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Erica Corbellini

Fashion Bloggers: una moda destinata a durare?

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Chi non ha mai tenuto un diario da bambino?

Ecco, sembra che con la rete la voglia di raccontarsi sia diventato un irrefrenabile desiderio anche degli adulti.

Secondo Wikipedia, a febbraio 2014 c’erano circa 172 milioni di blog, 75,8 milioni su WordPress e 1,3 milioni su Technorati. Numeri che fotografano solo la punta dell’iceberg se si considera che Blogger, la piattaforma più popolare per i blog, non fornisce statistiche.

Di questi quanti sono i blog che si occupano di moda? Impossibile quantificare un numero preciso, anche perché è difficile stabilire delle demarcazioni nette: oggi i blog di moda sono sempre più lifestyle, proprio come le aziende della moda vendono sempre più profumi ed esperienze attraverso hotel e ristoranti. Tuttavia una cosa è certa: sono moltissimi ma solo pochi hanno conquistato le luci della ribalta.

Vediamo perché, cercando di conoscerli un po’ più da vicino.

Posers vs Experts

La maggior parte sono gestiti da “fashion posers”, ossia ragazze e ragazzi che fotografano i propri outfits (abbinamenti di vestiti e accessori). La partenza di quasi tutti questi curatori è stata da outsiders, persone esterne all’industria della moda anche se con il sogno di diventarne in futuro protagoniste. La regina è l’italiana Chiara Ferragni di The Blonde Salad, che con 12 milioni di pagine visitate al mese collabora con una pletora di marchi da Louis Vuitton a Superga, ha creato una capsule collection per Yamamay, una linea di scarpe e una di bijoux, pubblicato un libro, partecipato ad un film, sfilato sul red carpet di Cannes eccetera, eccetera, eccetera. All’origine del suo incredibile successo – raccontato in questa intervista – l’aver investito in questo nuovo mezzo in un momento in cui in Italia era ancora in una fase pioneristica, la costanza necessaria per postare ogni giorno anche quando era una quasi sconosciuta, il giusto mix tra l’indispensabile dose di bellezza e fortuna da un lato e la visione imprenditoriale dall’altro (per esempio, fin dall’inizio i commenti alle foto sono stati tradotti in inglese con l’obiettivo di renderli fruibili da un pubblico molto più ampio di quello domestico). Un mondo, quello dei blogs di personal style, che oggi in Italia sembra dominato dall’effetto celebrità, come dimostra il fatto che al numero due della classifica dei blog più seguiti ci sia quello della presentatrice televisiva Alessia Marcuzzi con La Pinella.

Diversamente dietro i blog dei “fashion experts” – ovvero autori con una specifica educazione, competenza ed esperienza nel campo della moda – possono esserci giornalisti della carta stampata che hanno deciso di dialogare anche sul web (tra i precursori, Mancinelli , fotografi e editor come Scott Schuman di The Sartorialist – il cui passato professionale nella distribuzione (ha lavorato presso Bergdorf Goodman) è servito per elevare a moda alta lo street style – o veri e proprio cultori della materia come Hugo Jacomet di Parisian Gentleman, punto di riferimento per il bespoke maschile.

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L'avanzata mediatica dei fashion blog

Si fa presto a dire blog insomma ma, come per i media tradizionali, siamo in presenza di contenitori con caratteristiche molto diverse e variegate. Una cosa però è comune a tutti: da quando nel settembre 2003 Kathryn Finney di The Budget Fashionista è stata invitata alla New York fashion week, l’effetto di questa nuova forma di comunicazione sulle aziende della moda è stato dirompente.

Innanzitutto perché i bloggers hanno scardinato la gerarchia di preferenze con cui gli uffici stampa lavoravano con le testate di moda: prima ancora che la sfilata o l’evento sia terminato ogni abito, espressione della modella e dettaglio dell’allestimento avrà fatto il giro del mondo sul web; difficile concedere esclusive in questa situazione, o meglio le esclusive vanno ripensate in funzione di contenuti che siano davvero portatori di novità. Poi perché manca il controllo su come sarà veicolata l’immagine del marchio, nel senso che i blogs rappresentano degli spazi indipendenti che, come tali, rivendicano autonomia di scelta e giudizio (ciò è vero soprattutto per la categoria di blog tenuti da esperti, i “fashion posers” tendono a mostrare una certa acriticità nei confronti di un sistema del quale ambiscono fortemente essere parte).

Infine per il contatto più diretto con i followers, che con il blog stabiliscono una relazione da pari a pari, non limitandosi ad ascoltare come per i media tradizionali ma animando una vera e propria conversazione che infatti, sempre più, dal blog si sposta sulle pagine social del curatore. La moda, sempre alla ricerca di nuove mode, ha guardato a questo fenomeno dapprima con diffidenza: bisognava infatti fare spazio nell’agognata prima fila a nuovi attori (si veda a tale proposito il contributo del New York Times nell’ormai lontanissimo 2009 ). Al velato boicottaggio iniziale è poi subentrato un entusiasmo a volte forse eccessivo, di sicuro molto concreto: le bloggers fanno vendere.

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