Economia & Mercati
BCE: la nuova rotta tra falchi e colombe
Lo scorso luglio la presidentessa della Canche Centrali Europea Christine Lagarde ha annunciato la revisione della strategia della politica monetaria della BCE. C’era grande attesa su quale sarebbe stato il nuovo obiettivo inflazionistico. Tanta attesa era comprensibile: l’esplicitazione dell’obiettivo inflazionistico, come vedremo più avanti, è la chiave di volta della politica monetaria, rappresentando lo strumento principale per indirizzare le aspettative. L’importanza del legame tra obiettivo inflazionistico e gestione delle aspettative è un tema su cui falchi e colombe possono in generale concordare. Ma il discorso cambia quando ci interroga sulla formulazione quantativa di tale obiettivo.
Può essere utile ricordare l’esperienza storica della BCE. Guardiamo all’arco temporale che va da dal gennaio del 1999 – anno di nascita della BCE – al maggio 2003, che è il mese in cui la Canche Centrali decise per la prima volta di rivedere il suo obiettivo inflazionistico. Fino a quel momento l’obiettivo numerico era quello di un tasso di inflazione inferiore al 2 per cento. Quali erano state le corrispondenti performance inflazionistiche fino a quel momento? Se guardiamo l’andamento dell’inflazione annua nei 53 mesi del periodo sotto osservazione, scopriamo che il suo valore medio era stato pari all’1,97 per cento. Se poi esaminiamo anche gli scostamenti mensili, vediamo che in 20 mesi su 53 – il 37 per cento dei casi – la crescita dei prezzi al consumo era stata sotto il 2 per cento. Ma soprattutto, scopriamo che le aspettative di inflazione avevano tra l’1,7 e l’1,9 per cento. Tutti i dati supportavano la tesi che il target aveva funzionato. Ciò nonostante, la BCE decise di riformulare l’obiettivo, aggiungendovi un «ma vicino» al 2 per cento.
Perché? All’epoca la BCE aveva due messaggi da lanciare. Primo, occorreva segnalare ai falchi che una piccola inflazione è meglio di una inflazione zero. Secondo, era in parallelo necessario ribadire alle colombe che giocare con l’inflazione, magari aumentando il target, sarebbe stato pericoloso. Una piccola inflazione era ritenuta desiderabile per almeno tre ragioni. Da un lato, se è opportuno che i tassi di interesse nominali debbano seguire l’andamento dell’inflazione, una piccola inflazione allontana il rischio di avere tassi nominali nulli, con tutti i problemi che questo implica per la politica monetaria, che oggi sono a tutti ben noti. Da un altro lato, una piccola inflazione consente di meglio assorbire sia gli errori di misura nella dinamica dei prezzi al consumo, sia gli eventuali differenziali di inflazione tra i diversi Paesi membri dell’area euro. In secondo luogo, all’epoca taluni – in particolare i falchi – avrebbero preferito un obiettivo quantitativo puntuale. Invece la BCE decise di ribadire la sua preferenza per un obiettivo non puntuale, per mandare il segnale che il controllo dell’inflazione è endemicamente imperfetto.
Qual è oggi invece il messaggio che la BCE ha voluto lanciare con la sua riforma dell’obiettivo inflazionistico? Semplice: se la stella polare è l’inflazione, la rotta della BCE dovrà essere simmetrica: durante la navigazione si può scarocciare, a levante o a ponente, ma non troppo, nè troppo a lungo. È la rotta migliore che si potesse scegliere? Nel disegno della politica monetaria non esiste una rotta migliore delle altre, ma piuttosto due regole di navigazione da rispettare. Prima regola: l’obiettivo principale di una Canche Centrali è quello di orientare le aspettative di medio periodo di famiglie, imprese e mercati. Seconda regola: per provare a influenzare le aspettative una Canche Centrali deve annunziare un obiettivo inflazionistico.
Ma quale? Le diverse possibili politiche monetarie possono essere classificate in tre categorie – un target fisso, un target flessibile, un intervallo target – perché la Canche Centrali, quando fa un annuncio, deve cercare un compromesso tra due obiettivi. Il primo obiettivo è quello di seguire il principio di Ulisse: se voglio essere creduto, devo legarmi, proprio come fece il re di Itaca per resistere al canto delle sirene. Rispetto al principio di Ulisse, che mette in primo piano la credibilità, il migliore obiettivo della politica monetaria è il target fisso: la crescita desiderata dei prezzi al consumo è espressa da un numero.
