Emergenza Coronavirus

16/04/2020 Stefano Basaglia

Il Covid-19 e la gabbia delle categorie

Tra i temi dibattuti nell’approcciarsi alla fase 2 dell’emergenza da Covid-19 c’è quello delle categorie. Questo riguarda sia le imprese (essenziali o non essenziali) sia i lavoratori (uomini o donne, giovani o anziani, immuni non immuni). Un tema che ha interessato la creazione di due recenti task force volute dal governo italiano

Sui media italiani si sta sviluppando un ampio dibattito sulla cosiddetta fase 2 dell’emergenza coronavirus. Questa dovrebbe prevedere la progressiva apertura delle attività non essenziali (non dimentichiamo che quelle essenziali sono già aperte) e la riduzione delle limitazioni alla mobilità dei cittadini. In questo dibattito, sono utilizzate differenti categorie per distinguere le imprese e i lavoratori.

Per le imprese la prima grande distinzione è tra quelle che operano in settori essenziali e quelle che operano in settori non essenziali. Questa categorizzazione può essere problematica perché se da un lato è possibile che vi siano imprese non essenziali che, per dimensioni della struttura fisica, caratteristiche del processo produttivo e modalità di organizzazione del lavoro, sono in grado di garantire lo smartworking e/o la sicurezza dei propri lavoratori, dall’altro è possibile che imprese essenziali non siano in grado di implementare lo smartworking e/o di garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Pertanto non bisognerebbe solo distinguere tra attività essenziali e non essenziali, ma cercare coniugare l’essenzialità con le garanzie di sicurezza dei lavoratori.

Per quanto riguarda i lavoratori, invece, alcuni ipotizzano un ritorno all’attività basato sull’età (prima i giovani e poi gli anziani). Altri ancora[1] hanno ipotizzato possano essere le donne le prime a tornare al lavoro. La motivazione di queste proposte si basa sul fatto che giovani e donne sembra siano caratterizzati da un tasso di letalità più basso rispetto agli anziani e agli uomini. Anche in questo caso, però, si rischia di giocare d’azzardo perché non si conoscono ancora chiaramente i fattori di rischio che stanno dietro a queste differenze nel tasso di letalità: potrebbe trattarsi di fattori genetici, comportamentali, sociali o culturali. Ragionare, quindi, in maniera semplicistica sulla categoria età o genere può essere rischioso. Bisognerebbe invece puntare il più possibile sulla distinzione tra chi è immune e chi non lo è. Per fare questo, però, bisogna fare test, ci vogliono dati e informazioni valide ed affidabili. Ma al momento non c’è nulla di tutto questo[2].

Infine, il tema delle categorie ha riguardato la composizione della cosiddetta task force per la fase 2. Al di là delle considerazione sull’opportunità e l’utilità di questo organismo[3], alcuni hanno messo in evidenza che su 17 membri del comitato solo 4 sono donne[4]. Questo aspetto apre l’annoso dibattito su quale siano le dimensioni da prendere in considerazione quando si forma un organo collegiale: la competenza tecnica? Il background professionale? L’età? Il genere? Le preferenze politiche? L’orientamento sessuale? L’origine etnica? Un bilanciamento tra tutte queste dimensioni? È sempre possibile trovare un equilibrio tra l’efficacia tecnica e l’equità della rappresentanza lungo molteplici dimensioni? Colpisce inoltre come non sia stato detto abbastanza[5] su un’altra task force denominata «Donne per un nuovo Rinascimento», istituita in senso al Dipartimento per le pari opportunità. L’obiettivo di questa task force è quello di «elaborare idee e proposte per il rilancio sociale, culturale ed economico dell’Italia dopo l’emergenza epidemiologica da Covid-19». Su 12 membri, le donne sono 12.

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