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L’ascesa del terzo re
Nelle settimane del coronavirus tutto quello che accadeva – o non accadeva – nella politica economica e monetaria americana si riverberava in un attimo in tutto in globo, anche attraverso il canale rappresentato dal dollaro. Non è un caso che la prima azione coordinata tra le banche centrali di Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Giappone, Svizzera e Canada è stata quella di un doppio intervento – il primo il 15, il secondo il 20 di marzo – volto a rafforzare i canali di rifinanziamento a termine di dollari tra la FED e gli altri istituti di emissione, sia in termini di volumi, aumentati, si di costi, abbassati. La ragione è stata la crescente domanda mondiale di dollari, ritenuto un rifugio sicuro; la domanda di conversione di attività finanziarie denominate in valute diverse dal biglietto verde ha provocato una carenza dello stesso. Si noti che nessun simile accordo esiste tra la FED e la Banca Popolare di Cina. Il fenomeno congiunturale è una buona occasione per fare il punto sul rapporto tra monete, da un lato, e scambi reali e finanziari, dall’altro.
Partiamo da una prima fotografia: quante monete sono oggi utilizzate negli scambi reali e finanziari? Una analisi economica superficiale, che considerasse il mondo come un unico mercato, potrebbe auspicare l’esistenza di una sola moneta: un’unica unità di conto che tutti usano e accettano riduce i costi di transazione, con un effetto benefico sugli scambi. Una analisi economica un po’ più approfondita subito riconoscerebbe però che nell’analisi dei costi e benefici va aggiunto il ruolo della moneta come strumento di politica economica. Ma l’analisi diviene completa sono quanto si aggiungono i vantaggi che i politici percepiscono dal poter far utilizzare il proprio debito come strumento di pagamento negli scambi dei cittadini, ricordando che il loro orizzonte temporale tende a essere breve, causa ideologia o elezioni. Dunque la sovranità monetaria è un arma sia economica sia politica, e poiché ogni Paese ha i suoi politici, dal secondo dopo guerra in avanti la crescita del numero dei Paesi è stata accompagnata da una crescita nel numero delle monete.
Consideriamo gli attuali 203 stati sovrani – di cui 193 sono membri delle Nazioni Unite – e dividiamoli in due gruppi. Da un lato ci sono i Paesi che de jure hanno rinunciato alla sovranità monetaria: sono quelli che partecipano a una unione monetaria, oppure che hanno una «moneta àncora», cioè hanno fissato un tasso di cambio fisso e irreversibile con una moneta emessa da altri, o che addirittura hanno adottato la moneta àncora come propria valuta. L’Italia è in questo gruppo. Dall’altro lato ci sono i Paesi che mantengono la sovranità monetaria: emettono una propria moneta, dichiarando che il suo valore esterno è determinato sul mercato, oppure, se c’è un ancoraggio monetario, non è fisso né irrevocabile. Ebbene: i Paesi a sovranità monetaria de jure sono 140 – il 68 per cento – e rappresentano l’87 percento del PIL mondiale. Da qui anche la comune osservazione che gli attuali mercati globali sono caratterizzati da tassi di cambio flessibili.
Ma la sovranità monetaria de jure corrisponde alla realtà de facto? Un Paese può formalmente dichiarare di mantenere la sovranità monetaria, ma nei fatti i suoi politici possono avere un interesse a mantenere un ancoraggio monetario, ancorché implicito e/o non dichiarato – quindi revocabile – per i guadagni in termini di stabilità e credibilità che offre, ovvero tale scelta è imposta dalle caratteristiche del Paese che governano. Per individuare un ancoraggio monetario de facto occorre guardare i dati, osservando per ogni moneta, almeno due diversi fenomeni: se esistono mercato dei cambi paralleli, che indicano come il regime dei cambi effettivo sia diverso da quello dichiarato; la stabilità effettiva e strutturale del suo tasso di cambio, rispetto ad almeno una delle possibili moneta àncora.
Uno studio empirico ha analizzato 195 Paesi nel periodo tra il 1950 e il 2015, individuando non solo l’evoluzione delle moneta àncora nei diversi decenni, ma anche le attuali moneta àncora. Riguardo al primo aspetto, due sono i dati rilevanti. Da un lato, il dollaro diviene progressivamente la moneta àncora dominante a partire dagli anni Cinquanta. Due fenomeni hanno contributo a tale dinamica: il tramonto della sterlina e del franco francese; il collasso del rublo. Da un altro lato, emerge una nuova moneta àncora – l’euro – che sostituisce il marco tedesco, àncora durante gli anni Settanta, e appunto il franco francese, a cui erano ancorati per esempio i diversi franchi africani. Riguardo al secondo aspetto, viene studiato il ruolo di sei potenziali moneta àncora: il dollaro, l’euro, la sterlina, lo yen, il dollaro australiano, lo yuan. Per ciascun Paese, la rilevanza della moneta viene valutata guardando l’andamento del tasso di cambio, la denominazione delle riserve ufficiali, l’utilizzo come valuta per il commercio internazionale, l’uso come valuta per denominare il debito, pubblico e privato. Due i risultati principali. Innanzitutto, i Paesi senza àncora – quindi con piena sovranità monetaria – sono solo quattro: Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Australia. Anche lo yuan è ancora ancorato al dollaro. Da questo punto di vista, il dibattito italiano «fuori o dentro l’Euro» risulta poco rilevante, giacché per il nostro Paese la scelta è solo tra una euroizzazione attiva e una passiva. In secondo luogo, il dollaro ha consolidato il suo ruolo di àncora, visto che caratterizza il 62 percento dei 195 Paesi; segue l’Euro, con il 28 percento, con un peso decrescente negli ultimi anni. Alle altre valute àncora le briciole. Ma attenzione: i dati ufficiali al 2015 non raccontano quello che lo yuan sta diventando, con l’attivismo della Cina in ogni regione geografica – a partire dall’Africa – e in ogni settore finanziario – sistema bancario ombra incluso. Un re dollaro è in piena salute, un re euro è appannato, ma un terzo re ha iniziato una lunga marcia.
Per saperne di più:
E. Ilzetzki, C.M. Reinahrt, K.S. Rogoff, «Exchange Arrangements Entering the 21st Century: Which Anchor Will Hold?», NBER Working Paper Series, n. 23134, 2017,.
E. Ilzetzki, C.M. Reinahrt, K.S. Rogoff, «Why is the Euro Punching Below its Weight», CEPR Discussion Paper Series, n.14315, 2020.
International Monetary Fund, Exchange Arrangements and Exchange Restrictions, Annual Report, Washington, 2019.
Donato Masciandaro è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Intesa Sanpaolo Chair in Economics of Financial Regulation. Dal 1989 scrive sul Sole 24 Ore. Dal 2005 per Economia & Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle pagine del quotidiano economico-finanziario.