Economia & Mercati

15/07/2020 Gianmarco Ottaviano

Recovery fund: come distribuire le risorse tra gli stati membri?

Le specificità regionali dei Paesi dell’UE suggeriscono che i criteri per un’efficiente ed equa allocazione del Recovery fund non debbano essere solo il bilancio delle vittime e la fragilità pregressa dell’economia locale, ma anche la vulnerabilità di questa rispetto agli effetti della pandemia nel prossimo futuro. La pianificazione delle risorse dovrebbe dunque mettere al centro le specificità regionali in termini di specializzazione produttiva e interazione con i mercati internazionali, soprattutto quelli extra-UE.

In questo periodo gli stati membri dell’Unione europea sono impegnati nei difficili negoziati sul Recovery fund, il fondo di circa 750 miliardi di euro il cui scopo è aiutare le regioni europee a riprendersi dallo shock del Covid-19. Il dibattito pubblico è dominato dalla questione della «condizionalità», cioè in che misura le elargizioni del fondo debbano essere condizionate a specifiche scelte di politica economica dei Paesi beneficiari. La questione, per quanto importante, rischia di lasciarne nell’ombra un’altra altrettanto decisiva, quella dei criteri di allocazione delle risorse sul tavolo tra gli stati membri.

L’UE dovrebbe favorire i Paesi più colpiti dalla pandemia? Se così, quali criteri dovrebbe privilegiare? Il bilancio delle vittime, la fragilità pregressa dell’economia o la sua vulnerabilità al dipanarsi degli effetti della pandemia nei prossimi mesi (e magari anni)? Nella sua proposta sul Recovery fund, la Commissione europea suggerisce criteri di allocazione legati principalmente ai tassi di contagio e ai risultati economici passati. In questo senso, tale proposta contiene implicitamente sia un elemento assicurativo (i Paesi più contagiati ottengono più risorse) sia un elemento ridistributivo (i Paesi con un reddito nazionale lordo pro capite più basso ottengono più risorse). Tuttavia, per una più efficace gestione della crisi pandemica in Europa, sarebbe auspicabile allocare le risorse del Recovery fund in un modo diverso, prendendo maggiormente in considerazione la specifica struttura industriale ed economica delle regioni europee.

In termini di vittime, l’epidemia di Covid-19 ha colpito le varie aree geografiche dell’UE in modo molto diverso. Il tasso di mortalità è stato di oltre 800 morti per milione di abitanti in Belgio; di 500-600 in Svezia, Italia e Spagna; di circa 400 in Francia e nei Paesi Bassi, circa 100 in Germania, meno di 50 in molti Paesi dell’Europa orientale e in Grecia. A loro volta queste cifre mascherano differenze ancora più pronunciate all’interno dei Paesi. Per esempio, quasi la metà di tutti i decessi italiani è avvenuto in Lombardia, con un tasso di mortalità di 1.600 morti per milione di abitanti, mentre l’Italia meridionale ha registrato tassi di mortalità più simili a quelli greci. Un’analoga situazione si riscontra in Francia e Spagna, se si confrontano le aree metropolitane di Parigi o Madrid (che hanno raggiunto rispettivamente 1.160 e 1.300 morti per milione di abitanti) con il resto del Paese. In termini di fragilità pregressa dell’economia locale, molte regioni privilegiate dai fondi strutturali europei sono state colpite solo marginalmente dalla pandemia per quanto riguarda il bilancio delle vittime. Esempi significativi in questo senso sono concentrati nell’Europa meridionale ed orientale.

In base al bilancio delle vittime e alla fragilità economica pregressa, sembra quindi chiaro a chi debbano andare maggiormente le risorse del Recovery fund. È forse per questo motivo che la Commissione europea suggerisce quei criteri di allocazione. Un approccio che pare ancora più ragionevole se si considera che l’impatto economico dell’epidemia è stato finora relativamente omogeneo tra Paesi. La variazione del consumo settimanale di elettricità nel 2020 rispetto al 2019 (un semplice indicatore di attività economica in tempo reale) mostra che i Paesi come l’Italia, che per primi hanno messo in atto un rigido lockdown, già da marzo hanno visto calare i loro consumi di energia elettrica fino al 30 per cento. Tuttavia, a metà aprile questa cifra era sostanzialmente la stessa anche nei Paesi con minore mortalità e misure di lockdown meno rigide come la Germania. Tutti i Paesi europei hanno poi visto le loro economie riattivarsi in parallelo non appena il lockdown è stato rimosso. Questa relativa omogeneità è confermata dalle stime della Commissione europea, che prevede un calo medio del tasso di crescita del PIL del 7,4 per cento su base annua per l’Unione europea, con una variabilità tra Paesi intorno alla media relativamente limitata e comunque di ben sette volte inferiore alla variabilità dei decessi.

Se usare il bilancio delle vittime e la fragilità economica passata come criteri di allocazione del Recovery fund ha il vantaggio di un’oggettiva chiarezza, potrebbe nondimeno peccare di scarsa efficacia e lungirimiranza se si è disposti a distogliere lo sguardo dal passato per rivolgerlo al futuro. In prospettiva, infatti, la geografia economica della vulnerabilità europea sui possibili effetti della pandemia è molto diversa da quella della mortalità e della fragilità economica pregressa. Il motivo è che le regioni europee sono diversamente esposte a due tipi di vulnerabilità, una interna e l’altra esterna.

