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E&M Podcast

05/05/2025 Alessandro Sura, Emanuele Di Ventura

Corporate & Investment Banking: la percezione di GenZ e Millennials

Con la diminuzione della popolazione giovanile, la competizione per attrarre giovani talenti si sta intensificando. In questo contesto, cerchiamo di comprendere le percezioni e le esperienze dei giovani professionisti nel settore del Corporate & Investment Banking (C&IB), aspetti cruciali per adattare le strategie di employer branding, ricerca, sviluppo e fidelizzazione a questo specifico target. Lo studio evidenzia il grande potenziale che il C&IB offre ai giovani, insieme alle principali preoccupazioni che nutrono. Ciò che emerge è che i giovani attribuiscono un grande valore al loro team di lavoro; per garantirne la soddisfazione, è quindi essenziale valorizzare adeguatamente i team, così da attrarre e trattenere questi professionisti.

Introduzione

Negli ultimi anni, la crescente attenzione alle disuguaglianze economiche ha reso indispensabile un’analisi approfondita delle dinamiche interne alle imprese, con particolare riferimento alla distribuzione degli utili. Il profitto aziendale in Italia non è solo un indicatore della salute finanziaria delle imprese, ma costituisce anche un importante parametro per valutare le disuguaglianze economiche, sia tra le aziende sia al loro interno. Strumenti come la curva di Lorenz e l’indice di Gini permettono di misurare il livello di concentrazione degli utili e di confrontarlo con una distribuzione perfettamente equa (Cowell, 2011). La concentrazione degli utili può infatti riflettere la struttura di potere all’interno delle aziende italiane e il modo in cui viene distribuita la ricchezza generata (Atkinson e Bourguignon, 2014).

Questo studio si propone di esplorare tali dinamiche nel contesto delle imprese italiane lungo un arco temporale di dieci anni, dal 2014 al 2023, utilizzando dati relativi a utili, ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto di un ampio campione di aziende attive in diversi settori. Analizzare la distribuzione degli utili nel tempo attraverso una prospettiva longitudinale consente di identificare tendenze emergenti e monitorare l’evoluzione della disuguaglianza economica all’interno delle imprese. La curva di Lorenz sarà utilizzata per rappresentare graficamente la distribuzione cumulativa degli utili, mentre l’indice di Gini fornirà una misura sintetica della disuguaglianza osservata. Studi precedenti hanno dimostrato che un alto indice di Gini può essere associato a una gestione inefficace delle risorse o a una struttura aziendale caratterizzata da forti disparità interne (Milanovic, 2016; Piketty, 2014). Milanovic (2016), ad esempio, ha evidenziato come nelle economie avanzate un’elevata concentrazione degli utili possa indicare squilibri nelle politiche retributive e nella distribuzione dei profitti, con implicazioni rilevanti per la crescita sostenibile delle imprese.

Oltre a indagare la disuguaglianza nella distribuzione degli utili, lo studio esamina anche le relazioni tra utili, ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto attraverso il coefficiente di correlazione di Pearson. Comprendere queste relazioni è essenziale per determinare in che misura le dimensioni aziendali, misurate in termini di ricavi e forza lavoro, influenzano la redditività. La letteratura esistente suggerisce che il rapporto tra ricavi e utili può variare in base alle caratteristiche del settore industriale e della struttura organizzativa (Syverson, 2011). In particolare, aziende con ricavi elevati non sempre riescono a tradurre tali guadagni in utili significativi, a causa di inefficienze operative o strategie di crescita che privilegiano l’espansione rispetto alla redditività immediata (Bloom e Van Reenen, 2010). Inoltre, la correlazione tra utili e numero di dipendenti può fornire indicazioni importanti sulle dinamiche di produttività all’interno delle aziende, mettendo in luce come la gestione del capitale umano influisce sulla performance finanziaria complessiva (Garicano et al., 2016). Allo stesso modo, il patrimonio netto rappresenta un elemento cruciale, poiché una maggiore capitalizzazione aziendale può sostenere investimenti strategici e migliorare la resilienza finanziaria, influenzando positivamente la redditività a lungo termine (Piketty, 2014).

Analizzando empiricamente la distribuzione degli utili in Italia in relazione a variabili operative, come ricavi e numero di dipendenti, e variabili di capitalizzazione, come il patrimonio netto, questo studio apporta un contributo originale alla letteratura sulla disuguaglianza aziendale. L’esame di queste relazioni su un arco temporale esteso consente di approfondire la comprensione delle dinamiche aziendali e delle sfide legate alla gestione delle risorse in un contesto economico complesso. I risultati dello studio offrono quindi implicazioni pratiche rilevanti per le imprese italiane, in particolare strategie per rendere più equa la distribuzione degli utili e migliorare l’allocazione delle risorse umane, con l’obiettivo di promuovere una crescita sostenibile e inclusiva (Stiglitz, 2012). L’analisi fornisce inoltre ai manager strumenti concreti per ottimizzare le strategie di allocazione delle risorse e ridurre le disuguaglianze interne, contribuendo così al miglioramento della competitività aziendale.

Literature review

La letteratura sulla distribuzione degli utili aziendali e sulle disuguaglianze economiche offre numerosi spunti di riflessione sulle dinamiche interne alle imprese, particolarmente interessanti per il contesto italiano. Cowell (2011) propone l’uso della curva di Lorenz e dell’indice di Gini per misurare la concentrazione degli utili e valutare la distribuzione della ricchezza aziendale, un tema rilevante per il tessuto imprenditoriale italiano. Atkinson e Bourguignon (2014) approfondiscono le cause della disuguaglianza, suggerendo che politiche retributive inadeguate, unite a specifiche dinamiche organizzative, possono amplificare la concentrazione degli utili. Queste osservazioni trovano applicazione anche in Italia, dove le disparità retributive e la struttura organizzativa delle PMI incidono in maniera significativa sulla distribuzione degli utili. Syverson (2011) evidenzia come il ruolo della produttività e della struttura organizzativa influenzino la capacità delle aziende di trasformare i ricavi in utili, aspetto rilevante anche per le imprese italiane. Bartelsman et al. (2013) sottolineano l’importanza dell’allocazione efficiente delle risorse e della selezione del talento per migliorare la produttività, mentre Bloom e Van Reenen (2010) dimostrano che pratiche manageriali efficaci aumentano l’efficienza aziendale e favoriscono una distribuzione più equa degli utili, soprattutto nelle PMI. Anche in Italia, le PMI rappresentano una porzione significativa del tessuto imprenditoriale e potrebbero beneficiare di una gestione più efficiente per affrontare le disuguaglianze interne.

Wu et al. (2024) hanno analizzato come il progresso tecnologico, guidato dall’economia digitale, abbia influenzato la distribuzione del reddito, dimostrando che la digitalizzazione può accentuare le disuguaglianze economiche nelle regioni meno avanzate. Questo fenomeno è particolarmente rilevante per l’Italia, dove le differenze regionali sono accentuate dalla diversa velocità di adozione tecnologica tra Nord e Sud. Nel caso italiano, le politiche di incentivazione alla digitalizzazione previste dal PNRR possono rappresentare un’opportunità per mitigare queste disuguaglianze. Park e Kim (2017) esplorano il legame tra esclusione digitale e disuguaglianze sociali, sottolineando come l’accesso disomogeneo alle tecnologie digitali possa amplificare le disparità economiche tra imprese e regioni. Questo è in linea con le osservazioni di Bloom e Van Reenen (2010) sulle pratiche manageriali, spesso determinanti per il successo delle imprese nell’adozione di nuove tecnologie. White (2024) approfondisce l’impatto dell’economia digitale sulle disuguaglianze economiche, evidenziando il ruolo delle imprese tecnologiche nel consolidare una quota significativa degli utili globali. Anche Helpman, Melitz e Yeaple (2004) e Brynjolfsson e McAfee (2014) esplorano come la crescita delle aziende globali e l’innovazione tecnologica stiano contribuendo alla concentrazione degli utili in poche grandi imprese tecnologiche.

Piketty (2014) sottolinea come il capitale tenda a concentrarsi nelle mani di pochi, alimentando le disuguaglianze sia tra individui che tra imprese. Milanovic (2016) collega questo fenomeno alla globalizzazione, osservando che le grandi aziende globali tendono ad accentrare gli utili, amplificando le disparità economiche. In questa direzione, Autor et al. (2020) analizzano il ruolo delle superstar firms, sottolineando il loro significativo contributo all’aumento delle disuguaglianze. Bertrand e Mullainathan (2001) mostrano come i dirigenti aziendali siano spesso ricompensati in modo sproporzionato, suggerendo che una governance inadeguata può favorire una distribuzione iniqua degli utili. Gabaix e Landier (2008) approfondiscono il tema delle retribuzioni dei CEO, associando l’aumento dei loro salari alla concentrazione degli utili. Tirole (2006) e Lazonick (2014) criticano l’enfasi sul “valore per gli azionisti”, evidenziando come questa prospettiva possa portare a una distribuzione squilibrata degli utili tra dipendenti e azionisti.

Garicano, Lelarge e Van Reenen (2016) dimostrano che una cattiva gestione della crescita aziendale può compromettere l’efficienza e accentuare le disuguaglianze nella distribuzione degli utili. Kaplan e Rauh (2010) osservano che la concentrazione degli utili nelle grandi aziende finanziarie contribuisce all’aumento delle disparità di reddito. Rajan e Zingales (1998) collegano la distribuzione degli utili alla distribuzione del potere all’interno delle aziende, rimarcando l’importanza di una governance equa per mitigare le disuguaglianze. Infine, Stiglitz (2012) argomenta che una distribuzione più equa degli utili è fondamentale per garantire una crescita economica inclusiva e sostenibile.

