaboratori di un’azienda sono fondamentali una serie di elementi ascrivibili alla percezione che i propri compiti si inseriscano in un quadro generale, che abbiano cioè uno scopo, e in generale che ci sia la sensazione di progredire e anche il riconoscimento dei risultati ottenuti[1].

Con svariate e personali risposte che portano a identificare l’ideale «miglior posto in cui lavorare», vi è però anche un tentativo di rispondere in modo oggettivo alla domanda posta in apertura di questo articolo. Si tratta della classifica Best Workplaces Italia – stilata da quasi 20 anni per valutare il clima organizzativo nei luoghi di lavoro italiani e per promuovere così l’eccellenza nella gestione del personale – che, per l’edizione 2020 recentemente pubblicata, ha intercettato e intervistato oltre 50.000 dipendenti[2].

In concomitanza della recente pubblicazione, per questo articolo se ne è tentata un’analisi in ottica di genere allo scopo di capire quanta attenzione viene posta alla promozione delle pari opportunità nelle aziende considerate Best Workplaces. Il tema è di grande interesse in virtù dell’evidenza che, per le donne, la questione della bontà di un posto di lavoro sembra tornare a ridursi a elementi materiali. I dati nazionali sul mercato del lavoro mostrano infatti che, per il genere femminile, sarebbe già auspicabile entrare nel mondo del lavoro, ricevere un equo compenso e poter svolgere serenamente l’attività professionale. Sarebbe auspicabile perché, invece, la disoccupazione femminile media europea rilevata da European Union Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) è maggiore dell’equivalente maschile di oltre 10 punti percentuali[3]; negli anni, il reddito annuo da lavoro tende ad aumentare per gli uomini ma diminuisce per le donne e, solo il Italia, secondo le rilevazioni Istat sono 404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro[4]

A riguardo, per promuovere una maggiore trasparenza sul tema, in occasione dell’ultimo Equal Pay Day, la Commissione Europea ha avviato un’azione di informazione in logica di fact checking. Complessivamente, risulta che tra i curriculum ricevuti i candidati di genere femminile vengono ricontattati con tassi inferiori (pari solo al 23 per cento dei casi) e per le assunte la retribuzione è in media il 23 per cento in meno rispetto all’equivalente maschile, pur a fronte del medesimo impegno profuso[5]. Anche dal punto di vista della carriera, sono gli uomini a occupare posizioni apicali con maggior frequenza e solo un terzo dei manager è di genere femminile. Invece, alla luce delle evidenze, un clima aziendale inclusivo con team diversificati e leadership non convenzionali è positivamente correlato a reputazione, efficienza e performance migliori, con risultati più alti se si guarda all’indice Dow Jones (fino al +22 per cento), maggiore produttività dei singoli (fino al +12 per cento) e superiore capacità di costruire con i clienti un rapporto solido e duraturo (fino al 19 per cento)[6].

 

Perché consultare la classifica Best Workplaces Italia?

All’interno del panorama tratteggiato, la classifica Best Workplaces Italia si propone di dar voce alla forza lavoro e valorizzare il punto di vista di coloro i quali – in una data organizzazione – trascorrono una buona quota della propria vita e possono valutare in prima persona l’efficacia delle logiche organizzative del personale qui adottate. Altro aspetto di pregio di questa rilevazione è la distinzione in sotto-classifiche a partire dalla dimensione dell’azienda candidata (calcolata in numero di dipendenti). Il tipo di segmentazione utilizzato può infatti contenere il rischio che l’accesso a professionalità e strumenti utili a una migliore qualità del lavoro potrebbe risultare poco agevole per strutture con risorse monetarie contenute, come sono in alcuni casi le PMI, che tra l’altro com’è noto sono molto presenti nel territorio italiano. Complessivamente, poi, il Best Workplaces poggia su un modello secondo cui l’eccellenza di un ambiente di lavoro si configura quando vi sono relazioni di fiducia reciproca con il management, si è orgogliosi del proprio lavoro e della propria organizzazione di appartenenza e i rapporti con i colleghi sono di qualità. Tutto ciò è, in effetti, in accordo con gli studi sul tema e gli esperimenti organizzativi più recenti che rilevano l’importanza di elementi immateriali e relazionali.  

Analizzando le best practice che hanno motivato la presenza e il posizionamento in classifica delle aziende premiate (il 32 per cento sono italiane), si nota una netta prevalenza dei temi legati all’innovazione nei metodi di assunzione, di inserimento e di partecipazione o carriera (come per esempio l’utilizzo della gamification di American Express Italia, prima classificata nella sezione 500+ dipendenti), oltre a una certa attenzione alla responsabilità sociale d’impresa (per esempio con percorsi di volontariato d’impresa come il programma Gucci Changemakers, 12°  classificato) e anche alla salute e al benessere (come il progetto BWell per la promozione di stili di vita sani e per la prevenzione delle malattie croniche attivato da Phillips, 13° classificato).

 

Quanta parte è data ai progetti rivolti alle pari opportunità?

