Archivio

26/02/2020 Stefano Basaglia

Come cambia il lavoro ai tempi del coronavirus

Il Coronavirus (COVID-19) sta avendo due impatti rilevanti sull’organizzazione del lavoro.

Il primo riguarda i cosiddetti open space, ossia uffici aperti con o senza postazione fissa per i lavoratori, progettati per ridurre i costi relativi agli spazi fisici e per favorire l’interazione tra le persone e lo scambio di informazioni[1]. Il layout di questi uffici favorisce, però, anche il contagio e, quindi, la proliferazione delle malattie. Questo vale per il Coronavirus, ma ovviamente anche per la normale influenza stagionale. Le aziende, quindi, per sopperire a questo problema sono state costrette, nell’immediato, a limitare i movimenti dei dipendenti all’interno degli uffici (come per esempio, il divieto di muoversi tra un piano e un altro). Il problema del contagio si aggiunge ad altri aspetti negativi già conosciuti (mancanza di concentrazione, bassa/nulla possibilità di personalizzare la propria postazione, presenza di un controllo panottico ecc.). Per il futuro, le aziende dovranno forse rivedere alcune scelte che sembrano scontate.

Il secondo impatto riguarda la diffusione dello smart working che in questi giorni è diventata una necessità. Viene meno la dimensione «glamour», ossia il suo lato modaiolo ed edonistico basato su un’idea di progresso (lavora quando e dove vuoi – al parco, al bar, tra un impegno privato e un altro), e viene meno il suo carattere sperimentale (limitato nel tempo, nello spazio e nel numero di lavoratori coinvolti). Si tratta, quindi, di un test su larga scala in cui vedremo se le imprese e i lavoratori siano veramente pronti e preparati, al di là dei proclami e degli annunci[2].

Lo smart working al tempo del Coronavirus sostituisce un luogo di lavoro (l’ufficio) con un altro (l’abitazione) in un momento in cui tutti stanno a casa (mariti, mogli, compagni/e, figli). Come verrà gestita la convivenza nello stesso spazio fisico tra persone che lavorano in aziende differenti con esigenze lavorative e familiari diverse? Infine, sarà un test anche per le infrastrutture informatiche perché molti dei sistemi a supporto dello smart working saranno utilizzati nelle abitazioni con differenti livelli di velocità delle connessioni. Questa sperimentazione forzata potrà far emergere gli aspetti potenzialmente positivi (per esempio, eliminazione dei tempi di spostamento, maggiore autonomia nella decisione dei tempi di svolgimento delle attività ecc.) e negativi (problemi di coordinamento tra i lavoratori, riduzione dei legami sociali e comunitari all’interno delle organizzazioni, conflitto tra momenti di lavoro e momenti privati, adeguatezza delle proprie abitazioni allo svolgimento delle attività lavorative ecc.) dello smart working. Questo esperimento, quindi, ci può aiutare a comprendere meglio come le organizzazioni e i lavoratori usano lo smart working e quali sono gli effetti. Le aziende potranno capire se e come le soluzioni che hanno approntato funzionino veramente e, in caso positivo, come renderle permanenti, in caso negativo, come intervenire per correggere gli eventuali errori di progettazione/implementazione.

Corona