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08/04/2020 Roberto Ruozi

Alla ricerca della redditività perduta

A differenza di quelle straniere, americane in primis, negli anni post crisi 2008 le banche italiane non hanno avuto il coraggio di cambiare il loro modello di business. E questo sta influendo molto sulla loro capacità di essere competitive sul mercato globale

Gli articoli di fondo del Financial Times dello scorso 25 e 26 febbraio[1] dimostrano che le banche europee hanno sempre maggiori difficoltà nel trovare i loro massimi dirigenti, in quanto questi sono sempre più attratti dai lauti salari percepiti dai colleghi negli Stati Uniti, ormai diventati rari nel mercato e quasi inesistenti all’interno delle singole banche, le quali non avrebbero adeguatamente preparato le loro risorse di ricambio. È difficile dire se il problema esista anche per le banche italiane, ma il fatto che quando c’è da fare qualche scelta si finisca sempre per attingere a una rosa ristretta di nomi, nella quale non tutti hanno un grande passato e che con ogni probabilità non avranno neppure un grande futuro, dimostra che forse è una questione che ci riguarda da vicino. Anche da noi, del resto, vi sono molte difficoltà a trovare all’interno delle singole banche i successori dei vertici che le abbandonano.

Situazioni analoghe a quelle dei vertici cominciano a interessare anche le risorse di livello più basso e le nuove acquisizioni. Il fatto è che, mentre fino a non molti anni fa un posto in banca era una delle massime aspirazioni dei giovani, compresi i più brillanti laureati, sia perché assicurava uno status sociale di tutto rispetto, sia perché garantiva la stabilità dell’impiego e una buona remunerazione, oggi tutto è cambiato. Nessuno di questi tre attrattori è infatti ancora valido.

Influiscono in tal senso anche le massicce operazioni di licenziamento di risorse umane da parte delle banche italiane, che peraltro non fanno che ricalcare le orme delle loro concorrenti estere, le quali annunciano con sempre maggiore frequenza la riduzione del personale impiegato.

In effetti, tale riduzione è indispensabile, come lo è quella degli sportelli tradizionali: il costo del lavoro e quello degli sportelli rappresentano voci estremamente importanti del conto economico delle banche e la tecnologia produttiva influisce sui canali distributivi richiedendone un numero sempre minore di dipendenti.

Le banche si stanno avviando a essere sempre meno labour-intensive e si stanno dotando di canali distributivi che non prevedono più la presenza fisica dei lavoratori. Il tutto avviene in un sistema che rimane fortemente, per non dire quasi unicamente, concentrato sulle tradizionali attività al dettaglio. Buona parte di tali attività hanno una redditività sempre minore e il contenimento dei loro costi attraverso la riduzione delle risorse umane e degli sportelli è indispensabile ma non sufficiente né a livello delle singole banche, né a livello di sistema per consentire un aumento della loro redditività. Per raggiungere l’obiettivo si dovrebbe agire anche sui ricavi, ma questo è molto più difficile soprattutto in presenza di tassi di interesse vicini o addirittura inferiori allo zero. In verità, in questo campo qualcosa di interessante è già stato fatto e ha riguardato una cambiamento nel portafoglio attività di molte banche. Queste sono state maggiormente coinvolte nella gestione dei patrimoni dei clienti e che ha conseguentemente aumentato il peso delle commissioni rispetto a quello degli interessi, anche se questi ultimi continuano a essere determinanti.

La concentrazione del sistema potrebbe aiutare e al proposito è indubbio che in Italia ci sia ancora molto da fare, come ha ribadito anche recentemente il Governatore della nostra banca centrale. All’occorrenza, potrebbe aiutare l’operazione annunciata da Banca Intesa per l’acquisizione del controllo di UBI. Potrebbero anche essere utili, fra l’altro, le sistemazioni all’interno del nostro sistema di Carige, MPS e Banca Popolare di Bari, nonché la ristrutturazione delle BBC e delle piccole banche popolari.

Bisogna tuttavia osservare che queste operazioni, ammesso che vengano effettuate, non risolverebbero il problema di fondo della redditività delle nostre banche, perché queste continuerebbero ad avere una struttura e un modello di business tutto sommato non molto diversi da quelli attuali, che sono notoriamente non più competitivi. Inoltre, tutte le fusioni suddette e le altre che potrebbero accompagnarle riguarderebbero solo banche italiane, confermando la natura domestica del nostro sistema sempre meno aperto al confronto internazionale.

In questo panorama non è un caso che le banche americane, tornate anch’esse a operare soprattutto in casa rinunciando alla storica presenza a livello internazionale, avendo avuto il coraggio di cambiare radicalmente il loro modello di business, hanno ricominciato a produrre risultati più che soddisfacenti, superiori a quelli delle banche europee e, a maggior ragione, di quelle italiane. Si sono anch’esse concentrate nell’attività al dettaglio, ma cambiando tipo di azionariato, modalità di corporate governance, prodotti, canali distribuitivi, sistemi organizzativi, professionalità delle risorse umane e via dicendo. Le banche in questione sono così oggi profondamente diverse da quelle che erano prima della crisi del 2007-2008 e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Da noi si è invece «cambiato tutto per non cambiare niente», per usare la massima di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. La concentrazione finora realizzata è avvenuta in questa logica, anche se alcuni risultati, tuttavia non sufficienti, sono stati ottenuti e saranno ancora ottenuti nel prossimo futuro soprattutto nel contenimento dei costi grazie anche alle economie di scala che ha consentito.

Forse è per questo scettiscismo di fondo sul futuro delle nostre banche che, nonostante l’ufficiale dichiarazione della loro solidità, il Governatore è sempre più preoccupato delle modalità di gestione delle crisi. Ciò è molto importante, ma sarebbe meglio che ci si preoccupasse di evitare che le crisi scoppino. È questa l’unica strada da seguire per evitare ulteriori catastrofi e per mirare a obiettivi di redditività che si possono ottenere solo con una forte determinazione e una capacità di cambiare che al momento non esistono.



[1] «Hunt for next chiefs puts Europe’s banks to test», Financial Times, 26 febbraio 2020. 

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