Tra 153 aziende – valutate da un campione di dipendenti pressoché equo (53 per cento uomini e 47 per cento donne), nel 74 per cento non impiegato in posizioni apicali, con una prevalenza nella fascia d’età 26-34 anni (32 per cento) e di recente assunzione (meno di 2 anni, 32 per cento) – se ne trovano 5, premiate nella sezione 150-499 dipendenti, per programmi pensati per madri, famiglie e figli.

Eccone il dettaglio, in ordine di comparizione nella classifica. 1) Amgen Italia (attiva nel settore biotecnologico e farmaceutico, 4a classificata) premiata per le virtuose politiche di equità di genere in termini di retribuzione, servizi di welfare e di work-life balance, che vengono realizzate anche grazie a Employee Resouce Groups, delle comunità interne cui le persone in azienda sono incentivate a far parte per concorrere a creare una cultura inclusiva. 2) Vetrya (attiva nel settore IT, 5a classificata) premiata per la creazione di un’area riservata all’accoglienza dopo-scuola dei figli dei dipendenti, con attività educative e didattiche gratuite e protratte fino a sera (dalle ore 15 sino alle ore 20) e durante la chiusura scolastica per tutto il giorno. Anche qui la compartecipazione è favorita e il servizio è una sorta di work in progress che raccoglie i suggerimenti o le nuove esigenze via via maturate dalle dipendenti. 3) Gruppo Servier in Italia (attivo nel settore biotecnologico e farmaceutico, 16° classificato) organizza, su scala mondiale, l’opportunità di viaggio e vacanza per i figli dei dipendenti presso colleghi che volontariamente offrono disponibilità all’accoglienza. Qui, grazie alla piattaforma Global, ogni collaboratore dell’azienda posta la propria disponibilità e un mappamondo virtuale segnala le opportunità di applicazione. 4) Gruppo Assimoco (attivo nel settore servizi finanziari e assicurativi, 17° classificato) premiato per l’organizzazione di un evento contemporaneo dedicato alle famiglie, con percorsi informativi sulle logiche e i linguaggi di programmazione robotica per i minori e con consulenze pedagogiche per i genitori che vengono informati sull’utilizzo sicuro e consapevole delle tecnologie. 5) Mellin e Nutricia Italia di Danone Company (attive nel settore manifatturiero e produzione alimentare, 20e in classifica) premiate per la creazione in azienda di sale allattamento riservate alle neo-mamme, luoghi dove è possibile anche ottenere informazioni e consigli su una corretta nutrizione infantile.

 

Prevalenza ai progetti family-friendly

Complessivamente, in ottica di promozione alle pari opportunità, nella classifica Best Workplaces la presenza e la rilevanza maggiore è data quindi a progetti family friendly e si tratta di un’evidenza da osservare con favore e su cui concentrare l’attenzione. Infatti, interventi in merito sono già molto necessari se si pensa che nel 2019 su 49.451 dimissioni e risoluzioni consensuali annue registrate dall’Ispettorato nazionale del lavoro, i provvedimenti riguardano le lavoratrici madri nel 73 per cento dei casi e, tra queste, il 59 per cento ha un solo figlio o è in attesa del primo. In più, se già lo scorso anno tra le donne dimissionarie la motivazione dichiarata in modo più ricorrente è stata l’incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e le esigenza di cura della prole (20.212 su 56.636 conto 15.825 dell’anno precedente)[7], questo fenomeno potrebbe incrementarsi soprattutto nel momento contingente perché le limitazioni per fronteggiare l’emergenza Covid-19 (come la chiusura delle scuole e dei centri ricreativi o l’alternanza con la didattica a distanza) rischiano, se possibile, di peggiorare ulteriormente i dati rilevati prima della pandemia. Se la presenza di best practice per il work-life balance nella classifica Best Workplaces Italia è sicuramente un buon rilevatore di un avvio al cambiamento organizzativo verso il perseguimento di una cultura d’impresa che promuova la possibilità di occupazione e realizzazione professionale anche per le madri, l’innovazione di processo in tal senso andrebbe velocizzata e il momento attuale (pur devastante dal punto di vista economico e sociale) potrebbe anche essere propizio, visto che si sta in qualche modo ricontrattando anche il modo in cui le attività lavorative vengono svolte, pure creando nuove collaborazioni e reti che possano portare nuove soluzioni (a tal proposito è recente l’accordo tra Adecco Group, ManPowerGroup e Randstad).

 

Maggiore competitività economica con un miglior equilibrio tra generi

L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha reso evidenti molti dei vulnus dell’attuale sistema economico e sociale, inasprendo le disuguaglianze preesistenti. Se tutte le categorie sono state colpite, vi è stato un momento in cui si è parlato delle donne come di privilegiate, perché i tassi di contagio inizialmente registrati e diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità mostravano percentuali maggiori tra gli uomini. In uno stadio iniziale delle conoscenze sul tema, si è concluso che il genere femminile fosse protetto da fattori ascrivibili a componenti biologiche e comportamentali. 