Galbraith (2012) mette in luce l’influenza delle politiche fiscali, che spesso favoriscono i grandi capitali e intensificano la concentrazione degli utili nelle grandi imprese, un fenomeno particolarmente rilevante per l’economia italiana, caratterizzata da una rete di PMI. Saez e Zucman (2019) osservano che le politiche fiscali favoriscono la concentrazione del capitale nelle mani di pochi, amplificando le disuguaglianze. Un recente rapporto OCSE (2021) analizza l’impatto delle politiche fiscali italiane sulle disuguaglianze economiche, sottolineando la necessità di interventi mirati per sostenere le PMI e ridurre le disparità regionali, dato il loro ruolo centrale nell’economia italiana. In questa direzione, Cerqua e Pellegrini (2023) dimostrano che le politiche territoriali mirate, come i trasferimenti pubblici, possono contribuire a ridurre le disparità regionali in Italia, anche se i loro effetti tendono a diminuire nel tempo se non supportati da interventi strutturali.

In sintesi, la letteratura esaminata evidenzia che le disuguaglianze economiche sono influenzate da dinamiche tecnologiche (White, 2024; Wu et al., 2024), globali (Piketty, 2014; Milanovic, 2016) e regionali (Cerqua & Pellegrini, 2023). Tuttavia, il contesto italiano, caratterizzato dal ruolo centrale delle PMI e da persistenti disparità territoriali, richiede un’analisi più approfondita. Questo studio si propone di colmare tale gap, esaminando la distribuzione degli utili aziendali e le relative implicazioni economiche. In particolare, la ricerca si concentra su questa domanda: “In che modo ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto hanno influenzato la distribuzione degli utili nelle aziende italiane tra il 2014 e il 2023, e quali implicazioni manageriali emergono da questa analisi?”.

Dati e Metodologia

Questo studio si basa su dati estratti dalla banca dati Orbis, che fornisce informazioni dettagliate su aziende operanti in vari settori economici. Il campione finale, ottenuto attraverso un accurato processo di selezione e pulizia dei dati, comprende 7.517 grandi aziende italiane attive nel periodo 2014-2023. La selezione è stata effettuata applicando criteri rigorosi: sono state incluse solo le aziende con sede in Italia, classificate in base alle dimensioni (ricavi, attivi o numero di dipendenti) e con il bilancio disponibile più recente riferito al 2023. L’analisi si concentra su quattro variabili principali, che offrono una visione completa delle dinamiche economiche interne alle imprese italiane:

  • utili: il risultato economico netto dell’azienda, calcolato come la differenza tra ricavi e costi totali (inclusi oneri finanziari e imposte), un indicatore fondamentale della redditività e del successo economico;
  • ricavi: le entrate generate dalle attività operative principali, come la vendita di beni o la fornitura di servizi, offrendo una misura chiave della capacità dell’azienda di generare fatturato e competere sul mercato;
  • numero di dipendenti: la forza lavoro totale dell’azienda, che fornisce un quadro delle dimensioni operative e delle risorse umane impiegate;
  • patrimonio netto: la differenza tra attività e passività, riflettendo il valore contabile del capitale proprio di un’azienda. Indica la solidità finanziaria e le risorse residue per gli azionisti dopo aver soddisfatto i creditori. È composto da capitale sociale, riserve e utili non distribuiti.

Queste variabili, registrate su base annua dal 2014 al 2023, sono espresse in euro per utili, ricavi e patrimonio netto, e in unità per numero di dipendenti. Lo studio esplora le relazioni tra crescita economica, forza lavoro e redditività delle imprese italiane, considerando anche il ruolo del patrimonio netto per valutare la solidità finanziaria e la capacità di generare valore per gli azionisti. Queste dimensioni offrono una prospettiva integrata sulla gestione delle risorse aziendali in un contesto economico in evoluzione.

 

Pulizia Dataset

Durante la fase di pulizia del dataset, sono state eliminate tutte le osservazioni con dati mancanti relativi a utili, ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto, e quelle contrassegnate come “N.D.” o “N.S.”. Sono state inoltre escluse le imprese con ricavi pari a zero o con meno di venti dipendenti, una soglia adottata per includere solo aziende con una struttura operativa significativa. Questo processo è stato fondamentale per garantire l’affidabilità dei dati e la robustezza delle conclusioni dello studio (Kline, 2011). Come evidenziato da Deaton (1997) e Mishra et al. (2019), la solidità dei risultati dipende dalla qualità dei dati e dall’applicazione di criteri metodologici rigorosi. L’accurata pulizia del dataset e l’uso di un campione rappresentativo di 7.517 aziende italiane contribuiscono a rafforzare la validità dei risultati, assicurando che l’analisi rifletta in modo preciso la realtà economica italiana. In questo caso, la robustezza dei risultati indica che le conclusioni si fondano su dati chiari e ben selezionati, riducendo il rischio di errori e garantendo la loro validità rispetto all’intero contesto analizzato.

 

Indice di Gini e curva di Lorenz

Per analizzare la distribuzione degli utili aziendali, sono stati utilizzati l’indice di Gini e la curva di Lorenz. L’indice di Gini misura il livello di disuguaglianza nella distribuzione degli utili, con valori compresi tra 0 (uguaglianza perfetta) e 1 (massima disuguaglianza) (Checchi, 2000). La curva di Lorenz fornisce una rappresentazione grafica della distribuzione cumulativa degli utili, mettendola a confronto con una distribuzione perfettamente equa. In presenza di una distribuzione equa degli utili, la curva di Lorenz coinciderebbe con la linea di perfetta uguaglianza. Tuttavia, nella realtà, essa si discosta da questa linea, mostrando la concentrazione degli utili tra alcune imprese. Questi strumenti permettono di valutare il grado di concentrazione degli utili all’interno del campione di aziende analizzato (Jenkins & Van Kerm, 2009). La curva di Lorenz e l’indice di Gini sono stati calcolati utilizzando il software RStudio.

 

Statistiche descrittive

Per rendere il modello più robusto e approfondire la comprensione della distribuzione delle principali variabili economiche, sono state calcolate le statistiche descrittive per ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto. Questa analisi è indispensabile per esplorare le dimensioni aziendali e identificare eventuali correlazioni con la distribuzione degli utili, includendo il patrimonio netto come indicatore della solidità finanziaria delle aziende (Deaton, 1997; Mishra et al., 2019). Le statistiche descrittive, elaborate utilizzando il software RStudio, includono:

  • media: il valore medio dei ricavi, del numero di dipendenti e del patrimonio netto nel campione, che rappresenta la dimensione media delle variabili;
  • mediana: il valore centrale che divide il campione in due metà uguali, fornendo una misura resistente ai valori estremi;
  • deviazione standard: indica la dispersione dei ricavi, del numero di dipendenti e del patrimonio netto rispetto alla media, evidenziando la variabilità all’interno del campione;
  • curtosi: fornisce informazioni su quanto frequentemente si verificano valori estremi o outliers rispetto alla media;
  • valori minimi e massimi: ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto più bassi e più alti registrati nel campione, che mostrano l’ampiezza della variabilità;
  • primo e terzo quartile: il primo quartile rappresenta il valore sotto il quale si trova il 25% dei dati, mentre il terzo quartile rappresenta il valore sotto il quale si trova il 75% dei dati.

Per valutare la variabilità relativa dei dati e l’affidabilità delle medie, è stato calcolato il coefficiente di variazione (CV), sempre mediante l’utilizzo del software RStudio. Il CV, espresso come rapporto tra la deviazione standard e la media, misura la dispersione relativa rispetto alla media stessa. Questo indicatore è particolarmente utile per confrontare variabili con scale diverse, come ricavi, patrimonio netto e numero di dipendenti, evidenziando in che misura le medie rappresentano i dati effettivi. Come sottolineato da Everitt (2006), il CV fornisce una misura standardizzata della dispersione che è particolarmente utile in contesti in cui le variabili hanno unità di misura differenti. Inoltre, Mishra et al. (2019) evidenziano come l’uso del CV sia fondamentale per analizzare la variabilità relativa all’interno dei dati, consentendo di interpretare con maggiore precisione distribuzioni complesse.

 

Coefficiente di correlazione di Pearson

Per esplorare le relazioni tra utili, ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto è stato calcolato il coefficiente di correlazione di Pearson. Questo indicatore permette di misurare la forza e la direzione della relazione lineare tra due variabili. L’obiettivo di questa analisi è verificare se esistono correlazioni significative tra la redditività delle aziende (misurata dagli utili), le loro dimensioni (ricavi), la forza lavoro (numero di dipendenti) e la solidità finanziaria (patrimonio netto) (Freeman, 2009).

Il coefficiente di correlazione di Pearson è stato calcolato utilizzando il software RStudio. L’analisi del coefficiente di correlazione di Pearson fornisce importanti indicazioni su come le dimensioni aziendali influenzino la distribuzione degli utili. La verifica di queste correlazioni consente di identificare eventuali pattern o tendenze che possano supportare ipotesi economiche rilevanti sulla distribuzione della ricchezza aziendale e sul rapporto tra performance finanziaria e gestione del personale (Autor e Salomons, 2018).

