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06/11/2019 Carlo Secchi

Sviluppo e benessere questione di opere

Anticipiamo qui l'articolo di apertura del numero 4/2019 di E&M, uno speciale dedicato alle Infrastrutture.

Lo sviluppo economico e le alterne vicende degli Stati nel corso dei secoli sono stati supportati e spesso condizionati dalla realizzazione di infrastrutture. Grazie a queste, molte regioni da arretrate ed economicamente depresse hanno raggiunto ottimi livelli di prosperità. Inoltre, il sistema delle infrastrutture ha avuto e ha tuttora anche un evidente impatto geopolitico. In tal senso, il Trattato di Roma del 1957 prevedeva esplicitamente una politica comune dei trasporti al fine della realizzazione di un mercato unico europeo, identificato come uno dei pilastri per avviare il cammino verso l’unità del continente.

Sottolineare l’importanza di disporre di infrastrutture adeguate (per i trasporti, l’energia, il digitale e le telecomunicazioni) dovrebbe essere del tutto superfluo. Le infrastrutture sono indispensabili per il funzionamento dell’economia (sia per quanto riguarda le imprese sia i lavoratori), ma anche per il soddisfacimento dei bisogni e la qualità della vita dei cittadini.

Da un punto di vista storico, lo sviluppo economico e le alterne vicende degli Stati nel corso dei secoli sono stati supportati e spesso condizionati dalla realizzazione di infrastrutture adeguate ai tempi. Basti citare il sistema viario realizzato dai Romani, che è stato il pilastro dell’espansione dell’Impero e che nei secoli successivi al suo tramonto è stato alla base dello sviluppo delle agglomerazioni urbane e degli Stati in Europa[1].

Grazie alla presenza di adeguate infrastrutture, molte regioni si sono trasformate da arretrate e economicamente depresse a ben maggiori livelli di prosperità. Si consideri vicino a noi il Canton Ticino in Svizzera con il traforo ferroviario del San Gottardo inaugurato nel 1882 o la Val d’Ossola in Italia con il traforo del Sempione aperto nel 1906. Ovvero, guardando al caso di interi Paesi e continenti, si può ricordare l’impatto avuto dalla Ferrovia Transiberiana da Mosca a Vladivostok (e quindi da lì a Pechino) completata all’inizio del secolo scorso, come pure lo sviluppo delle reti ferroviarie negli Stati Uniti, che è stato alla base dell’espansione dall’Atlantico al Pacifico e dell’effettiva unificazione del Paese dalla costa Est a quella Ovest[2].

Inoltre, il sistema delle infrastrutture ha avuto e ha tuttora anche un evidente impatto geopolitico. Senza citare ancora le strade romane e le opere annesse utilizzate in primis per scopi militari e di ampliamento dell’Impero, moltissimi sono gli esempi sino ai giorni nostri in cui la dimensione geopolitica e quella economica sono strettamente correlate. Il caso più eclatante al centro del dibattito e oggetto di posizioni e punti di vista assai discordanti è quello della «Via della Seta» (nota anche come Belt & Road Initiative - BRI) la cui valenza secondo molti osservatori va ben al di là delle (pur convincenti) motivazioni economiche, in quanto la ritengono lo strumento fondamentale per l’espansione pan-euroasiatica dell’influenza cinese[3].

In Europa, il Trattato di Roma del 1957, ai fini della realizzazione del mercato unico (pilastro della visione politica per avviare il cammino verso l’unità europea seguendo l’approccio «funzionale» proposto da Jean Monnet e dai padri fondatori), prevedeva esplicitamente una politica comune dei trasporti. Successivamente, il Consiglio Europeo di Essen (9-10 dicembre 1994) approvava il primo elenco di (quattordici) progetti prioritari per la realizzazione delle «reti trans-europee nei settori dei trasporti, dell’energia e dell’ambiente». Da allora, la politica delle reti trans-europee (TEN, da Trans-European Networks) ha registrato importanti evoluzioni, compreso il costante incremento e miglioramento dei sostegni finanziari disponibili. È anche andato affermandosi il riconoscimento della valenza articolata delle infrastrutture (per esempio, per il miglioramento dell’ambiente) sino al caso più recente di dual use tuttora all’attenzione dei legislatori europei, che riguarda le esigenze di mobilità per fini militari e di sicurezza (military mobility)[4] .

Come già affermato, infrastrutture adeguate sono indispensabili per il buon funzionamento e per lo sviluppo dell’economia, e al contempo producono importanti effetti non solo una volta completate e messe in funzione, ma anche nella fase di realizzazione. Infatti, gli investimenti in infrastrutture sono una componente importante della domanda aggregata e del PIL e la loro realizzazione mobilita risorse produttive con effetti sia diretti (per la costruzione) sia indiretti (per l’indotto che viene attivato). Ciò riguarda sia le nuove infrastrutture (greenfield) sia il miglioramento di quelle esistenti (brownfield), comprese le importanti (ma spesso neglette) attività di manutenzione.

Gli investimenti in questione sono parte importante del ciclo economico, dove possono svolgere un rilevante ruolo anticiclico, in particolare nelle fasi di rallentamento o recessione, soprattutto quando dipendono (anche per il finanziamento) da decisioni pubbliche. Tuttavia, l’altra «faccia della medaglia» consiste nel fatto che tali progetti (per la componente di intervento pubblico nel loro finanziamento) possono essere le prime vittime di «politiche di austerità» (cioè, di contenimento della spesa pubblica), subendo rinvii, se non drastici tagli o cancellazioni.

