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05/11/2019 Cecilia Attanasio Ghezzi

Se Pechino va alla guerra (all’inquinamento)

Nel 2017 il Partito comunista ha deciso una svolta verde e le grandi aziende e i cittadini hanno seguito il cammino tracciato dal governo.

Lo smog delle metropoli cinesi non conquista più le prime pagine dei giornali. E questa volta non è la censura a oscurarlo. Secondo un recente rapporto Onu, dal 2013 le emissioni di Pechino sono calate del 70 per cento, l’inquinamento atmosferico del 36 (1). Come è potuto accadere? La volontà politica è stata enorme e va sotto lo slogan di «Civiltà ecologica» lanciato dal Partito comunista cinese nel 2007 e ripreso dal presidente Xi Jinping come guerra all'inquinamento.  È stato vietato il riscaldamento a carbone, le fabbriche sono state spostate più in periferia e sono state sanzionate le aziende più inquinanti. Inoltre, investimenti mirati sulle energie rinnovabili hanno fatto sì che il consumo delle stesse sia ormai circa il 40 per cento maggiore di quello nordamericano e circa il triplo di quello tedesco. Certo, data la sete energetica del dragone si tratta di appena 4 per cento del totale dell’energia consumata dal gigante asiatico. Ma è pur sempre un trend che, negli ultimi 5 anni, ha registrato una crescita del 25 per cento anno su anno. Se l’aumento dovesse rimanere invariato, com’è scritto nei piani della leadership comunista, nel 2025 la Cina produrrà il 20 per cento del totale dell’energia dalle rinnovabili. E sarebbe un traguardo ragguardevole a cui vanno aggiunte diverse altre misure. La Repubblica popolare, infatti, sta contemporaneamente cercando di traslare il modello dei trasporti su una mobilità basata su rotaie e veicoli elettrici. Gli investimenti su treni ad alta velocità e metropolitane non hanno eguali così come il mercato delle auto elettriche: nel 2017 ne sono state vendute 500mila le 200mila di Stati Uniti ed Europa sommati. E la svolta verde della Cina non si esaurisce qui. 

Lentamente anche la popolazione sta prendendo atto della necessità e dell’importanza di salvaguardare l’ambiente. Secondo un rapporto di China Chain Store & Franchise Association oltre il 70 per cento della popolazione cinese ha compreso la necessità di un consumo sostenibile, con il 30 per cento che crede fermamente che le abitudini personale abbiano avuto un impatto diretto sull’ambiente (2). Un sondaggio nazionale del 2017 ha rivelato che oltre la metà degli intervistati era disposta a destinare più di 100 yuan all’anno per combattere le emissioni di carbonio e le grandi aziende di delivery si stanno uniformando a questo cambiamento di mentalità, un contributo estremamente importante (3). Solo nel 2017, infatti, il packaging è stato responsabile di oltre un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti, in grossa parte plastica. E si stima che nel 2018 gli imballaggi delle aziende di delivery abbiano superato le due tonnellate. Certo, la Cina ricicla circa un quarto della sua plastica, ma si dà il caso che solo il fiume Azzurro scarichi in mare più plastica di ogni altro fiume sulla terra. Uno studio del 2015 l’aveva quantificata in 367 mila tonnellate (4). 

Nel giugno di quest’anno l’azienda, Meituan-Dianping – uno dei tanti gruppi cinesi che acquista siti per servizi di consegna di alimenti, prodotti di consumo e servizi al dettaglio – ha lanciato il World Environment Day, una campagna di crowdfunding che in sole 24 ore è riuscita ad accumulare un milione di yuan da destinare a uno speciale fondo statale per la lotta all’inquinamento. Dal 2017 Alibaba si è impegnata a utilizzare solo imballaggi biodegradabili. Jack Ma ha inoltre deciso di dirottare lo 0,3 per cento delle sue entrate annuali verso un fondo per l’ambiente. Inoltre, con la fondazione che fa capo alla sua azienda ha sviluppato un progetto dedicato alla protezione delle risorse idriche. Anche Tencent e Huawei non si sono tirate indietro e stanno investendo ingenti somme di denaro nell’educazione ambientale. Tencent, nello specifico, sta portando avanti insieme al WWF un progetto sulla «protezione ecologica guidata dal digitale» e ha investito oltre 1,9 miliardi di dollari in startup cleantech americane. Per non parlare del fatto che questi colossi della tecnologia sono gli stessi che stanno guidando lo sviluppo e la sperimentazione dei veicoli elettrici. 

Sicuramente l’anima ambientalista dei big dell’industria cinese è alimentata da un sincero interesse per la salvaguardia ambientale, ma non è certamente da sottovalutare la spinta governativa. La leadership ha deciso una svolta verde e le grandi aziende e i cittadini proseguono sul cammino tracciato dal governo. 

 

  1. UN Environment 2019. A Review of 20 Years’ Air Pollution Control in Beijing. United Nations Environment Programme, Nairobi, Kenya. 

  1. China Sustainable Consumption Research Program, Report on Consumer Awarness and Behaviour Change in Sustainable Consumption. 

  1. G. Song, H. Zhang, H. Duan, M. Xu, «Packaging waste from food delivery in China’s mega cities», Resources, Conservation and Recycling, 130, 2018, pp. 226-227. 

  1. L.C. M. Lebreton, J. Zwet, J.-W. Damsteeg, B. Slat, A. Andrady, J. Reisser, «River plastic emissions to the world’s oceans», Nature Communications, 8: 15611, 2017. 

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