 

Distribuzione geografica e analisi per macroaree

L’integrazione della dimensione geografica nello studio permette di valutare eventuali disparità territoriali nella distribuzione degli utili e delle altre variabili economiche, offrendo una prospettiva più completa. Le imprese sono state suddivise in tre macroaree (Nord, Centro e Sud) in base alla sede aziendale, informazione estratta dalla banca dati Orbis. Le macroaree sono definite come segue:

  • Nord: Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna;
  • Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio;
  • Sud e Isole: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.

Per questa analisi sono state applicate le stesse tecniche precedentemente descritte, includendo il calcolo dell’indice di Gini, le statistiche descrittive e il coefficiente di correlazione di Pearson.

Risultati

L’analisi ha identificato variazioni significative nella distribuzione degli utili in relazione alle dinamiche di mercato e alle politiche aziendali. I risultati mettono in luce l’interazione tra dimensione aziendale, redditività, solidità finanziaria e capacità operativa, suggerendo come ricavi, gestione del personale e patrimonio netto influenzino diversamente le aziende. L’impiego combinato dell’indice di Gini e della curva di Lorenz ha permesso di quantificare e visualizzare la disuguaglianza, fornendo un quadro completo dell’evoluzione della distribuzione degli utili durante il periodo considerato. L’analisi è stata arricchita da statistiche descrittive su ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto insieme al coefficiente di variazione (CV), offrendo una misura della variabilità relativa delle principali variabili economiche e operative. Inoltre, il coefficiente di correlazione di Pearson è stato utilizzato per esplorare le relazioni tra utili e: 

  • ricavi: per valutare il legame tra performance finanziaria e ricavi generati;
  • numero di dipendenti: per esaminare la correlazione tra forza lavoro e capacità di generare utili;
  • patrimonio netto: per analizzare l’influenza della solidità finanziaria sulla redditività aziendale.

La curva di Lorenz, illustrata in Figura 1, mostra la distribuzione cumulativa degli utili tra le aziende italiane dal 2014 al 2023. Ogni curva viene confrontata con la linea tratteggiata rossa, che indica la linea di perfetta uguaglianza: se ogni azienda detenesse esattamente la stessa quota di utili, la curva di Lorenz coinciderebbe con questa linea. Le curve reali si posizionano invece al di sopra della linea di uguaglianza, indicando un certo grado di disuguaglianza nella distribuzione degli utili. Più la curva si allontana dalla linea di uguaglianza, maggiore è la concentrazione degli utili in poche aziende. L’evoluzione delle curve di Lorenz nel tempo mostra una lieve riduzione della disuguaglianza negli ultimi anni (2023, 2022, 2021) rispetto ai primi anni del periodo analizzato (come il 2014 e il 2015), con le curve più recenti che tendono ad avvicinarsi maggiormente alla linea di uguaglianza. La concentrazione degli utili resta tuttavia evidente.

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Il coefficiente di Gini conferma le informazioni grafiche offerte dalla curva di Lorenz, fornendo una misura numerica della disuguaglianza. I valori riportati, riassunti nella Tabella 1, indicano che, sebbene ci siano state variazioni nel livello di disuguaglianza degli utili tra le imprese negli anni, la disuguaglianza è rimasta comunque elevata:

  • 2014 (0,6812): il coefficiente di Gini più alto indica che nel 2014 si è registrata la maggiore disuguaglianza nella distribuzione degli utili, in linea con quanto mostrato dalla curva di Lorenz per questo anno, la più lontana dalla linea di perfetta uguaglianza;
  • 2015-2016: anche in questi anni la disuguaglianza è rimasta elevata, con valori di Gini rispettivamente pari a 0,6437 e 0,6420, confermando la significativa concentrazione degli utili in poche aziende;
  • 2017-2019: nei tre anni successivi i valori sono leggermente diminuiti, con un minimo nel 2018 (0,6161), ma continuano a riflettere un’elevata disuguaglianza, come si evince anche dalle curve di Lorenz per questi anni;
  • 2020-2023: nei quattro anni più recenti i valori del coefficiente di Gini hanno continuato a diminuire rispetto ai periodi precedenti, raggiungendo il minimo nel 2023 (0,5932). Questa riduzione, visibile anche nell’andamento delle curve di Lorenz, sempre più prossime alla linea di uguaglianza, segnala una lieve ma costante tendenza verso una minore disuguaglianza.

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Dopo aver esaminato l’andamento della disuguaglianza attraverso la curva di Lorenz e il coefficiente di Gini, è utile approfondire l’analisi utilizzando le statistiche descrittive. Questi strumenti permettono di comprendere meglio distribuzione dei ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto, fornendo una visione più dettagliata della struttura aziendale e delle performance. Le statistiche descrittive aiutano inoltre a valutare la variabilità e la distribuzione di questi dati, offrendo una base solida per rafforzare il modello analitico.

Dall’analisi delle statistiche descrittive sui ricavi emergono alcune tendenze significative, che permettono di valutare meglio l’andamento complessivo e la variabilità dei dati tra il 2014 e il 2023:

  • la media dei ricavi mostra un incremento costante negli ultimi anni del periodo analizzato, passando da circa 23,7 milioni nel 2014 a quasi 34,5 milioni nel 2023. Questo trend evidenzia una crescita economica complessiva nel periodo considerato;
  • la mediana segue un andamento simile, anche se a livelli leggermente più bassi rispetto alla media. Questo divario suggerisce la presenza di alcune aziende con ricavi molto elevati che spostano verso l’alto la media, confermando una distribuzione dei ricavi asimmetrica e influenzata da poche aziende con performance superiori alla norma;
  • la deviazione standard si mantiene alta durante tutto il periodo, oscillando tra i 21,4 e i 22,7 milioni. Questo indica una notevole dispersione dei ricavi tra le aziende, ovvero una forte variabilità nei risultati economici delle diverse imprese;
  • il valore della curtosi è particolarmente elevato negli anni tra il 2014 e il 2017, con un picco nel 2015 (89,1723), indicando una forte concentrazione di ricavi molto alti in un numero limitato di aziende. Negli anni più recenti è diminuita, stabilizzandosi a valori più normali (ad esempio 0,4325 nel 2023), il che implica una distribuzione meno estrema e più equilibrata;
  • i ricavi massimi mostrano valori estremamente elevati, con un picco nel 2016 di oltre 530 milioni, mentre i ricavi minimi restano molto bassi (in alcuni anni inferiori a 10.000). Questo conferma la presenza di una notevole disuguaglianza nella distribuzione dei ricavi tra le aziende, con alcune che dominano il mercato e altre che faticano a ottenere risultati significativi;
  • l’analisi dei quartili evidenzia come i ricavi si distribuiscano tra le aziende. Il primo quartile, che rappresenta il 25% delle aziende con i ricavi più bassi, è cresciuto in modo significativo dal 2014 al 2023, suggerendo un miglioramento anche per le aziende meno performanti. Tuttavia, il terzo quartile, che riflette il 25% delle aziende con i ricavi più alti, mostra valori ben più elevati, segnalando ancora una netta differenza tra le fasce superiori e inferiori.

I risultati delle statistiche descrittive relative ai profitti sono riassunti nella Tabella 2. In sintesi, le statistiche descrittive sui ricavi indicano una crescita complessiva, ma confermano anche una notevole eterogeneità all’interno del campione. Nonostante la riduzione della curtosi negli ultimi anni, la distribuzione dei ricavi rimane diseguale, con alcune aziende che continuano a dominare in termini di performance economica.

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Dopo aver esaminato la distribuzione dei ricavi, è altrettanto importante considerare il numero di dipendenti, poiché questa cifra fornisce un’indicazione importante delle dimensioni e della struttura organizzativa delle aziende. L’analisi del numero di dipendenti insieme ai ricavi permette di comprendere meglio come le aziende allocano le risorse umane e se esiste una correlazione tra le dimensioni dell’occupazione e la performance economica. Le statistiche descrittive sul numero di dipendenti aiutano a valutare la dispersione e la concentrazione della forza lavoro tra le diverse aziende, offrendo una visione più completa della loro struttura. Analizzando questi dati in maggiore dettaglio, si osserva quanto segue:

  • il numero medio di dipendenti mostra una tendenza al rialzo, passando da circa 127 dipendenti nel 2014 a 160 nel 2023. Questo aumento costante suggerisce un’espansione del numero di lavoratori nelle aziende nel corso del tempo;
  • la mediana, sebbene inferiore alla media, segue una tendenza simile, passando da 90 dipendenti nel 2014 a 119 nel 2023. La differenza tra la media e la mediana indica che ci sono alcune aziende con un numero molto elevato di dipendenti che fanno aumentare la media, mentre la maggior parte delle aziende ha una forza lavoro inferiore alla media;
  • la deviazione standard, che misura la dispersione del numero di dipendenti rispetto alla media, è relativamente alta, oscillando tra 114 e 125 dipendenti nel corso degli anni. Questo indica una variabilità significativa nelle dimensioni delle aziende, suggerendo una notevole eterogeneità tra le imprese;
  • il valore della curtosi mostra valori molto elevati, con un picco nel 2017 (108,72), indicando la presenza di poche aziende con un numero di dipendenti eccezionalmente alto rispetto alla media. Questo contribuisce a una distribuzione con “code pesanti”, influenzata da eventi straordinari o concentrazioni di risorse in grandi imprese;
  • il numero massimo di dipendenti mostra valori estremamente elevati, con un picco significativo nel 2022 di 3.793 dipendenti, mentre il numero minimo rimane molto basso e stabile, a 50 dipendenti per quasi tutto il periodo analizzato, scendendo a 21 nel 2014. Questo evidenzia una marcata disuguaglianza nella distribuzione delle dimensioni aziendali, con alcune aziende che dominano per numero di dipendenti e altre che restano di dimensioni molto contenute;
  • l’analisi dei quartili mostra come il numero di dipendenti sia distribuito tra le aziende. Ad esempio, nel 2023, il primo quartile (che rappresenta il 25% delle aziende con il minor numero di dipendenti) è pari a 83, mentre il terzo quartile (che rappresenta il 25% delle aziende con il maggior numero di dipendenti) è pari a 188. Ciò indica che il 50% delle aziende ha un numero di dipendenti compreso tra 83 e 188, evidenziando una distribuzione piuttosto ampia.

