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Vaccino anticovid: un bene pubblico globale
Gli eventi di queste settimane, dal progredire della prima ondata di contagi Covid-19 in alcuni Paesi all’arrivo di quella sembra tanto una seconda ondata in altri, indicano che il mondo difficilmente riuscirà a uscire dall’attuale crisi economica legata alla pandemia se prima non avrà scoperto un vaccino sicuro ed efficace.
A memoria d’uomo non è mai successo che così tante vite umane dipendessero per la loro salute e il loro sostegno economico da un singolo intervento sanitario. E che le speranze di così tante persone fossero riposte nelle mani di una categoria professionale, quella degli scienziati, che negli ultimi anni è spesso stata bersaglio della retorica populista (in quanto composta da «esperti»), soprattutto (e in un certo senso paradossalmente) in alcuni dei Paesi più colpiti dalla pandemia: dal Regno Unito di Boris Johnson agli Stati Uniti di Donald Trump e al Brasile di Jair Bolsonaro.
La speranza concreta è che un vaccino sicuro ed efficace possa essere disponibile nei prossimi mesi o comunque entro la primavera del 2021. Ma mentre la scoperta di un vaccino rappresenta un’ovvia priorità, non bisogna dimenticare che l’obiettivo finale non è tanto quello di scoprire tale vaccino, quanto quello di porre fine alla pandemia. Per definizione, l’epidemia in corso resterà pandemica finché coinvolgerà gran parte della popolazione mondiale, o perché infetta o anche semplicemente perché a rischio di infettarsi. Per questo motivo, il Covid-19 si potrà dire sconfitto soltanto quando miliardi di dosi di vaccino saranno prodotte a prezzi accessibili e rese disponibili a tutti, anche nei Paesi più poveri del mondo.
L’opinione di molti è che questo non sarà possibile se la produzione e la distribuzione del vaccino sarà lasciata unicamente al libero mercato. La ragione è che vaccinarsi crea degli effetti esterni positivi. Chi si vaccina fa ovviamente del bene a sé stesso, ma lo fa anche agli altri: ai non vaccinati perché riduce le loro probabilità di contagiarsi; a tutta la comunità perché non ammalandosi lascia libere risorse sanitarie, in termini di medicinali, posti letto in ospedale o tempo del personale, che possono essere utilizzate anche da malati con altre patologie. Quando però una persona decide individualmente di comprare e somministrarsi un vaccino, non tiene conto di queste esternalità positive, che quindi non vengono rispecchiate nel prezzo del vaccino, con il risultato che tale prezzo risulta essere troppo basso relativamente ai benefici che crea per la collettività. Per questa ragione, la quantità di dosi di vaccino scambiata sul mercato risulta essere a sua volta inefficientemente bassa.
Nel linguaggio degli economisti, siamo di fronte a un esempio di «bene pubblico», cioè di un bene che soddisfa due proprietà. La prima è che il suo consumo da parte di un individuo non ne rende impossibile il consumo simultaneo da parte di un altro. Si parla in questo caso di «assenza di rivalità» nel consumo. La seconda proprietà è che, una volta che il bene sia stato messo a disposizione di chi ha pagato per consumarlo, diventa impossibile impedirne il consumo anche da parte di chi non lo ha pagato. In questo caso si parla di «assenza di escludibilità». Com’è possibile che questo avvenga nel caso di un vaccino? In fondo, se compro e mi somministro una dose di vaccino, nessun altro potrà somministrarsela (esiste quindi rivalità) e, quand’anche non me la somministri, chi volesse farlo dovrebbe ottenere quella dose da me (esiste quindi anche escludibilità).
La spiegazione è che il bene pubblico non è tanto la dose del vaccino, quanto il suo effetto su di me, cioè la mia immunizzazione, di cui possono liberamente godere gli altri (non c’è rivalità) anche se non hanno contribuito a pagare la mia immunizzazione (non c’è escludibilità). È a causa di questi due aspetti che il settore privato è incapace di offrire il bene pubblico «immunizzazione» in modo efficiente: il prezzo di mercato del bene non riesce a riflettere interamente il suo beneficio per la collettività. Poiché in questo caso il mercato fallisce, l’offerta socialmente efficiente di immunizzazione richiede necessariamente un intervento pubblico.
C’è però un’ulteriore complicazione. Nel caso di una pandemia l’intervento pubblico a livello di singolo Stato nazionale non basta. Il motivo è quello già discusso per un individuo, ma applicato a un Paese. Quando un Paese vaccina i suoi cittadini, crea degli effetti esterni positivi anche sui cittadini degli altri Paesi. In questo senso, fa ovviamente del bene alla propria comunità nazionale, ma lo fa anche alla comunità mondiale. Basti pensare al contributo che una campagna di vaccinazione anticovid a livello nazionale potrebbe avere nell’evitare il ripetersi del triste spettacolo di accaparramento di dispositivi di protezione individuale e di kit per i test Covid-19 visto nei mesi scorsi. Pertanto, l’immunizzazione è quindi non solo un bene pubblico, ma un «bene pubblico globale»: solo un’azione pubblica coordinata a livello mondiale può portare a un livello di immunizzazione efficiente. Trattandosi di esternalità positive nell’ambito di una pandemia, il libero mercato non produrrebbe abbastanza immunizzazione, non solo su scala nazionale, ma anche su scala planetaria.
