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La difficile fase 2 della Cina
Per Pechino annunciare la data per l'unico appuntamento annuale del Congresso nazionale del Popolo significa affermare che l'epidemia è sotto controllo. E così quando dopo due mesi e mezzo di ritardo è stata ufficializzata al 22 maggio, per molti è stata la conferma di un ritorno alla normalità.
Infatti si è ricominciato a prendere i mezzi pubblici e a spostarsi per il Paese, a patto che il codice sanitario dei potenziali viaggiatori – assegnato da un complesso algoritmo che incrocia storia medica, spostamenti e incontri di ogni singolo cittadino – sia verde. Un sistema che viaggia su almeno un centinaio di app, le più diffuse delle quali sono collegate ai sistemi di pagamento dei colossi del web WeChat (quasi un miliardo di utenti) e Alipay (circa 400 milioni di utenti).
Ma la paura rimane tanta e diversi cittadini dello Hubei, la regione con capoluogo Wuhan che è stata la più colpita del Covid19, lamentano di non essere stati fatti entrare in diverse città o in singoli hotel. Ai cittadini stranieri è ancora fatto divieto l'ingresso nel Paese, i voli intercontinentali sono ridotti al minimo e i cinesi che tornano in patria devono obbligatoriamente sottoporsi ad almeno 14 giorni di quarantena.
Al momento però la situazione più difficile è al nord della Cina, nelle regioni che confinano con la Russia. Ad Harbin, metropoli di dieci milioni di abitanti, sono stati individuati diversi focolai di infezione e ai locali è stato fatto divieto di uscire dalla città. E non sono poche le cittadine del nord-est cinese sottoposte a nuove forme di restrizione di mobilità.
Qui il contagio di ritorno è stato più alto e meno controllato che in altre parti del Paese. Molti dei cinesi residenti in Russia, infatti, sono rientrati via terra portando con sé il coranavirus in aree fino a quel momento fatte salve dal contagio. Le autorità locali sono state punite, ma per il resto Pechino è più concentrata a far ripartire il Paese.
E la popolazione risponde, secondo Zak Dychtwald di Young China Group, grossomodo in due maniere. C'è chi si butta a capofitto nella vita, nella rinnovata convinzione di vivere ogni momento come se fosse l'ultimo, e chi invece, specialmente se maggiormente colpito economicamente dal lockdown, ricomincia a vivere nella maniera più cauta di sempre, ancora più convinto che la salute sia il bene primario da difendere.
Intanto ristoranti, fabbriche e uffici stanno gradualmente riaprendo, così come le scuole. Ma niente è uguale a prima. Ci si registra per prendere i mezzi, per entrare nei locali e nei negozi, dove la temperatura viene misurata a ogni avventore. Si mangia soli, si lavora e si studia muniti di mascherine, e la distanza sociale è diventata un'abitudine. E poi ci sono attività che ancora non hanno ripreso come i cinema e i concerti, le palestre e le università.
Molti governi locali stanno cercando di incoraggiare un riposo settimanale più lungo (due giorni e mezzo), e orari di lavoro flessibili in modo di evitare orari di punta. L'idea è quella di implementare questa strategia almeno fino a dicembre, quando, si spera, sarà disponibile una cura o un vaccino.