I risultati delle statistiche descrittive relative al numero di dipendenti sono riassunti nella Tabella 3. In sintesi, le statistiche descrittive riguardanti il numero di dipendenti mostrano una crescita costante della forza lavoro media negli anni, accompagnata da una significativa variabilità tra le aziende in termini di dimensioni. Sebbene vi sia una chiara tendenza all’aumento della dimensione della forza lavoro, persistono notevoli differenze tra piccole e grandi imprese.

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Dopo aver esaminato il numero di dipendenti, è altrettanto importante considerare il patrimonio netto. L’esame di questo indicatore, insieme a ricavi e forza lavoro, permette di ottenere una visione più completa della struttura economica delle imprese e delle risorse a loro disposizione. Analizzando questi dati in maggiore dettaglio, si osserva quanto segue:

  • la media del patrimonio netto mostra una tendenza al rialzo, passando da circa 9,5 milioni nel 2014 a quasi 18 milioni nel 2023. Questo aumento costante suggerisce un consolidamento finanziario delle aziende nel corso del tempo;
  • la mediana, sebbene inferiore alla media, segue una tendenza simile, passando da 5,2 milioni nel 2014 a 11,3 milioni nel 2023. La differenza tra la media e la mediana indica la presenza di alcune aziende con un patrimonio netto molto elevato, che fanno aumentare la media, mentre la maggior parte delle aziende ha valori più vicini alla mediana;
  • la deviazione standard, che misura la dispersione del patrimonio netto rispetto alla media, è relativamente alta, oscillando tra circa 14 e 19,8 milioni nel corso degli anni. Questo indica una variabilità significativa nelle dimensioni economiche delle aziende, suggerendo una notevole eterogeneità nel loro livello di patrimonio netto;
  • il valore della curtosi è particolarmente elevato, con picchi superiori a 50 nel 2016 e nel 2017, mantenendosi costantemente alto negli anni. Questi dati segnalano la presenza di alcune aziende con un patrimonio netto eccezionalmente elevato rispetto alla media, contribuendo a una distribuzione caratterizzata da valori estremi e una forte asimmetria;
  • il valore minimo del patrimonio netto è molto basso, scendendo fino a circa 1.085 euro nel 2023, a testimonianza della presenza di aziende con risorse finanziarie estremamente limitate. Al contrario, il valore massimo del patrimonio netto varia considerevolmente nel tempo, raggiungendo un picco di circa 394 milioni di euro nel 2015, segnalando la presenza di grandi imprese con una solida base patrimoniale nel campione analizzato;
  • l’analisi dei quartili mostra come il patrimonio netto sia distribuito tra le aziende. Nel 2023, il primo quartile (che rappresenta il 25% delle aziende con il minor patrimonio netto) si attesta intorno a 1,98 milioni di euro, mentre il terzo quartile (che rappresenta il 25% delle aziende con il maggior patrimonio netto) è pari a circa 11,52 milioni di euro. Questo significa che il 50% delle aziende ha un patrimonio netto compreso tra 1,98 e 11,52 milioni di euro, evidenziando una distribuzione piuttosto ampia.

In sintesi, le statistiche descrittive riguardanti il patrimonio netto mostrano una crescita costante della media e della mediana nel tempo, indicando un progressivo consolidamento finanziario delle aziende. Tuttavia, i valori elevati della deviazione standard e della curtosi evidenziano una significativa eterogeneità, con la presenza di alcune imprese molto grandi che spiccano rispetto alla maggioranza. Questa disuguaglianza si riflette anche nell’ampia distribuzione tra i quartili, sottolineando una forte polarizzazione tra aziende con patrimoni netti molto elevati e altre con risorse finanziarie limitate (Tabella 4).

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Le statistiche descrittive sui ricavi, sul numero di dipendenti e sul patrimonio netto offrono una visione più completa delle dinamiche aziendali, integrando i risultati ottenuti dall’analisi dell’indice di Gini e della curva di Lorenz. Nonostante il miglioramento nella riduzione della disuguaglianza, come evidenziato dalla curva di Lorenz e dal coefficiente di Gini, i dati descrittivi continuano a mostrare una notevole variabilità tra le aziende. In particolare, la crescita costante dei ricavi medi, del numero di dipendenti e del patrimonio netto suggerisce un’espansione generale, ma la presenza di elevati valori di deviazione standard e di forte asimmetria (come indicato dalla curtosi) evidenzia che alcune aziende, pur concentrando ricavi e risorse umane, rimangono ben al di sopra della media.

Con una deviazione standard così elevata, l’uso della media come indicatore perde parzialmente efficacia nel rappresentare il comportamento del campione. Per ovviare a questa limitazione, è stato calcolato il coefficiente di variazione (CV), che fornisce una misura della dispersione relativa rispetto alla media. L’analisi del coefficiente di variazione (CV) per ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto evidenzia una riduzione della variabilità relativa nel periodo analizzato. Per i ricavi, il CV scende dal 90,27% nel 2014 al 65,75% nel 2023, segnalando una maggiore omogeneità nella capacità delle aziende di generare fatturato, pur mantenendo una certa concentrazione in un numero limitato di imprese. Analogamente, per i dipendenti, il CV diminuisce dall’89,76% al 77,94%, indicando una distribuzione più equilibrata della forza lavoro, sebbene persistano differenze significative tra aziende di diversa dimensione. Il patrimonio netto, con un CV che passa dal 142,23% al 111,74%, mostra una tendenza simile, riflettendo una leggera riduzione delle disparità nella capitalizzazione aziendale, ma con livelli di concentrazione ancora elevati rispetto alle altre variabili. In sintesi, l’analisi del CV per le tre variabili mostra una tendenza generale verso una minore variabilità relativa, suggerendo una distribuzione più equilibrata delle risorse economiche e umane tra le aziende nel tempo. I risultati del CV relativi alle tre variabili sono riassunti nelle Tabelle 5, 6 e 7.

Tabella 5

Tabella 6

Tabella 7

Per uno studio più approfondito, sono stati calcolati i coefficienti di correlazione medi di Pearson tra gli utili e le altre variabili. L’analisi dei risultati evidenzia quanto segue:

  • coefficiente di Pearson tra utili e ricavi = 0,365: questo valore indica una correlazione positiva bassa tra utili e ricavi. Sebbene il risultato mostri un legame, la correlazione non è particolarmente forte. Questo suggerisce che un incremento dei ricavi non comporta necessariamente un aumento proporzionale degli utili. Altri fattori, come le strategie di gestione dei costi, l’efficienza operativa o le politiche fiscali, potrebbero influenzare in modo più rilevante i risultati economici delle aziende;
  • coefficiente di Pearson tra utili e numero di dipendenti = 0,028: questo valore indica una correlazione praticamente nulla tra le due variabili. L’assenza di correlazione lineare suggerisce che il numero di dipendenti non ha un legame diretto e significativo con i profitti;
  • coefficiente di Pearson tra utili e patrimonio netto = 0,427: questo valore indica una correlazione positiva bassa tra utili e patrimonio netto. Sebbene esista un legame tra le due variabili, la correlazione non è particolarmente forte. Questo suggerisce che a un aumento del patrimonio netto non corrisponde sempre un aumento proporzionale degli utili, indicando che una maggiore capitalizzazione può favorire i profitti, ma non in modo esclusivo.

In sintesi, i risultati del coefficiente di Pearson (Figura 2) mostrano che, sebbene esistano correlazioni tra utili, ricavi, dipendenti e patrimonio netto, nessuna di queste variabili può essere considerata un determinante unico della redditività aziendale. Fattori come politiche fiscali, caratteristiche settoriali e strategie aziendali sembrano influenzare in modo più significativo le performance economiche.

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Per comprendere meglio le dinamiche economiche delle aziende italiane, è fondamentale considerare la distribuzione geografica delle variabili analizzate. Le specificità regionali possono influenzare in maniera significativa le performance aziendali, incidendo sulla distribuzione di utili, ricavi, dipendenti e patrimonio netto. Attraverso un’analisi delle macroaree (Nord, Centro e Sud), è possibile esplorare come le differenze territoriali contribuiscano alla variabilità osservata nei risultati economici e come queste si riflettano sui coefficienti di correlazione tra le principali variabili.