L’ipotesi di minor sensibilità femminile al contagio, che è stata indagata anche a livello internazionale[8], in Italia – dove pur permane un minor tasso di letalità tra le donne come nel resto del mondo[9] – non è stata però confermata dalle rilevazioni successive[10]. Anche da questi dati sono corroborate le evidenze che, per il genere femminile, la pandemia ha avuto effetti considerevoli. Se si riflette sulla sfera professionale, familiare e relazionale, infatti, appare chiaro che, durante le fasi di isolamento, di lockdown e di prime riaperture, vi è stato un inasprimento di una serie di fenomeni tra cui la violenza domestica, l’iniqua distribuzione dei carichi di cura e la precarietà professionale.

A causa della pandemia il processo di emancipazione femminile rischia quindi di rallentare o arrestarsi nei casi peggiori, azzerando la libertà di scelta e di autodeterminazione. Per una consistente e consapevole partecipazione delle donne al sistema economico l’indipendenza economica è invece essenziale e, in proposito, occorre un approccio complesso, interiezionale e multisettoriale, come anche evidenziato nel Rapporto iniziative per il rilancio «Italia 2020-2022» (o Piano Colao)[11]. Qui, tra i tre assi di rafforzamento per la trasformazione del Paese che hanno ispirato la visione dell’Italia del futuro, gli obiettivi e le raccomandazioni del Comitato, trovano posto anche la parità di genere e l’inclusione, tra l’altro per assicurare anche alle donne un posto nello sviluppo della vita economica e sociale e divellere definitivamente le disuguaglianze economiche, territoriali e generazionali che costituiscono un freno allo sviluppo economico e sociale del Paese. Anche le conclusioni del Rapporto World Economic Forum sul Gender Gap allertano che la competitività economica può essere accresciuta conseguendo un migliore equilibrio tra generi nei posti di responsabilità e che solo le economie che riusciranno a impiegare tutti i loro talenti riusciranno poi a prosperare.

Ora l’occasione di un cambiamento obbligato può così dar agio a innovazioni sugli strumenti volti a realizzare ottimi luoghi di lavoro anche per le donne e per le madri, per esempio estendendo le best practice identificate come virtuose nel Best Workplaces Italia 2020. Dove, come si è visto, è stato possibile, anche in aziende di non grandissime dimensioni, creare servizi dopo scuola che siano realmente rispondenti alle esigenze delle donne, grazie a processi di compartecipazione delle lavoratrici nella definizione delle politiche aziendali.

Certamente sarà necessario ancora molto lavoro in proposito perché, se la piena inclusione femminile è tanto auspicabile da essere presente nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Goal 5 per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere), la misurazione dell’avanzamento nel raggiungimento dei SDGs stessi mostra che, in media, i Paesi OCSE sono ancora lontani dagli obiettivi legati alle disuguaglianze (partecipazione e leadership femminile) e alla sicurezza (violenza contro le donne) e l’Italia ha raggiunto finora solo 12 dei 105 target previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite secondo le rilevazioni OECD[12].

Si può quindi concludere che un’organizzazione del lavoro che consenta di coniugare maternità e professione è una delle sfide del futuro e l’auspicio è che, tra un anno, nella prossima Best Workplaces Italia, si possa già vederne molti nuovi modelli positivi.

 

Eleonora Maglia, PhD in Economics e Master in IT; Ricercatrice per il Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi; Giornalista per Il Sole 24 Ore (contributor di Econopoly-Numeri, idee e progetti per il futuro); Membro dello Spin-off per l’Innovazione sociale di CSV Insubria, dirige l’Osservatorio per l’analisi del gender gap nelle professioni.



[1] D. Ariely, Payoff. The Hidden Logic That Shapes Our Motivation, New York, Simon Schuster, 2016.

[2] «Classifica Best Workplaces Italia 2020», Great Place to Work, 2020.

[3] Eu-silc, Indagine sul reddito e le condizioni di vita, 2018.

[4] Istat, Indagine sulla sicurezza dei cittadini, 2016.

[5] European Commission, The Gender Pay Gap Situation in the EU, 2019.

[6] V. Casali, Valorizzare le diversità nell’impresa. Verso cantieri di innovazione sociale, Sviluppo & Organizzazione, 272, 2016, pp. 17-30

[7] Ispettorato nazionale del lavoro, Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, 2019.

[8] BMJ Global Health, Sex, gender and Covid-19: Disaggregated data and health disparities, 2020.

[9] Global Health 50/50, Resources on gender and secondary impacts of the Covid-19 pandemic, 2020.

[10] Istituto Superiore di Sanità, Differenze di genere in Covid-19, 2020.

[11] Comitato di esperti in materia economica e sociale, Iniziative per il rilancio «Italia 2020-2022», 2020.

[12] Asvis, L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Rapporto 2019, 2019; OECD, Measuring Distance to the SDG Target, 2019.

 

Equità di genere