Economia & Mercati

13/12/2022 Donato Masciandaro

Politica monetaria miope: cavallo vincente o capro espiatorio?

Negli ultimi mesi sia la banca centrale statunitense (FED) sia la Banca centrale europea (BCE) hanno adottato una politica monetaria miope: le decisioni sono prese «riunione per riunione», senza dare alcuna vera indicazione sul futuro. Si è trattato di una scelta azzardata che aumenta l’incertezza, quindi il rischio stagflazione, ma è coerente con una condotta opportunistica dei banchieri centrali. Può piacere alla parte peggiore dei mercati, quella che scommette. E i politici? Una banca centrale autoreferenziale può far comodo: se l’inflazione rientra, è un cavallo vincente; se le cose vanno male, è un perfetto capro espiatorio.

La FED e la BCE sono oramai come la Pizia dell’Oracolo di Delfi: parlano poco, e male. Vanno sempre interpretate, con tutte le incognite connesse. È una strategia opportunistica, che aumenta il rischio di una stagflazione.

Per capire perché, fissiamo qualche paletto. Partiamo dal fatto che entrambe le banche centrali vogliano combattere l’inflazione, e riportare i tassi di interesse su un sentiero in cui la remunerazione delle attività, reali e finanziarie, cioè il tasso di interesse, sia compatibile con una crescita dei prezzi al 2%, entro il 2024. 

Per essere più chiari, l’assunto di partenza significa poggiare la strategia di politica monetaria su quattro pilastri. Il primo pilastro è che, in un orizzonte di lungo periodo, esiste un livello di equilibrio per il rendimento delle attività, reali e finanziarie, che è chiamato tasso naturale. Ogni banca centrale ha una stima del tasso naturale. Dato un obiettivo inflazionistico – che è appunto il 2%sia per la FED sia per la BCE – facendo la somma tra tale obiettivo e il tasso naturale si ottiene il tasso neutrale. Il nome tasso neutrale deriva dal fatto che corrisponde a un livello del tasso di interesse di equilibrio, per cui la banca centrale non è tenuta, per così dire, a far nulla: la politica monetaria non deve essere né espansiva né restrittiva; la condotta deve essere passiva, o appunto neutrale.

Il secondo pilastro, e passando all’orizzonte rilevante per la politica monetaria, che è il medio periodo – nel nostro caso 2 anni – è che la strategia di una banca centrale può essere passiva o attiva. La banca centrale ha un comportamento che è passivo quando il tasso è neutrale, e diventa attivo quando l’inflazione è maggiore o minore del target di riferimento. Nel primo caso la banca centrale dovrà implementare una politica monetaria restrittiva, nel secondo espansiva. La reattività della banca centrale agli scostamenti dell’inflazione dal target misura la sua avversione all’inflazione.

Il terzo pilastro è dato dal fatto che l’azione della banca centrale, definendo il tasso nominale, date le aspettative di inflazione, determina il tasso reale atteso. Il tasso reale atteso è quello cruciale nel determinare la crescita economica, perché da esso dipendono le decisioni di investimento e di indebitamento. Per cui le fasi della politica monetaria vengono individuate dalla differenza tra il tasso reale atteso e il tasso naturale, o rate gap. La politica monetaria sarà di volta in volta restrittiva, neutrale o espansiva se il rate gap sarà rispettivamente positivo, nullo o negativo.

Il quarto e ultimo pilastro è che le aspettative di inflazione dipendono da quello che la banca centrale fa, e soprattutto dice. Parafrasando Nanni Moretti, oggi le parole dei banchieri centrali sono sempre più importanti. E citando il neo premio Nobel Ben Bernanke, oggi «la politica monetaria è 98% parole e 2% fatti».

I quattro pilastri hanno una conseguenza fondamentale: l’andamento dell’inflazione nel medio periodo dipenderà da due fattori, che tra loro si incrociano, condizionandosi: il grado di restrizione della politica monetaria, misurato dal rate gap; l’andamento delle aspettative, a sua volta misurabile con l’expectation gap.  L’expectation gap è dato dalla differenza tra le aspettative di inflazione e il target inflazionistico: più il gap è alto, più le aspettative sono definite disancorate, cioè il loro andamento non è coerente con l’obiettivo inflazionistico. L’expectation gap è considerato un indice della credibilità della banca centrale: più il gap è ampio, meno la banca centrale è credibile.