Tabella 8

L’analisi temporale del coefficiente di Gini tra il 2014 e il 2023 evidenzia una riduzione complessiva delle disuguaglianze nella distribuzione degli utili, seppur con ritmi e livelli diversi tra le macroaree. Nel Nord, il coefficiente di Gini è passato da 0,644 nel 2014 a 0,577 nel 2023, mostrando un miglioramento costante. Anche il Centro e il Sud hanno registrato una diminuzione, pur partendo da livelli iniziali più elevati. Nel 2014 il Centro aveva il valore di Gini più alto (0,725), seguito dal Sud (0,715). Nel 2023 questi valori sono scesi rispettivamente a 0,631 e 0,622, segnalando un parziale riequilibrio tra le macroaree (Tabella 8). La Figura 3 rappresenta il coefficiente di Gini per il 2023 e mostra come le disuguaglianze siano meno marcate nel Nord rispetto al Centro e al Sud, dove la concentrazione degli utili in poche aziende è ancora significativa. Inoltre, il confronto tra il 2014 e il 2023 mostra una riduzione più marcata nel Centro (–0,094) e nel Sud (–0,092), mentre il Nord registra una diminuzione più contenuta. Questi risultati suggeriscono progressi nel riequilibrio della distribuzione degli utili, ma confermano che il Sud e il Centro continuano a presentare una maggiore concentrazione rispetto al Nord (Figura 3).

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Le statistiche descrittive calcolate per ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto forniscono una panoramica delle differenze strutturali tra le macroaree. In tutte le variabili analizzate, il Nord mostra valori medi superiori rispetto al Centro e al Sud, indicando una maggiore capacità economica e operativa delle aziende in questa macroarea. Tuttavia, il coefficiente di variazione (CV) rivela valori generalmente inferiori al Nord rispetto al Centro e al Sud: nel 2023 il CV dei ricavi è pari al 64,4% nel Nord, mentre sale al 68,4% nel Centro e al 70,6% nel Sud, segnalando una maggiore variabilità nella capacità di generare ricavi nelle regioni meridionali. Anche per il numero di dipendenti, il CV è più contenuto nel Nord (76,2%) rispetto al Centro (81,1%) e al Sud (78,1%). Lo stesso andamento si osserva per il patrimonio netto, con il Nord che registra il valore di CV più basso (109%) rispetto al Centro e al Sud (entrambi 119%). Queste statistiche evidenziano che, sebbene il Nord presenti una maggiore solidità economica e finanziaria, il Centro e il Sud mostrano una variabilità più elevata tra le aziende, indicativa di una maggiore eterogeneità nelle dimensioni aziendali e nella capacità economica (Tabella 9).

Tabella 9

Il coefficiente di Pearson medio calcolato per utili, ricavi, numero di dipendenti e patrimonio netto offre ulteriori spunti sulle differenze regionali. Tra il 2014 e il 2023, le correlazioni osservate sono state generalmente basse in tutte le macroaree, indicando che nessuna delle variabili analizzate è un determinante unico della redditività aziendale. Nel dettaglio:

  • utili e ricavi: Nord (0,322), Centro (0,362), Sud (0,343);
  • utili e dipendenti: Nord (0,012), Centro (0,025), Sud (0,050);
  • utili e patrimonio netto: Nord (0,366), Centro (0,435), Sud (0,287).

Questi risultati confermano che il rapporto tra utili e le altre variabili analizzate varia leggermente tra le macroaree, ma rimane complessivamente debole.

Conclusioni

La distribuzione degli utili nelle aziende italiane nel periodo 2014-2023 è caratterizzata da una forte disuguaglianza, nonostante negli ultimi anni vi siano stati segnali di miglioramento, soprattutto nelle macroaree del Centro e del Sud (Cowell, 2011; Atkinson e Bourguignon, 2014). La curva di Lorenz e il coefficiente di Gini – passato da 0,6812 nel 2014 a 0,5932 nel 2023 – hanno permesso di rilevare una graduale diminuzione della concentrazione degli utili a livello nazionale, nonostante le aziende di maggior successo continuino a beneficiare di una quota sproporzionata dei profitti (Piketty, 2014; Milanovic, 2016).

L’analisi geografica ha evidenziato differenze rilevanti tra le macroaree italiane. Il Nord presenta una distribuzione degli utili più equilibrata rispetto al Centro e al Sud, con una riduzione del coefficiente di Gini da 0,644 a 0,577 nel periodo esaminato. Il Centro e il Sud, pur registrando miglioramenti, mantengono livelli più elevati di disuguaglianza, accentuati dalla diversa velocità di adozione tecnologica tra Nord e Sud (Wu et al., 2024; White, 2024; Park e Kim, 2017).

Pur essendo positiva, la correlazione tra utili e ricavi è piuttosto bassa (coefficiente di Pearson = 0,365) e quindi poco affidabile per prevedere la redditività aziendale (Syverson, 2011; Bartelsman et al., 2013). Anche la correlazione tra utili e numero di dipendenti, in quanto trascurabile, non costituisce un fattore determinante per la redditività (Autor et al., 2020). Pertanto, è utile considerare altri fattori con un’influenza significativamente maggiore sulla performance economica, come l’efficienza operativa, le strategie aziendali e l’ambiente competitivo. Si osserva invece una debole correlazione positiva tra utili e patrimonio netto (coefficiente di Pearson = 0,427), da cui si può dedurre che la solidità finanziaria contribuisce alla redditività, pur non essendo l’unico fattore influente (Bloom e Van Reenen, 2010). L’analisi di questi coefficienti di correlazione restituisce valori simili anche rispetto alla distribuzione geografica, confermando che le relazioni tra utili, ricavi, dipendenti e patrimonio netto presentano caratteristiche analoghe nelle diverse macroaree italiane, con variazioni marginali nei livelli di correlazione.

Un altro aspetto da considerare è l’impatto della pandemia da Covid-19 sul contesto economico globale negli ultimi anni del periodo di analisi (2020-2023), che ha avuto effetti significativi sulle performance aziendali (Baldwin e Weder di Mauro, 2020). La forte contrazione dei ricavi nei settori del turismo, della ristorazione e dell’ospitalità, unita alla maggiore instabilità nella distribuzione degli utili causata dalla crisi sanitaria, si è contrapposta alla crescita accelerata delle aziende del settore tecnologico e dei servizi digitali, accentuando le disparità tra settori (Helpman et al., 2004; Chetty et al., 2020; OECD, 2021). Questa redistribuzione potrebbe aver mascherato tendenze di lungo periodo, rendendo necessarie ulteriori indagini per una comprensione più approfondita degli effetti complessivi (Cerqua e Pellegrini, 2023).

Lo studio presenta alcune limitazioni, tra cui un campione di aziende che, pur ampio, rappresenta solo una parte dell’intero panorama imprenditoriale italiano, risultando quindi non esaustivo; l’assenza di una segmentazione settoriale, che non ha preso in considerazione le dinamiche specifiche di ciascun settore nella distribuzione degli utili (Bloom e Van Reenen, 2010; Syverson, 2011); e l’inclusione nel periodo esaminato di un evento straordinario come la pandemia da Covid-19, che potrebbe aver alterato temporaneamente la distribuzione degli utili. Le limitazioni dello studio suggeriscono aree in cui interventi mirati potrebbero ridurre ulteriormente la disuguaglianza nella distribuzione degli utili. Politiche regionali più incisive, unitamente a misure antitrust, potrebbero ridurre le disparità territoriali e incentivare la crescita delle imprese più vulnerabili (Atkinson e Bourguignon, 2014; Stiglitz, 2012). Studi futuri potrebbero esplorare in modo più dettagliato le dinamiche settoriali e analizzare variabili come la digitalizzazione (Wu et al., 2024), le strategie di gestione e l’efficienza operativa. Inoltre, un confronto internazionale potrebbe fornire ulteriori spunti per sviluppare politiche economiche più efficaci e bilanciate (White, 2024; Milanovic, 2016).

Managerial Impact Factor

  • Ottimizzazione dell’efficienza operativa: poiché l’efficienza operativa ha un impatto maggiore sugli utili rispetto all’espansione del personale, i manager italiani possono trarre vantaggio da iniziative volte a migliorare i processi aziendali e l’utilizzo delle risorse;
  • segmentazione delle politiche aziendali per settore: il contesto italiano, caratterizzato da una forte presenza di PMI nei settori manifatturiero e tecnologico, richiede strategie settoriali personalizzate. I manager dovrebbero analizzare le specificità del proprio settore per implementare strategie più mirate;
  • attenzione alla concorrenza e politiche antitrust: per gestire i rischi derivanti dalla concentrazione di mercato, i manager dovrebbero valutare attentamente il contesto competitivo e le politiche antitrust, sviluppando strategie che favoriscano una concorrenza sostenibile;
  • innovazione e crescita sostenibile: l’adozione di tecnologie avanzate e processi più innovativi non solo favorisce una crescita sostenibile, ma garantisce anche un utilizzo ottimale delle risorse;
  • flessibilità nella gestione delle risorse umane: poiché il benessere dei dipendenti incide maggiormente sugli utili rispetto alla dimensione della forza lavoro, occorre gestire il personale in modo che possa esprimere al meglio il proprio potenziale, in un ambiente che promuova il benessere e la flessibilità.