I fattori di rischio interni riguardano le conseguenze economiche del contagio locale, determinate non solo da possibili nuove ondate epidemiche, ma anche dall’impatto dell’adozione di nuovi standard di sicurezza, impatto che varia molto tra settori e dunque tra regioni a seconda della loro specializzazione. Sotto questo profilo, le regioni con la più alta vulnerabilità interna si trovano principalmente nelle economie dell’Europa meridionale che maggiormente dipendono dal settore del turismo e dei trasporti. Le regioni a maggiore vocazione manifatturiera sono invece meno esposte, data la maggiore possibilità di adattare il processo produttivo alle misure di sicurezza. Sul fronte esterno, la vulnerabilità riguarda soprattutto le catene globali del valore nella misura in cui il dilagare della pandemia al di fuori dell’Europa mette a rischio l’import-export di materie prime, semilavorati e prodotti finali. Anche in questo caso la specializzazione settoriale dell’economia locale ha un peso ben definito. Se è vero che oltre la metà del commercio delle regioni dell’UE avviene all’interno dei confini europei, ci sono comunque regioni, come quelle dell’Europa orientale, per le quali il commercio intra-EU è ancora più importante, e altre, come quelle greche, che dipendono in maggior misura dal commercio extra-UE.

In generale, bilancio delle vittime e fragilità pregressa dell’economia locale vanno poco a braccetto tra loro e spesso hanno poco a che fare con la vulnerabilità economica del prossimo futuro. Se si considerano i quattro paesi più grandi dell’UE (Francia, Germania, Italia e Spagna), le regioni maggiormente colpite dalla pandemia in termini di contagi non sono necessariamente quelle più economicamente vulnerabili. Per esempio, nonostante il numero ridotto di contagi, le Isole Baleari sono molto vulnerabili dal momento che il 75 per cento del loro reddito è legato al turismo. Lo stesso vale per altre regioni europee come Provenza-Alpi-Costa Azzurra in Francia, Berlino in Germania, Calabria e Sardegna in Italia, Bruxelles in Belgio. Al contrario, regioni come Lombardia, Baviera e Île-de-France, duramente colpite dai contagi, sono meno vulnerabili in virtù di una struttura industriale caratterizzata da una forte componente manifatturiera e di scambi internazionali più intensi con partner UE che con paesi extra-EU.

Nei negoziati sul Recovery fund tutti questi aspetti andrebbero considerati maggiormente al fine di disegnare un’allocazione non solo più efficiente, ma anche più equa delle risorse messe a disposizione. Le differenze regionali in termini di struttura industriale e occupazionale non possono essere trascurate poiché saranno tali differenze a determinare gli impatti economici locali della crisi pandemica nei mesi a venire. In questo senso, il confronto sull’allocazione delle risorse proposta della Commissione europa con quella dettata dalla vulnerabilità delle regioni europee rivela parziali sovrapposizioni rassicuranti per Grecia e Spagna, ma anche, sebbene in misura leggermente inferiore, per Francia e Italia. Questa rivela però alcune differenze preoccupanti. In particolare, alcuni dei Paesi più vulnerabili, come l’Irlanda, non ricevono nella proposta della Commissione un sostegno proporzionale, mentre altri Paesi meno vulnerabili, come Polonia, Romania e Ungheria, vengono premiati in modo spoporzionato in virtù della loro fragilità pregressa (in particolare in virtù del loro tasso di disoccupazione nel periodo 2015-19).

In conclusione, una volta superata la questione della condizionalità, il dibattito sul Recovery fund dovrebbe occuparsi di condurre a una distribuzione efficiente ed equa delle risorse messe a disposizione. La pianificazione di tale distribuzione dovrebbe mettere al centro le specificità regionali in termini di specializzazione produttiva e interazione con i mercati internazionali, soprattutto quelli extra-UE. Queste specificità suggeriscono che i criteri per un’efficiente ed equa allocazione delle risorse non possano essere soltanto il bilancio delle vittime e la fragilità pregressa dell’economia locale, ma che si debba invece dare peso anche alla sua vulnerabilità rispetto agli effetti economici della pandemia nel prossimo futuro. La prospettiva regionale permetterebbe anche di evidenziare due realtà. La prima (e più ovvia) è che, anche in tema di vulnerabilità, le differenze tra aree dello stesso Paese possono essere molto più pronunciate che tra Paesi diversi. La seconda (e meno ovvia) è che gli interessi di alcune aree dei Paesi più «frugali» possono essere in linea con quelli di alcune aree dei Paesi meno «frugali».

 

Gianmarco Ottaviano è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Achille and Giulia Boroli Chair in European Studies; l’articolo prende spunto dal recente saggio di Carlo Altomonte, Andrea Coali, Gianmarco Ottaviano intitolato «EU recovery plans should fund the COVID-19 battles to come; not be used to nurse old wounds», www.bruegel.org.

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