Le centralità degli investimenti in infrastrutture fa sì che siano anche il crocevia di molte complesse questioni con cui interagiscono.

In primo luogo, lo sviluppo tecnologico e in particolare la digitalizzazione hanno un impatto fondamentale sulla realizzazione di infrastrutture. Basti pensare all’auto elettrica (e alle necessità di ricarica) o in prospettiva ai veicoli a guida autonoma, ai sistemi di controllo del traffico ferroviario (che consentono l’alta velocità e l’alta capacità) e aereo e, più in generale, agli ITS (intelligent transport systems). La digitalizzazione influenza marcatamente i trasporti e le relative infrastrutture, sia per le merci sia per le persone. I cambiamenti nei comportamenti dei cittadini (connessi a smart mobility, ITS ecc.) e il miglioramento nella qualità della vita sono sostenuti dal progresso tecnologico, ma nel contempo richiedono adeguate infrastrutture (dove spesso non basta adattare l’esistente).

L’impatto delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto è particolarmente importante per l’ambiente. Infatti, circa un quarto dell’inquinamento atmosferico trova la sua origine nei mezzi di trasporto. Di conseguenza, è sempre più pressante la richiesta di modalità rispettose dell’ambiente (per esempio, trasporto ferroviario invece che stradale) anche per quanto riguarda l’energia (rinnovabile piuttosto che di fonte fossile) e i carburanti utilizzati.

Importanti interazioni si verificano anche con le strategie delle imprese. La global value added chain viene perseguita per migliorare efficienza e competitività, ma non sarebbe possibile senza idonee infrastrutture (di trasporto, digitali ecc.), di cui a sua volta stimola lo sviluppo.

Infine, va citata l’abbastanza futile contrapposizione tra infrastrutture «fisiche» (per esempio, le grandi opere per i trasporti) e «digitali» (5G e Internet of Things - IoT) come se le seconde prevalessero sino a sostituire le prime. Al contrario, esiste una stretta complementarietà nel soddisfacimento dei bisogni dei cittadini e delle imprese. La smart mobility richiederà il 5G per essere sempre più smart, ma nel contempo avrà bisogno di una strada o di una ferrovia per lo spostamento da una località a un’altra.

Un’ulteriore questione riguarda il fatto che le infrastrutture sono (salvo rare eccezioni) «beni pubblici», dato che sono quasi sempre fruite collettivamente, sia che vengano finanziate dal bilancio pubblico sia da privati. Esse soddisfano non solo esigenze individuali (dei cittadini o delle imprese), ma anche l’interesse collettivo per lo sviluppo economico e sociale sia a livello locale, sia nazionale o transnazionale (come le reti TEN nell’Unione Europea). Inoltre, tanto la loro realizzazione quanto il loro utilizzo possono produrre importanti esternalità sia positive sia negative. Ci si trova quindi di fronte a un caso eclatante di «fallimento del mercato», che richiede valutazioni appropriate e l’intervento pubblico se non altro a livello decisionale, autorizzativo e regolatorio – in particolare nel caso frequente di «monopoli naturali» –, oltre che sul piano finanziario, quando richiesto.

Tuttavia, la realizzazione di infrastrutture può impattare interessi singoli (il che giustifica espropri per pubblica utilità o altre forme simili) o assai localizzati e circoscritti, che possono essere alla base del sorgere di movimenti contrari, tipici delle cosiddette situazioni nimby (not in my backyard). Difficilmente l’interesse generale si mobilita a favore di una determinata opera, mentre quello particolare e opposto (per motivi di proprietà, di pregiudizio, ideologici, ovvero per cogliere l’occasione per protestare ecc.) può organizzarsi in modo efficace, rumoroso e a volte violento. Ciò può essere prevenuto e contrastato con un adeguato coinvolgimento dell’opinione pubblica (come esplicitamente previsto in alcuni Paesi) attraverso forme opportune di comunicazione. Si ricorre spesso anche a forme di compensazione, che tuttavia a volte rischiano di essere tali da far esplodere in modo ingiustificato i costi delle opere.

Sembra quindi necessario riportare la programmazione delle infrastrutture al centro del dibattito senza preclusioni ideologiche o semplicemente faziose (per la tutela di interessi di parte). Vi è una grande responsabilità sia per la classe politica, sia per gli esperti delle complesse materie coinvolte, nel mettere al centro l’interesse pubblico (anche di medio-lungo periodo). La tematica non deve assolutamente essere usata per fini di captazione del consenso, bensì quale strumento fondamentale per disegnare, compatibilmente con le risorse disponibili, un percorso di sviluppo economico e sociale. Ciò richiede in primo luogo di offrire ai cittadini tutti gli elementi per una corretta valutazione delle poste in gioco al fine di consentire loro una partecipazione consapevole a decisioni da cui dipende la qualità della loro vita e il loro stesso futuro.

 

* Carlo Secchi è Professore emerito di Politica Economica Europea presso l’Università Bocconi e Coordinatore europeo TEN-T (Corridoio Atlantico), Commissione Europea)



[1] Si veda C.-J. Dalgaard et al., « On Roman roads and the sources of persistence and non-persistence in development», VOX, CEPR Policy Portal, 10 April 2018.

[2] Si veda C. Wolmar, Blood, Iron & Gold. How the Railways Transformed the World, London, Atlantic Books, 2009.

[3] Commenti e analisi sull’avanzamento del progetto sono regolarmente offerti dall’OBOR Watch dell’ISPI (www.ispionline.it).

[4]  Si veda C. Secchi, «Il valore delle infrastrutture», Economia & Management, n. 1, 2019.

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