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Corporate & Investment Banking: la percezione di GenZ e MillennialsCon la diminuzione della popolazione giovanile, la competizione per attrarre giovani talenti si sta intensificando. In questo contesto, cerchiamo di comprendere le percezioni e le esperienze dei giovani professionisti nel settore del Corporate & Investment Banking (C&IB), aspetti cruciali per adattare le strategie di employer branding, ricerca, sviluppo e fidelizzazione a questo specifico target. Lo studio evidenzia il grande potenziale che il C&IB offre ai giovani, insieme alle principali preoccupazioni che nutrono. Ciò che emerge è che i giovani attribuiscono un grande valore al loro team di lavoro; per garantirne la soddisfazione, è quindi essenziale valorizzare adeguatamente i team, così da attrarre e trattenere questi professionisti.
La pandemia, il lockdown e la diffusione dello smart working hanno accelerato quel cambio di paradigma valoriale che già aveva messo radici nelle nuove generazioni native digitali. Il conseguente impatto sul “sistema lavoro” sta dando luogo a un ripensamento all’interno delle organizzazioni che riguarda persone e spazi, con una spinta verso l’adozione di modelli flessibili di gestione di attività, ruoli e responsabilità a supporto di una nuova cultura organizzativa. Questa ricerca si è proposta di verificare se e con quale intensità i fenomeni sopra delineati si stiano manifestando anche nel mondo del Corporate & Investment Banking (C&IB), con l’obiettivo di raccogliere elementi utili per orientare al meglio le attività di employer branding, ricerca, sviluppo e retention di questo particolare target e offrire al C&IB una chiave di lettura utile per l’attività gestionale.La metodologia di ricercaLo studio ha preso le mosse da un’analisi desk basata su fonti accreditate, riguardanti ricerche su valori e preoccupazioni degli Under 36, indipendentemente dal settore di attività. L’obiettivo era individuare possibili differenze o overlap tra i giovani operanti nel Corporate & Investment Banking e quelli attivi in altri ambiti, partendo da un campione inizialmente più ampio. A seguire, ci si è concentrati sul C&IB, con un’analisi qualitativa tramite interviste in profondità a giovani attivi in vari istituti bancari con sedi a Milano, Londra e New York, in diverse aree e segmenti del C&IB. Le evidenze, elaborate con metodologie di content analysis, sono poi state validate e misurate tramite un’analisi quantitativa, condotta con metodologia CAWI-CATI su un campione di 424 unità. Per la decodifica dei risultati e per facilitare la loro interpretazione sono state utilizzate diverse metodologie di analisi statistica multivariata: factor analysis, cluster analysis, quadrant analysis e regression analysis. Le analisi sono state svolte interamente nel 2024 in tre Paesi (Italia, Regno Unito e Stati Uniti), con il supporto attivo della Divisione IMI CIB di Intesa Sanpaolo.Il paradigma valoriale nel target di riferimentoPer esplorare il possibile cambiamento del paradigma valoriale tra i giovani attivi nel C&IB, la ricerca si è concentrata sulla fascia demografica compresa tra i 24 e i 36 anni (abbracciando quindi sia la GenZ sia la fascia più giovane dei Millennials) e ha analizzato le tre principali piazze di attività del settore: Milano, New York e Londra. Evidenziando le differenze tra i giovani operanti nel C&IB e i loro coetanei impiegati in altri ambiti professionali, l’analisi desk è servita a:• mappare il paradigma valoriale dei giovani in generale, a livello globale e specificatamente nelle tre aree geografiche di interesse: Italia, Regno Unito e Stati Uniti;• comprendere come i valori di riferimento possono impattare su aspettative e comportamenti dei giovani nella vita personale e professionale.Lo studio parte dalla constatazione che la popolazione giovanile è in calo in tutte le piazze di interesse, rendendo sempre più competitiva l’attrazione di giovani talenti. In Italia la quota di Gen Z e Millennials si attesta al 34% della popolazione (Figura 1), un dato decisamente inferiore rispetto a Stati Uniti (43%) e Regno Unito (41%), dove le nuove generazioni sono anche più multietniche (Figura 1). Alcuni tratti accomunano i giovani nelle tre aree di interesse: • minore fiducia nelle istituzioni, nella politica e nei governi;• minore importanza attribuita alla religione;• preoccupazioni legate a tematiche ambientali e aspetti economici (occupazione, salari, carovita ecc.) e sociali (povertà, diseguaglianza, istruzione, salute);• insoddisfazione, incertezza e ansia per il futuro.  In generale, i principali valori che caratterizzano gli Under 36 sono:1. benevolenza, espressa attraverso la promozione del benessere delle persone con cui si hanno frequenti contatti, la cura reciproca e l’affidabilità;2. universalismo sociale, ossia comprensione, apprezzamento, tolleranza e protezione per tutte le persone, nonché un forte senso di giustizia e uguaglianza;3. autodeterminazione, ossia poter contare su indipendenza di pensiero e azione, libertà e creatività (ANSA, 2023).La ricerca di un equilibrio tra lavoro e vita privata sembra complessa, ma costituisce un’esigenza primaria per i giovani, come ha dimostrato il fenomeno mondiale della great resignation, che ha portato a un numero elevato di dimissioni volontarie sia in Italia sia negli Stati Uniti, coinvolgendo circa due aziende su tre. La ricerca di equilibrio tra lavoro e vita privata è tra le cause principali del fenomeno e ancor di più per GenZ e Millennials (rispettivamente 58% e 52% contro il 41% e 40% dei più anziani), che lascerebbero un posto di lavoro che mal si concilia con la vita privata. Tra le principali motivazioni che spingono la Gen Z negli Stati Uniti a dimettersi figura una retribuzione insoddisfacente, mentre in Italia sono la ricerca di riconoscimento e la valorizzazione delle competenze a costituire un fattore determinante (Centro Studi Imprese Territorio, 2022; IPSOA, 2023). Anche il fenomeno del burnout è un tema sempre più attuale tra le giovani generazioni. Le principali cause includono un carico di lavoro eccessivo, una work-life balance insoddisfacente, una cultura aziendale inadeguata e l’impossibilità di esprimere i propri valori sul posto di lavoro (Network Digital 360, 2022). Con una maggiore incidenza fra i giovani si registra anche il fenomeno ancor più preoccupante del quiet quitting, che consiste nella riduzione dell’impegno e della produttività in ambito lavorativo, segno di un progressivo distacco emotivo e professionale. Al lavoro viene riconosciuto un ruolo strumentale nell’affermazione dell’identità valoriale dei giovani, che, rispetto alle generazioni precedenti, desiderano far parte di un’organizzazione in linea con i propri valori e verso cui sviluppare un forte senso di appartenenza. La mancanza di un senso di appartenenza e di valori aziendali in linea con i propri sono infatti tra le principali cause per cui i giovani rifiutano offerte di lavoro o decidono di lasciare il proprio impiego.Anche le tematiche ambientali assumono un ruolo di rilievo nei processi decisionali delle giovani generazioni: circa il 50% di Gen Z e Millennials dichiara di informarsi sugli impatti e sulle policy ambientali di un’azienda prima di accettare un’offerta lavorativa. Cultura aziendale, diversità, equità e inclusione sono temi che incidono significativamente sulla soddisfazione dei giovani verso la posizione lavorativa: per l’83% la DE&I è un aspetto importante sul posto di lavoro, e il 33% dichiara che non si candiderebbe a una posizione che non tenga in considerazione questi valori (Deskbird, 2023).È stata inoltre approfondita la tematica dell’intelligenza artificiale (AI), le cui potenzialità sono ampiamente riconosciute tra i giovani a livello globale. La maggior parte ritiene che l’AI cambierà profondamente la vita quotidiana nei prossimi 3-5 anni, rendendola più semplice. In particolare, rispettivamente il 52 e il 48% di Millennials e Gen Z considerano l’AI un vantaggio per il proprio avanzamento di carriera, grazie alla sua capacità di fornire un accesso più rapido alla conoscenza. Una quota minoritaria di giovani vive tuttavia con preoccupazione l’impatto che l’AI potrebbe avere sul posto di lavoro, specie nelle attività più prettamente operative.I risultati della ricerca qualitativaIl proseguimento dell’analisi si è focalizzato esclusivamente sul settore C&IB. Visto il quadro abbastanza sfiduciato degli Under 36 restituito dall’analisi desk, l’obiettivo era capire se e quanto i fenomeni emersi fossero sovrapponibili anche al sottoinsieme dei giovani del C&IB. Per questo motivo si è partiti da un’analisi esplorativa, condotta attraverso in depth interviews su un campione di 19 giovani (12 uomini e 7 donne) demograficamente compresi tra i 24 ed i 36 anni di età, operanti in diversi mestieri e segmenti del Corporate & Investment Banking, in 11 banche diverse (tra cui la Divisione IMI CIB di Intesa Sanpaolo) a Milano, Londra e New York.Le interviste, trascritte in simultanea, sono state elaborate attraverso un software di content analysis (Nvivo 11), che ha consentito ai ricercatori di oggettivizzare l’analisi e evidenziare in maniera rigorosa le relazioni causa effetto. Riguardo all’oggetto dello studio, si è partiti proprio dall’esplorazione di valori, preoccupazioni e priorità del campione. Altri topics esplorati sono stati i fattori di attrattività del settore e i driver di valutazione dei vari player, l’accessibilità del settore e il candidate journey, le aspettative dei giovani nei confronti del C&IB e la capacità del settore di soddisfarle. Catena mezzi-fini e giovani del C&IBParticolarmente utile ai fini dell’esplorazione valoriale dei giovani del C&IB è stato l’impiego di modelli di sintesi come la catena mezzi-fini (means-end chain). La catena mezzi-fini indica, nella sua classica applicazione, come si generi valore attraverso gli attributi associati a una determinata