Questo non vuol dire però che l’intervento pubblico possa fare a meno del settore privato, per la semplice ragione che quest’ultimo offre competenze e risorse assolutamente necessarie allo sviluppo, alla produzione e alla distribuzione del vaccino. La scoperta e la disponibilità universale di un vaccino anticovid rappresentano un’impresa di proporzioni tali da non poter essere portata a termine a meno che pubblico e privato non cooperino intensamente.
Che un livello di immunizzazione efficiente a livello globale non possa essere raggiunto da un libero mercato dei vaccini, ma neanche da iniziative solitarie del settore pubblico è la tesi di un articolo scritto su Foreign Affairs da Ngozi Okonjo-Iweala[1]. L’autrice è inviata speciale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la lotta al Covid-19 e candidata alla Direzione generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). È anche Board Chair di Global Alliance for Vaccines and Immunization (GAVI), una partnership globale, di natura sia pubblica sia privata, il cui scopo è promuovere l’accesso ai vaccini, soprattutto nei Paesi poveri. Tra gli altri partner, dal lato pubblico spiccano, oltre all’OMS, l’UNICEF e la Banca Mondiale; dal lato privato la Bill & Melinda Gates Foundation. Tra le attività di GAVI è di particolare rilievo in questo momento la recente iniziativa denominata Access to COVID-19 Tools Accelerator (ACT) compartecipata dall’OMS e dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), una fondazione pubblica-privata, compartecipata anche dall’Unione Europea, che raccoglie fondi per finanziarie la ricerca sui vaccini contro le cosiddette «malattie infettive emergenti», cioè le malattie infettive la cui incidenza è aumentata negli ultimi venti anni. Per quanto riguarda i vaccini, il pilastro di ACT si chiama COVAX, il cui scopo è accelerare lo sviluppo e la produzione di vaccini Covid-19 e garantire un accesso giusto ed equo a tutti i Paesi del mondo.
Secondo Okonjo-Iweala, né i singoli governi né le grandi aziende farmaceutiche possono guidare in solitario gli sforzi per la più grande distribuzione di vaccini nella storia. I governi, le aziende farmaceutiche e le organizzazioni multilaterali devono collaborare per sviluppare, produrre e fornire il vaccino. Produrre e distribuire miliardi di dosi di un nuovo vaccino sarebbe difficile nel migliore dei casi. Farlo durante una pandemia richiede uno sforzo globale senza precedenti.
Per capire la dimensione della sfida, basti considerare che una carenza globale simile a quella dei dispositivi di protezione individuale e dei kit di test Covid-19 è stata già vissuta nel caso dei vaccini. Per esempio, l’aumento della domanda per il vaccino HPV (contro il papillomavirus) nei Paesi sviluppati ha recentemente impedito la vaccinazione di molte adolescenti vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo. Analogamente, durante la pandemia H1N1 (quella della cosiddetta «influenza suina») del 2009, un piccolo numero di Paesi ha effettuato grandi ordini anticipati per il vaccino prima che diventasse disponibile, accaparrandosi così gran parte delle forniture mondiali a scapito del resto del mondo. Un’azione, questa, che ricorda alcuni atteggiamenti dell’amministrazione statunitense negli ultimi mesi.
In questo senso, garantire un livello efficiente di immunizzazione e un’equa distribuzione dei vaccini a livello globale può sembrare un’impresa davvero ardua. Okonjo-Iweala segnala però che esiste un precedente di successo. Nel 2009 GAVI ha lanciato il suo progetto pilota di Advance Market Commitment (AMC), un meccanismo di finanziamento innovativo simile all’ACT, che ha già contribuito ad accelerare la diffusione dei vaccini. Prima di questo progetto ci sarebbe voluto più di un decennio perché il prezzo dei nuovi vaccini, come il vaccino pneumococcico coniugato (PCV), scendesse abbastanza da permettere ai Paesi più poveri di acquistarlo. L’AMC ha contribuito da accorciare significativamente questi tempi, rendendo i vaccini accessibili a tutti e fornendo incentivi ai produttori per creare un mercato dove prima non c’era. L’idea è stata quella di mettere a disposizione i fondi necessari per garantire in anticipo il prezzo dei vaccini una volta sviluppati e autorizzati. Questo ha contribuito a rimuovere preventivamente il rischio associato a investire in capacità produttiva prima di avere i vaccini e conoscerne il prezzo di mercato. In questo modo, la capacità produttiva sarebbe stata già pronta quando i vaccini fossero stati scoperti. GAVI ha utilizzato un simile approccio per accelerare la produzione del vaccino contro l’ebola in tempo per evitare che la più recente epidemia nella Repubblica Democratica del Congo andasse fuori controllo. Sebbene il Covid-19 sia una malattia molto diversa, si è cercato di mettere in atto meccanismi di finanziamento simili per garantire che i vaccini siano resi disponibili in modo accelerato. Nella misura in cui implicano accordi legalmente vincolanti con i produttori, tali meccanismi aiutano anche a prevenire l’accaparramento delle dosi da parte dei Paesi più ricchi e a promuovere un accesso efficiente per tutte le nazioni del mondo.