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Come crescere in un mondo di squilibri
Come ha spiegato il Fondo Monetario Internazionale nell’aggiornamento del World Economic Outlook di metà luglio, il PIL del mondo nel 2016 crescerà del 3,1 per cento. Tale e quale al 2015. Una crescita del 3 per cento è però inferiore di mezzo punto percentuale a quella degli ultimi trent’anni. E vale addirittura un punto percentuale in meno rispetto a quella sperimentata nel 1995-2007, cioè quando l’adozione di Internet e il boom degli emergenti trainavano l’economia mondiale.
C'è un modo – si chiedono gli economisti del Fondo Monetario – di rilanciare la crescita economica del mondo? Una possibile risposta esplorata proprio dall’FMI nel suo recente External Sector Report (uscito in parallelo al World Economic Outlook) sta nell’affrontare gli squilibri di cui è piena l'economia mondiale. Il problema è che la crescita osservata – tanta o poca che sia – avviene in modo squilibrato dal punto di vista dei conti con l’estero dei singoli paesi. Ci sono paesi strutturalmente in surplus come Cina, Germania e Sud Corea tra i paesi grandi e Arabia Saudita, Norvegia, Olanda, Thailandia tra i piccoli che esportano sempre più di quanto importano. E ci sono paesi strutturalmente in deficit come Stati Uniti, Regno Unito, Brasile e Turchia che importano sempre più di quanto esportino. Esportare e importare è una buona cosa, è il frutto della globalizzazione. Ma importare sempre più di quanto si esporta significa accumulare debiti con l’estero, debiti che possono sfociare in crisi valutarie e finanziarie se i mercati smettono di finanziare i disavanzi annuali. Anche esportare sempre più di quanto si importa è uno squilibrio, perché significa sacrificare inutilmente il consumo e l’investimento (in una parola: la domanda interna) rispetto a quanto sarebbe possibile.
Secondo gli economisti del Fondo, la stabilità economica dell’economia mondiale (e quindi forse anche la crescita economica di lungo periodo del mondo) potrebbe beneficiare da una correzione di questi squilibri. Certo non con le politiche protezionistiche di chiusura agli scambi con l'estero ora popolari in tante aree del mondo (anche nelle piattaforme politico-elettorali dei candidati alla presidenza americana). Servirebbero piuttosto politiche fiscali espansive nei paesi in surplus commerciale in modo da far crescere la loro domanda interna e quindi le loro importazioni (bisogna importare per consumare e investire), dunque riducendo i surplus. È ciò che – lo si dice sempre – dovrebbe accadere in Cina, Germania e nei paesi esportatori di petrolio. Mentre politiche fiscali restrittive potrebbero ridurre i disavanzi nei paesi con deficit commerciali come Stati Uniti, Regno Unito e gli emergenti non asiatici. Alternativamente, un deprezzamento delle valute dei paesi in deficit nei confronti di quelle dei paesi in surplus potrebbe produrre lo stesso risultato. Come dire che la signora Yellen dovrebbe tenere i tassi zero per sempre mentre la BCE dovrebbe aumentarli. Uno scenario piuttosto improbabile. Se dunque il mondo tornerà alla crescita, sarà probabilmente una crescita squilibrata come quella che abbiamo visto negli ultimi anni. Con rischi di periodiche crisi valutarie e finanziarie.
(Francesco Daveri è professore presso l’Università Cattolica di Piacenza e docente alla SDA Bocconi)