marca, ricostruendo la gerarchia di nessi cognitivi (memory network) che collega questi attributi alla sfera affettiva individuale.In questa ricerca la catena mezzi-fini (Figura 2) è stata applicata al settore del C&IB per indicare come si possa generare valore attraverso gli attributi riconosciuti al C&IB dai giovani che vi lavorano, permettendo di ricostruire i nessi cognitivi che collegano gli attributi del C&IB alla sfera affettiva individuale. I contenuti delle associazioni sviluppate dal campione sono stati quindi classificati in tre livelli di astrazione, ciascuno propedeutico al successivo:1. gli attributi del C&IB;2. gli esiti associati alla presenza di tali attributi (ossia i benefici derivanti dal C&IB);3. i valori individuali che riflettono gli obiettivi perseguiti dal campione sul piano sia dei comportamenti e della considerazione sociale sia dell’autostima e delle condizioni di esistenza.L’applicazione della catena mezzi-fini ha evidenziato una presenza nutritissima di valori terminali caratterizzanti il C&IB, quali: libertà, eccitazione, ammirazione sociale, sicurezza, piacere, autostima, rispetto per sé stessi e salvezza del mondo (nella capacità di chi opera nel C&IB di renderlo migliore). Tali valori sono correlati a valori strumentali o comportamenti, che accomunano i giovani del C&IB: onestà, responsabilità, apertura mentale, capacità, coraggio, ambizione, autocontrollo e solidarietà.Alla luce delle evidenze emerse, un primo ambito di intervento sulla catena mezzi-fini riguarda il consolidamento delle connessioni tra gli attributi concreti e astratti del C&IB e le relative conseguenze, tipicamente mediante azioni di comunicazione mirate che coinvolgono tutte le sottoleve della leva Promotion. Questo consolidamento, al quale nel tempo può affiancarsi la creazione di nuove connessioni attributi-benefici, implica l’approfondimento e l’estensione della C&IB knowledge e amplia il contributo che il settore è in grado di offrire ai processi di produzione di valore attivati dai giovani negli stadi di ingresso e avviamento della professione. In quest’ottica, la capacità di rafforzare i legami attributi-benefici evidenzia il ruolo di rilievo che il C&IB e i relativi player svolgono sul piano della creazione e della diffusione di una cultura in grado di soddisfare pienamente le opportunità offerte ai candidati che entrano a far parte del contesto.Un secondo fondamentale ambito di intervento si riferisce all’accrescimento del grado di astrazione della catena mezzi-fini, attraverso l’esplicitazione dei nessi cognitivi che collegano il C&IB a un definito insieme di valori strumentali e terminali. Questo è un passaggio decisivo nella costruzione della C&IB relationship quality, che si fonda sulla coerenza tra identità del C&IB e identità del giovane che vi lavora. L’apprezzamento del contributo del C&IB allo sviluppo e alla comunicazione del sistema valoriale e del concetto di sé è infatti all’origine dei sentimenti di passione, attaccamento e auto-identificazione che alimentano la dimensione affettiva e cognitiva della C&IB relationship quality, dando origine a un senso di interdipendenza e commitment da parte dei giovani professionisti. L’astrazione della catena mezzi-fini assume pertanto un’importanza decisiva nella genesi del potenziale di diffusività del C&IB; l’estendersi della correlazione tra C&IB knowledge e self-knowledge si traduce in un ampliamento dell’orizzonte competitivo del C&IB. In questo senso, il capitale di conoscenza e di soddisfazione generato dal C&IB agisce da comune denominatore cognitivo, in grado di promuovere l’aggregazione e la co-evoluzione dei significati prodotti dai giovani che vi lavorano.In definitiva, le implementazioni delle conseguenze della catena mezzi-fini contribuiscono alla costituzione di una comunità reale e virtuale tra coloro che operano nel C&IB, in cui la condivisione di conoscenze ed esperienze (dimensione informativa) si associa allo sviluppo di nuove relazioni e al rafforzamento dell’identità individuale e collettiva (dimensione partecipativa).I risultati dell’analisi quantitativaL’analisi quantitativa è stata condotta con metodo CAWI-CATI assisted e ha coinvolto un campione ampio (n. 424) di giovani di età compresa tra i 24 e i 36 anni – costituito per il 12,5% da GenZ (tra i 24 ed i 26 anni) e per l’87,5% da Millennials (tra i 27 e i 36 anni) – operanti in ambito C&IB a Milano, Londra e New York, equamente ripartiti tra la Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo e non (n. 24 banche).Dalle evidenze della ricerca emerge che guerre, sostenibilità ambientale e salute sono preoccupazioni che accomunano tutti i giovani, attivi o meno nel settore C&IB. I conflitti in corso, e il loro conseguente impatto sulla stabilità economica e politica, nazionale e mondiale, costituiscono la principale fonte di ansia per i giovani del C&IB. Ulteriore elemento di comunanza tra i giovani è il tema della salute, certamente collegato alla sostenibilità ambientale, che si colloca al secondo posto tra le maggiori preoccupazioni, subito dopo le guerre. L’apprensione per la Brexit è sentita overall ma limitata al Regno Unito e non particolarmente rilevante nel C&IB. Preoccupazioni riscontrate in GenZ e Millennials che però non vengono denunciate dai giovani operanti nel C&IB sono: • lo sviluppo della tecnologia (AI) e il suo impatto sul lavoro: nel C&IB la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale sono piuttosto considerate un’opportunità per sviluppare le proprie competenze; • la salute mentale: a differenza dei loro coetanei, i giovani del C&IB, pur consapevoli dell'impegno richiesto dal ruolo, non fanno riferimento a fenomeni come great resignation, quiet quitting e burnout, mostrando una forte determinazione e resilienza rispetto al rilevante impegno assunto (si sa, però, che il tema del work-life balance deve essere risolto dopo i primi anni di lavoro). Dall’analisi quantitativa emerge in effetti che, overall, soltanto il 34% dei giovani operanti nel C&IB denuncia un impegno lavorativo maggiore di quello atteso;• la disoccupazione: mentre a livello generale emerge il profilo di un giovane sfiduciato rispetto alla possibilità di trovare un’occupazione in grado di valorizzare le proprie competenze, i giovani del C&IB appaiono per lo più soddisfatti rispetto alla loro remunerazione, sono spesso esaltati dalle esperienze professionali che vivono e si sentono gratificati; • terrorismo, violenza, crimine e immigrazione (prevalente tra i giovani americani e inglesi); • la corruzione politica/finanziaria (prevalente tra i giovani italiani).Rispetto ai valori, l’elemento di comunanza più importante tra giovani e giovani del C&IB è la libertà, intesa nel C&IB come possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero e di agire senza costrizioni, grazie alla possibilità di autodeterminare la propria attività lavorativa attraverso una maggiore flessibilità.I giovani che operano nel C&IB sembrano inoltre ancora più motivati rispetto a una più generica popolazione giovanile dall’ambizione di “arrivare”, e quindi maggiormente contraddistinti da valori quali motivazione ed eccitazione, quest’ultima intesa come entusiasmo per le situazioni sfidanti in cui si è coinvolti. Anche il valore della sicurezza accomuna tutti i giovani, operanti o meno nel C&IB; tuttavia, mentre nel C&IB rappresenta un traguardo acquisito (sebbene un po’ più volatile per coloro che operano a Londra), per il resto della popolazione giovanile consiste più in un auspicio, ed è quindi rintracciabile anche nelle preoccupazioni. Un valore distintivo dei giovani operanti nel C&IB è sicuramente il rispetto per sé stessi, seguito dall’autostima. Il rispetto per sé stessi emerge in assoluto come il valore più importante, risultando strettamente collegato, secondo l’analisi basata sulla catena mezzi-fini, a comportamenti e valori strumentali tipici del settore del C&IB e delle persone che vi lavorano, quali onestà, responsabilità, capacità, autocontrollo e coraggio. Conformismo e tradizione non sono invece caratteristici dei giovani del C&IB, mentre sono rinvenibili presso la popolazione giovanile in genere. Una distinzione importante va fatta inoltre sui temi dell’universalismo ambientale e sociale, valori generalmente diffusi tra i giovani, che nel C&IB si traducono in un senso di “protagonismo” alimentato dalla possibilità di “contribuire a rendere migliore il mondo”. Nella lettura per Paese, l’analisi quantitativa ha evidenziato che i quattro valori più rilevanti per i giovani del C&IB (rispetto per sé stessi, libertà, autostima ed eccitazione) sono comuni a tutte e tre le piazze, con il rispetto per sé stessi sempre al primo posto. Emergono tuttavia alcune differenze locali: mentre l’eccitazione è una peculiarità dei giovani C&IB sia a Londra che a Milano, la libertà non figura tra i primi tre valori per i londinesi, lasciando posto all’autostima.Box 1 Approfondimenti della ricerca quantitativaL’analisi dei dati raccolti ha fatto emergere ulteriori evidenze:• passione per la finanza e motivazione professionale: la scelta di intraprendere una carriera nel C&IB è guidata da un forte interesse per la finanza, alimentato dall'entusiasmo di chi riesce a entrare in questo settore dopo un percorso universitario coerente;• il ruolo centrale del team: il team rappresenta il principale fattore di attrazione e retention per i giovani C&IB. Ancor più del brand e di qualsiasi altro driver, il team giustifica la propensione dei giovani a entrare in una specifica banca, poiché la possibilità di interfacciarsi con professionisti esperti è vissuta come elemento funzionale per crescere e far decollare la propria carriera. In fase di ingresso nel mondo del lavoro, i giovani valutano soprattutto la composizione, la dimensione e le opportunità di apprendimento offerte dal team;• il team ideale (c.d. Happy Team): il team ideale è quello che consente ai giovani di effettuare esperienze