Se le aspettative di inflazione dipendendo anche dalle azioni e dalle parole delle banche centrali, l’ipotesi più generale è che le aspettative dipendono da due effetti: l’effetto Ulisse e l’effetto Delfi, o Pizia. L’effetto Ulisse si ha quanto famiglie, imprese e mercati credono completamente alla banca centrale, e non interpretano quello che fa e dice. L’effetto Delfi si verifica quando all’opposto le banche centrali non sono credibili, e/o non comprensibili, per cui le aspettative si basano su interpretazioni.

Qui sorge una domanda cruciale: quanto credibili sono oggi le banche centrali? Va ricordato che la credibilità delle banche centrali può essere stata intaccata nell’ultimo anno e mezzo, a causa del sistematico errore nelle previsioni sull’inflazione. Se l’errore nelle previsioni si riflette in un rate gap sbagliato, la politica monetaria diviene troppo espansiva, per troppo tempo. L’eccesso di inflazione che abbiamo finora registrato può essere anche attribuito alle banche centrali. Ma il passato è passato; quello che conta ora, per il futuro, è quello che FED e BCE fanno e dicono d’ora in avanti. Le banche centrali hanno due strategie a disposizione: la doccia fredda o il gradualismo.

La doccia fredda si basa sul fare: poiché, dopo la fiammata inflazionistica, il rate gap è verosimilmente negativo, occorre chiuderlo subito, attuando una stretta monetaria. La stretta continuerà finché il raffreddamento dell’economia non consenta ai tassi di tornare al livello neutrale. Restrizione monetaria e aspettative dovrebbero interagire in modo rapido e radicale: chiudere il rate gap dovrebbe evitare che si apra un expectation gap. La strategia della doccia fredda di solito piace ai falchi: il rischio è che il cosiddetto costo della stretta monetaria – la probabilità che ci sia una recessione, moltiplicata per quanto costosa la recessione sarà in termini di reddito e occupazione – sia molto alto.

Il gradualismo è fondato sul dire: FED e BCE dovrebbero annunziare il percorso atteso della restrizione monetaria – come dovrebbe evolvere il rate gap – comportandosi poi di conseguenza. Così l’azione della banca centrale diventa una bussola per le aspettative, riducendo il rischio dell’expectation gap. Il percorso annunciato può essere calibrato, sulla base dei nuovi dati, via via disponibili. Il gradualismo piace di più alle colombe, perché l’incognita del costo recessivo si riduce. Il rischio qui è tutto per la banca centrale, che si assume la responsabilità di fare la bussola. Non è però una novità, anzi. È quello che le banche centrali, FED e BCE incluse, hanno fatto nell’ultimo decennio. Tutti i risultati empirici sono concordi: la politica di annunzio è stata efficace.

Ma la FED e la BCE ha scelto una terza via, quella della politica monetaria miope: si decide mese per mese. È la Pizia in azione. È una doccia fredda? Non lo sappiamo, lasciamo che i mercati interpretino e scommettino. È gradualismo? Non lo sappiamo, perché la componente fondamentale del gradualismo – l’annuncio – non c’è. Il risultato? Se l’andamento dell’inflazione, nonché il rischio recessivo, dipende dall’intreccio tra grado di restrizione della politica monetaria e aspettative, l’effetto finale della politica miope è assolutamente imprevedibile. 

A chi giova? Sicuramente i banchieri centrali assumono meno rischi. L’analisi economica della burocrazia, ma anche l’economia comportamentale, ci dice che la difesa del potere, e/o la psicologia, conta: posso essere falco o colomba, ma essere opportunisti – fare il piccione – conviene. E allora, tutti zitti. Falchi e colombe.

 

Per saperne di più: 

 

  • Choi J., Doh T., Foerster A., Martinez Z., 2022, Monetary Policy Stance is Tighter than Federal Funds Rate, Federal Reserve Bank of San Francisco, Economic Letter, n. 30.
  • Favaretto, F., Masciandaro, D., 2016, Doves, Hawks and Pigeons: Behavioral Monetary Policy and Interest Rate Inertia, Journal of Financial Stability, 27, 50-58.
  • Hofmann B., Xia D., 2022, Quantitative Forward Guidance Through Interest Rate Projections, SUERF Policy Brief, n.480.
  • Reis, R., 2022, What Can Keep Euro Area Inflation High?, Economic Policy Panel, 20-21 October, mimeo.
  • Walsh, C.E., 2022, Inflation Surges and Monetary Policy, mimeo.

 

Donato Masciandaro è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Intesa Sanpaolo Chair in Economics of Financial Regulation. Dal 1989 scrive sul Sole 24 Ore. Dal 2005 per Economia&Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle pagine del quotidiano economico-finanziario.

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