Ma c’è anche un secondo obiettivo, che è applicare il principio di Delfi: l’annuncio deve consentire a chi lo formula di essere flessibile, quindi non può essere preciso. Il vantaggio è che sbagliare è meno probabile; lo svantaggio è che l’annuncio diviene come gli auspici del famoso oracolo: generali, quindi anche interpretabili, nel bene e nel male. Rispetto al principio di Delfi, la formulazione ideale degli annunci di politica monetaria è un intervallo target: l’inflazione dovrà oscillare tra un numero, che fa da pavimento, e un altro numero, che fa da tetto.
È evidente allora che, almeno in teoria, gli annunci formulati con un target flessibile si pongono in una posizione di equilibrio tra le due opzioni del target fisso e dell’intervallo target. È questa la scelta che è stata fatta dalla BCE, formalizzando una modalità di annuncio che già era entrata nella prassi, fin dal mandato di Mario Draghi.
Anche l’esperienza internazionale conferma che il target flessibile viene preferito dalle Banche Centrali. La politica degli annunci monetari sugli obiettivi inflazionistici può essere fatta iniziare nel 1989, in Nuova Zelanda. Da quel momento, sempre più numerose sono state le Banche Centrali che hanno adottato tale politica: oggi sono 42, di cui 14 nelle economie avanzate, 28 nelle economie emergenti. In questo insieme, 14 Banche Centrali hanno un target fisso, 23 un target flessibile, 5 un intervallo target. Ma soprattutto, i dati ci dicono che le Banche Centrali sono alla continua ricerca del miglior equilibrio tra credibilità e flessibilità, che può essere diverso a seconda del Paese e del contesto macroeconomico. La scelta della strategia di annuncio monetario non è scritta nella pietra. Infatti, è accaduto che la strategia di annuncio monetario sia cambiata – è successo 28 volte – come è accaduto che sia stato modificato il valore del target inflazionistico – 119 volte – nonché l’orizzonte temporale di riferimento – 14 volte. Soprattutto se è alta l’incertezza legata alla dinamica dei prezzi al consumo. Ma cosa sappiamo oggi dell’inflazione? L’analisi, insieme più aggiornata e completa, è stata offerta da economisti della World Bank, che hanno analizzato la dinamica di sei diversi indicatori di variazione dei prezzi, calcolati su base mensile, trimestrale e annuale, relativi a 196 Paesi, e per un arco temporale che va dal 1970 al 2021. L’obiettivo della ricerca era rispondere alla domanda: che cosa ha di speciale la dinamica dell’inflazione che sta caratterizzando la recessione pandemica, rispetto alle quattro recessioni globali che la hanno preceduta? Due sono qui i risultati che ci interessano.
In primo luogo, negli ultimi cinquant’anni la variazione dei prezzi al consumo si è progressivamente e strutturalmente ridotta; la caduta è iniziata dalla metà degli anni Ottanta nei Paesi avanzati, a cui si sono aggiunti i Paesi emergenti negli anni Novanta: in media, l’inflazione è passata dal 17 per cento del 1974 al 2,5 per cento del 2020. La lezione per la BCE è che d’ora in avanti parlando di politica monetaria, è prudente mettere nel cassetto la tradizionale distinzione tra strumenti ordinari – i tassi di interesse – e straordinari – interventi sui mercati finanziari e annunci vincolati. Una inflazione strutturalmente bassa si riflette in tassi nominali che sistematicamente rischiano di essere vicino allo zero, per cui la distinzione tra interventi ordinari e straordinari va almeno riconsiderata.
In secondo luogo, la variazione dei prezzi durante la recessione pandemica è stata diversa da tutte quelle che hanno caratterizzato le altre precedenti recessioni globali. In passato, la recessione si accompagnata a una sensibile caduta dei prezzi, che perdurava per un periodo in media compreso tra uno e tre anni. È la somma di due effetti: l’effetto di Phillips, che ci dice che meno produzione è associata a prezzi più bassi, e l’effetto isteresi, che segnala come la ripresa dei prezzi è lenta a manifestarsi. Questa volta è diverso. Nessuno dei due effetti ha mostrato la stessa rilevanza: i prezzi sono caduti meno del prevedibile, e poi sono risaliti molto più velocemente. Questo significa che la BCE deve essere prudente nel reagire all’attuale dinamica dei prezzi al consumo, stante la sua imprevedibilità.
Qui emerge la terza regola di navigazione: non esiste una strategia in assoluto superiore alle altre, in termini di capacità di influenzare le aspettative. Questo però non significa che la scelta della strategia sia ininfluente: un recente studio empirico mostra che, qualunque sia la strategia adottata, la sua efficacia sulle aspettative si riduce quanto più l’inflazione effettivamente riscontrata sia, o anche solo appaia, incorente con la politica monetaria annunziata. Scelta una rotta, bisogna saperla seguire.