uniche, distintive e internazionali, permettendo loro di «lavorare su deal che poi trovi nelle prime pagine dei giornali» e rendendoli visibili; è internamente coeso, si supporta, condivide informazioni e comunica fluidamente, trasferisce competenze in maniera osmotica; partecipa equamente alle opportunità di smart working (es. offrendo la possibilità del lavoro da casa per risolvere eventuali necessità contingenti del singolo, senza badare all’anzianità),• l’importanza dei social network professionali: i social network professionali vengono utilizzati per raccogliere informazioni sul team e indubbiamente rendono ora l’accesso a queste informazioni più semplice rispetto al passato;• intelligenza artificiale e impatto sul lavoro: l’AI non viene percepita come un elemento di preoccupazione ma vissuta come un’importante opportunità che permette ai giovani di focalizzarsi su attività a maggior valore aggiunto;• competizione intersettoriale: il settore C&IB affronta una forte competizione (Figura 3), in particolare da parte delle società di consulenza strategica e delle multinazionali della New Economy;• efficacia limitata dell’orientamento universitario: le università sembrano essere poco efficaci nell’orientamento degli studenti al mondo del lavoro;• una mentalità internazionale: a parte quelle segnalate, non sono emerse differenze significative tra Milano, Londra e New York e questo fa presupporre una “connotazione internazionale” dei giovani del modo C&IB più abituati a sentirsi “cittadini delle piazze internazionali finanziarie” e che spesso svolgono parte del proprio percorso professionale in più Paesi;• questione generazionale e dinamiche interpersonali: anche nel mondo del C&IB emerge un “tema generazionale”, particolarmente evidente nelle realtà con un basso turnover;  in queste ultime l’interazione tra giovani e colleghi più senior ha fatto emergere un ampio range di atteggiamenti: da un lato, i giovani vedono nei più esperti un’opportunità di knowledge enhancing; dall’altro, in alcuni casi, sperimentano difficoltà relazionali e il timore di un possibile di conflitto di interessi che potrebbe ostacolare le proprie prospettive di carriera.Cluster analysisLa ricerca ha fatto emergere tre cluster di giovani del C&IB. A monte, un’analisi fattoriale ha consentito di ricondurre 32 item a cinque fattori clusterizzanti:1. remunerazione e flessibilità (bonus, work-life balance, flessibilità oraria...);2. competenze ed esperienze (esperienze internazionali, possibilità di interfacciarsi con professionisti esperti, ambiente challenging…);3. coolness del C&IB, status e carriera (ebbrezza di sentirsi nella stanza dei bottoni e di partecipare a operazioni che impattano sul destino di molti, la convinzione che si tratti di un lavoro davvero high profile…);4. cultura e prestigio del brand della banca in cui si opera e del team in cui si lavora;5. sostenibilità ambientale e sociale (con particolare attenzione alle tematiche di Diversity, Equity & Inclusion).I fattori presi in esame hanno permesso di semplificare la complessità e la numerosità dei dati, facilitandone l’interpretazione.I tre cluster (Figura 4) sono stati dettagliatamente definiti nei tratti sociodemografici, nei comportamenti, negli atteggiamenti verso il C&IB, nei valori. Essi offrono insight importanti rispetto ai quali orientare le attività HR in modo più customizzato:• Experience Seekers (26%)Poco sensibili alla coolness del settore, alla carriera (intesa come percorso professionale di successo) e allo status, sembrano più interessati all’aspetto professionale consentito dall’esperienza nel C&IB: velocità di crescita, unicità delle esperienze, cultura e composizione del team, tipologia dei deal chiusi, esperienze internazionali. Oltre il 60% hanno meno di 31 anni, sono all’inizio della carriera (per il 55% sotto i tre anni di esperienza) e ricoprono principalmente i ruoli di Analyst e Associate.• C&IB Lovers (56%)Composto da veri appassionati, focalizzati sulle possibilità di carriera e di successo in un settore che considerano cool, sensibili alla cultura del prestigio della banca e del team oltre ai temi della sostenibilità sociale e ambientale. Mostrano una vera e propria passione e ambizione per il lavoro nel C&IB, fattore che li rende meno interessati, in proporzione, alla remunerazione e alla flessibilità del lavoro. Il cluster ha una buona rappresentanza femminile (45%) ed è ben distribuito tra Milano, Londra e New York. Con un’esperienza più consolidata, i C&IB Lovers hanno una maggiore presenza nei ruoli da Associate a Managing Director.• Money Hunters (16%)Disillusi rispetto alle loro aspettative iniziali, guardano ormai al C&IB senza quell’entusiasmo che contraddistingue gli altri due cluster. La loro motivazione si concentra quasi esclusivamente su remunerazione, benefit e flessibilità lavorativa, mentre mostrano scarso interesse per la formazione, la cultura aziendale e il prestigio del brand e del team. Anche la sensibilità ai temi della sostenibilità è molto bassa. Questo cluster è il più senior (58% ha più di 32 anni) e presenta la maggiore longevità professionale nel C&IB, ma con una crescita di carriera limitata: il 55% occupa ancora ruoli di Analyst e Associate, spesso in posizioni di Staff.Con riferimento a questi cluster, particolare attenzione va riservata agli Experience Seekers. Se il loro entusiasmo viene coltivato e incanalato verso esperienze ben strutturate, in linea con gli elementi di attrazione e di aspettativa emersi, questi giovani possono evolversi in potenziali C&IB Lovers in erba. Tuttavia, se le loro aspettative vengono disattese, gli Experience Seekers rischiano di scivolare nel cluster dei Money Hunters: una carriera che non decolla, la mancanza di opportunità internazionali o l’insoddisfazione per esperienze che non si rivelano poi così uniche come sperato (in particolare il non aver avuto mai accesso alla stanza dei bottoni) costituiscono un viatico pericoloso.Conclusioni e implicazioni managerialiI giovani del C&IB, pur consapevoli dell’impegno richiesto dal ruolo, non fanno riferimento – nemmeno tra i Money Hunters – a fenomeni quali la great resignation, il quiet quitting o il burnout, mostrando una forte determinazione e resilienza rispetto all’impegno assunto. È infatti noto che il tema del work-life balance viene affrontato dopo i primi anni di carriera e, per questo, è visto come un aspetto destinato a trovare un equilibrio con il progredire della propria esperienza professionale. Il rispetto per sé stessi, la libertà e l’autostima sono i valori che caratterizzano maggiormente i giovani del C&IB. Inoltre, mentre dall’analisi desk emergeva il profilo di un giovane a tratti scoraggiato rispetto alla possibilità di trovare un’occupazione in grado di valorizzare le proprie competenze, i giovani operanti nel C&IB appaiono per buona parte soddisfatti rispetto alla propria remunerazione, sono di sovente esaltati dalle esperienze professionali che vivono e si sentono completamente gratificati. In definitiva, il C&IB continua a essere attrattivo e, con le eccezioni del caso, assai soddisfacente per i giovani.Ma per i giovani del C&IB è la qualità del team a fare davvero la differenza, insieme alla banca che lo ospita. Sono i valori e la cultura del team a essere fondamentali, poiché è su di essi che si basa l’inserimento, lo sviluppo e la crescita serena del giovane professionista. Il team non solo dà supporto e tutela il giovane, ma lo stimola, lo fa crescere e contribuisce al decollo della sua carriera. Il suo ruolo deve quindi divenire centrale in ogni ragionamento strategico inerente alla salute organizzativa del C&IB e alla propulsione del settore al cambiamento e all’apertura verso i giovani. Il team va curato, alimentato, monitorato, valorizzato, raccontato, esibito, in tutte le fasi del candidate journey, fin dalla presentazione del C&IB.Alle funzioni HR e al management delle realtà C&IB spetta ora il compito, ma anche la responsabilità, di nutrire continuamente la passione per un mondo così affascinante, attraverso azioni concrete lungo tutto il ciclo di vita professionale. Ognuno sarà chiamato a individuare gli ingredienti più coerenti ai propri obiettivi e alla propria realtà organizzativa, perché occuparsi di finanza significa anche comprendere e poter influenzare ciò che accade attorno a noi.Managerial Impact Factor• Impegno e aspettative: i giovani del Corporate & Investment Banking accettano le sfide del ruolo, ma si aspettano un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro dopo i primi anni.• valori guida: autostima, rispetto per sé stessi e libertà sono valori chiave che guidano i giovani professionisti del settore.• soddisfazione e attrattività: a differenza di altri ambiti, molti giovani nel C&IB si dichiarano soddisfatti della retribuzione e delle esperienze professionali, confermando l’attrattività del settore.• il ruolo chiave del Team: l’ambiente di lavoro è un fattore determinante per il successo e la crescita dei giovani talenti, spesso più della banca stessa. Valori come inclusione e dinamismo all’interno del Team sono essenziali per il loro sviluppo.• responsabilità delle aziende: le aziende del C&IB devono alimentare la passione per il settore con iniziative concrete che favoriscano la crescita professionale e rafforzino il legame tra giovani talenti e organizzazione.Riferimenti bibliograficiANSA (2023). “La scala dei valori della Generazione Z in Italia, vivere bene è ciò che conta.” ansa.it.Centro Studi Imprese Territorio (2022). “The Great Resignation e la demografia che non perdona: quale futuro per le aziende?” impreseterritorio.org.Deskbird (2023). “Etica del lavoro e valori della Gen Z.” 23 marzo, deskbird.com.IPSOA (2023). “Lavoro come progetto di vita: cosa è cambiato dopo la pandemia.” ipsoa.it.Network Digital 360 (2022). “Great Resignation: che cosa è e cosa sta succedendo.” peoplechange360.it.

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