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Cultura, benessere e salute. Verso un welfare culturale?
Il rapporto tra cultura e salute ha conosciuto negli ultimi anni una costante crescita di interesse, soprattutto grazie alle evidenze della ricerca scientifica e di alcune interessanti esperienze.
Numerosi studi scientifici epidemiologici, osservazionali e longitudinali, realizzati prevalentemente in area anglosassone e Nord-europea, hanno acclarato come la partecipazione culturale attiva, e più in generale l’uso intelligente del tempo libero, siano alleati nel prolungamento delle aspettative di vita, nell’invecchiamento attivo, nel recupero post-operatorio, nel decorso più graduale nei casi di patologie croniche degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.
Le neuroscienze hanno identificato le strutture neurali coinvolte nella sensazione di benessere e ricompensa, dimostrando come queste vengano stimolate dal piacere estetico, aprendo di fatto la ricerca all’influenza dell’esperienza culturale sull’attività connettiva, ma anche sulla struttura e la biochimica cerebrale. Va in questa direzione la psicologia positiva: la scienza presta oggi attenzione alle potenzialità per supportare lo sviluppo individuale e sociale e in tal senso è chiaro il ruolo delle emozioni e dei processi di elaborazione cognitiva dello stress. Si tratta di un tema di indagine per la PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia) che presenta una lettura sistemica dell’organismo, dimostrando come le increzioni eccessive dell’ormone dello stress (cortisolo) manifestino i propri effetti sul sistema immunitario con impatti biologici importanti, longitudinali e transgenerazionali. Più recentemente, l’epigenetica ha iniziato a raccontare come gli stili di vita possano modificare il comportamento dei nostri geni.
Si tratta di nuove e stimolanti prospettive che spostano la focalizzazione da un approccio alla cura bio-medico, che ha caratterizzato la lotta alle patologie, a un approccio bio-psico-sociale, il cui assunto è che ogni condizione di malattia e salute sia la conseguenza dell’interazione fra più fattori in grado di influenzare l’insorgenza e l’evoluzione di patologie, andando oltre le singole funzioni vitali e i singoli organi.
Queste prospettive integrano gli studi sulle medical humanities (che arricchiscono la biologia con la visione delle discipline umanistiche) con un approccio alla cura che parte dalla promozione e dalla prevenzione della salute (in cui il ruolo dell’individuo risulta attivo). È l’ottica «salutogenica» (la cui definizione si deve al sociologo della medicina Aaron Antonovsky): generare salute creando contesti sociali favorevoli al benessere delle persone.
La salute, già nell’accezione data dall’OMS-Organizzazione Mondiale della Sanità, non è intesa come contrapposizione tra poli opposti – presenza o assenza di patologie –, ma come qualità della vita e benessere, e come tale necessita di un approccio multifattoriale interdisciplinare. Il nucleo fondamentale delle life skill definito dall’OMS comprende dieci abilità cognitive, emotive e relazionali di base (diverse per culture, ma con un nucleo di base) che consentono alle persone di acquisire un comportamento versatile e positivo attraverso il quale cogliere le opportunità e affrontare le sfide della quotidianità. Queste costituiscono la base della promozione della salute e del benessere di bambini, adolescenti, adulti.
L’esperienza culturale, eudaimonica (di costruzione di senso), può entrare a far parte integrante delle strategie di prevenzione e cura in tutte le fasi della vita, fin dal concepimento, toccando l’importanza del nurturing care, ovvero la creazione di contesti fecondi per la crescita cognitiva e sociale, già dai primi mille giorni di vita, fondamentali per lo sviluppo delle sinapsi neuronali, fino alla quarta età.
In tal senso, gli investimenti di energie nella ricerca di pratiche attive è notevole, soprattutto dal basso da parte di organizzazioni del terzo settore, operatori sanitari e sociali, dipartimenti formativi dei musei (attivi nell’audience engagement, ma ancora ancillari e subordinati alla funzione curatoriale), altri soggetti culturali (nei linguaggi musicali, teatrali, danza fino ad arrivare alle discipline circensi). I progetti culturali pilota nell’area della salute sono innumerevoli: dall’arte negli ospedali alla musicoterapia, passando per la lettura fin dal periodo perinatale. Ma come afferma il Prof. Pier Luigi Sacco, economista della cultura, seppur promettenti nei risultati, tutti questi progetti sono ancora prevalentemente «pulviscolari», confinati al rango di curiosità, come episodi marginali nei processi di cura. Raramente incorporati in approcci intersettoriali.
Per l’Italia, l’alta formazione nelle professioni della cura non guarda ancora alle humanities con cattedre dedicate. La relazione tra cultura e salute è presente solo sporadicamente ed eccezionalmente, come pure nella formazione in campo culturale ed educativo.
Le istituzioni culturali sono oggi a un punto di svolta per il ruolo e la rilevanza che si propongono di assumere all’interno della società contemporanea. Il mantra dell’ultimo decennio è stato lo sviluppo dei pubblici (l’audience development) e il loro engagement, in un’era di grandi trasformazioni: interculturalità e accelerazione dell’innovazione tecnologica in primis. Le istituzioni culturali stanno quindi passando attraverso una profonda riflessione sulla loro impact vision, che riguarda tutta l’organizzazione. La consapevolezza di questa valenza non va a indebolire le funzioni di ricerca storico-artistica, di conservazione o valorizzazione del patrimonio culturale, ma le rafforza consentendo di disegnare strategie che ne inglobino gli effetti attesi ab origine e non come spill over effect.
La strada comunque è segnata. La partecipazione culturale ha riflessi sulla qualità della vita, pre-requisito per uno sviluppo sociale ed economico sostenibile. Queste evidenze cambiano anche lo sguardo di fronte ai temi delle nuove ineguaglianze, dei frutti inattesi dell’era che abbiamo chiamato «economia della conoscenza e della giustizia sociale».
Catterina Seia è co-funder e vice-presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna