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India: grande opportunità , ma non per tutti
Intervista a Mario Ruzza
Laurea in ingegneria civile all’università di Padova, lunga carriera nei maggiori gruppi multinazionali italiani dove si è occupato di grandi progetti infrastrutturali, ampia esperienza internazionale, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, Mario Ruzza, Presidente e Amministratore Delegato di Tecnimont Private Limited (Gruppo Maire Tecnimont), l’India la conosce dal 1997.
Vice President di Maire Tecnimont fin dalla sua fondazione nel 2005, è stato responsabile della funzione Internal Audit della holding quotata a capo del Gruppo Maire Tecnimont, nonché membro dei board di numerose consociate. Il Gruppo è tra i leader globali nei settori dell’Engineering & Construction (E&C), Technology & Licensing e Energy Business Development & Ventures con competenze specifiche nell’impiantistica in particolare nel settore degli idrocarburi (Oil & Gas, Petrolchimico, Fertilizzanti) oltre che nel Power Generation e nelle Infrastrutture.
Dal 2013 Mario Ruzza è presidente e amministratore delegato di Tecnimont Private Limited, controllata del Gruppo con sede a Mumbai, attiva nel comparto servizi e impianti chiavi in mano principalmente nei settori Oil&Gas, Chimico e Petrolchimico, Fertilizzanti e Power, con più di 2000 dipendenti (prevalentemente ingegneri) oltre a 3000 specialisti attivi nei montaggi elettro-strumentali.
All’ing. Ruzza abbiamo chiesto innanzitutto se l’India debba essere una priorità per le aziende italiane.
La storia della presenza italiana in India è lunga e affascinante! Una fase pionieristica negli anni Cinquanta e Sessanta con Eni, Fiat, Piaggio, Bisleri… tutte realtà che hanno lasciato un segno profondo in questo Paese. La Montecatini (poi Montedison) era largamente presente sul mercato indiano con la cessione su licenza di numerosi dei suoi prodotti, dai fertilizzanti alle poliolefine, il famoso Moplen dell’italiano premio Nobel prof. Natta. Tecnimont era proprio la società di Ingegneria del gruppo Montedison. I suoi primi investimenti diretti risalgono al 1995, quando rilevando il 50 per cento di una piccola società locale, grazie alla forza lavoro altamente qualificata presente in India e investendo fortissimamente e per lunghi anni in formazione, tecnologia e sistemi iniziò a produrre servizi di ingegneria per i progetti che Tecnimont realizzava in tutto il mondo. In questi vent’anni non solo le dimensioni sono costantemente cresciute da poche centinaia a varie migliaia di dipendenti, ma anche la qualità del lavoro offerto: da polo low cost si è passati a centro di eccellenza con performance comparabili con le migliori società di ingegneria internazionali.
L’esperienza di Tecnimont racchiude gli elementi dell’interesse per l’India e delle condizioni per avere successo in questo contesto. In India dobbiamo esserci! È un gigante, non può essere ignorata. Non solo perché ha volumi enormi – e in crescita – di tecnici e specialisti, ma soprattutto perché è un mercato potenziale estremamente rilevante. La Cina rallenta, l’India continua a crescere.
Tuttavia, questo Paese non è per tutti… l’imprenditore «mordi e fuggi» qui non può «sfondare». L’India è il Paese della continuità, della pazienza, dei tempi lunghi. Dai cinque ai dieci anni… questo è l’orizzonte temporale strategico da porsi.
Quasi tutti coloro che hanno valutato un ingresso in India, hanno anche rapidamente individuato i suoi limiti: la giovanissima forza lavoro è destinata a crescere sia per la natalità elevata, sia per l’esodo dall’agricoltura di sussistenza e per questa forza lavoro occorre creare nuova occupazione… anche improduttiva. L’infrastruttura manifatturiera deve ancora crescere per poter incidere in maniera significativa, sia per la mancanza di capitali, sia per la mancanza di operai specializzati. La burocrazia degli enti pubblici rallenta la transizione da questa situazione.
Ma gli italiani, le imprese italiane, come si muovono in questo contesto?
In realtà Italia e India hanno numerose somiglianze, nonostante l’una sia venti volte meno abitata dell’altra! Abbiamo un’economia basata sulle medio-piccole dimensioni il che consente una notevole flessibilità e adattabilità. Il pragmatismo e l’attitudine alla personalizzazione rendono l’incontro possibile. A questo si aggiunge una certa affinità culturale. Le nostre sono culture antiche, in cui i valori e i principi contano. Relazioni interpersonali, ruolo della famiglia, visione di medio termine… questi sono punti condivisi. Credo che sia importantissimo che l’imprenditore e il manager che vengono in India siano preparati e disposti a incontrare questa cultura che ha comunque delle diversità eclatanti rispetto alla nostra: il significato del silenzio, la difficoltà a dire esplicitamente «no», la gestione del tempo, l’organizzazione e la gestione delle riunioni… sono tutti punti da capire e a cui adattarsi per operare qui. Nessuno farebbe business con uno sconosciuto… prima ci si conosce e poi… Infine, è opportuno non dimenticare che gli Indiani sono negoziatori… infaticabili. Devo rilevare, purtroppo, che rispetto a alcuni anni fa, l’Italia ha perso un po’ del suo fascino nella visione collettiva, tuttavia le nostre maggiori eccellenze – tra cui food, fashion e design, ma anche tecnologia, ingegneria e componentistica industriale -- sono ancora apprezzate nel Paese.
Secondo Lei, ci sono quindi delle precondizioni per operare in India?
Credo di sì e riguardano il superamento dei nostri «classici» difetti nazionali: individualismo, opportunismo e incapacità di fare rete.
In un contesto come quello indiano, essere «piccoli (e stranieri) non è bello». Le dimensioni contano per essere credibili, per acquisire capitali, per fronteggiare la concorrenza internazionale che si presenta con dimensioni e strutture molto diverse. La capacità di sostenere l’internazionalizzazione è fondamentale e richiede le competenze, le risorse umane, l’abitudine a operare in contesti diversi… talvolta l’inglese è ancora un ostacolo nelle piccole-medie imprese italiane.
L’opportunismo – come già detto – qui non paga: i costi e gli sforzi per avviare l’attività (includendo l’ecosistema dei fornitori e partner), preparare gli operai e i collaboratori, costruire i servizi di supporto hanno ragion d’essere nel medio periodo.
(a cura di Paola Bielli, Università Bocconi e MISB)