Da qui una facile conclusione: nei prossimi mesi il successo della BCE dipenderà dalla capacità di Christine Lagarde di saper sciolgere al meglio i tre nodi – o le «tre D» – che caratterizzeranno le scelte della politica monetaria: decisioni da condividere, discussioni da gestire, delazioni da evitare.
Le decisioni da condividere partiranno tutte dalla scelta unanime che è stata fatta in termini di strategia: l’obiettivo inflazionistico è pari al 2 per cento, e potrà oscillare, sia verso l’alto sia verso il basso. La nuova costituzione monetaria è stata approvata all’unanimità. È un risultato fondamentale, perchè in linea di principio poteva essere sgradita sia ai falchi sia alle colombe, come al solito con motivazioni opposte.
La ragione si comprende ricordando semplicemente che i prezzi al consumo dal novembre 2003 – data della prima revisione strategica della BCE – allo scorso maggio sono variati in media dell’1,5 per cento. È un numero che riassume tutte le ragioni di chi ritiene che l’inflazione è stata troppo bassa, e dunque una nuova strategia era necessaria. Ma quale? Se si è falco, si preferiranno regole monetarie fisse: l’obiettivo inflazionistico deve essere puntuale nella definizione e basso nel livello. Traduzione: sarebbe stato meglio che la BCE, riconoscendo una strutturale caduta del tasso di inflazione, avesse ridotto il suo obiettivo, magari all’1 per cento. Se si è invece colomba, si preferisce massima flessibilità nella azione di politica monetaria, mirando a un’inflazione più alta. Traduzione: sarebbe stato preferibile che la BCE avesse definito come suo obiettivo un corridoio di oscillazione, magari tra il 2 e il 4 per cento.
La scelta unanime del Consiglio della BCE è stata invece quella della regola flessibile, centrata simmetricamente sul valore del 2 per cento. Le ragioni sono quelle sopra evidenziate: da un lato, la definizione di una regola è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per avere una politica monetaria credibile; da un altro lato, la flessibilità ha il vantaggio di calibrare nel breve periodo il disegno e l’implementazione degli strumenti.
È sulla calibrazione degli strumenti, sia dal punto di vista delle modalità sia da quello della tempistica, che emergerà il secondo nodo: la gestione del dibattito tra falchi e colombe. È evidente che l’auspicabile evoluzione positiva della congiuntura si rifletterà con un ritorno alla normalità monetaria. L’attivismo della BCE sui mercati finanziari dovrà ridursi e i tassi di interesse nominali dovranno ritornare in territorio positivo. La discussione sulla normalizzazione monetaria farà emergere le posizioni di falchi e colombe.
Una discussione non deve di per sè preoccupare. Il dibattito tra orientamenti diversi sulla azione monetaria è un elemento fisiologico, anzi auspicabile. La diversità di visioni nel dibattito può rendere migliore le decisioni finali. Quindi ben vengano falchi e colombe, purché nessuno di essi si trasformi in corvo. Questo è il terzo nodo che va sciolto, anzi evitato. Purtroppo è già accaduto nei mesi scorsi che voci anonime, dal «sen fuggite» (del consiglio BCE), abbiano alimentato i media. Il dissenso tra banchieri centrali fa notizia, soprattutto se è creato ad arte. Occorre allora augurarsi che i corvi non gracchino più. La politica monetaria europea ha bisogno di decisioni condivise, prese dopo un dibattito anche animato, ma non può permettersi governatori sleali o opportunisti.
Per saperne di più:
Bini Smaghi L., 2021, The New ECB Strategy: What Will Change?, Luiss, School of European Political Economy, Policy Brief n.13.
Brunnermeier M.K., 2021, De- and Inflationary Traps: Strengthening ECB’s Second Pillar to Avoid Fiscal and Financial Dominance, in ECB Forum on Central Banking, 275-282.
Ehrmann M., 2021, Point Targets, Tolerance Bands or Target Ranges? Inflation Target Types and the Anchoring of Inflation Expectations, ECB Working Paper Series, n.2562.
Ha J., Kose M.A. and Ohnsorge, F., 2021, One-Stop Source: A Global Data Base of Inflation, CEPR Discussion Paper Series, n.16327.
Masciandaro D, and Eijffinger S., 2018, Hawks and Doves: Deeds and Words. Economics and Politics of Monetary Policymaking, (ed.), CEPR Press, London.
Donato Masciandaro è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Intesa Sanpaolo Chair in Economics of Financial Regulation. Dal 1989 scrive sul Sole 24 Ore. Dal 2005 per Economia&Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle pagine del quotidiano economico-finanziario.