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A proposito dell’importanza di prepararsi, e del disporre di mezzi adeguati
Non basta andare al fiume con la volontà di pigliar pesci, bisogna andarvi con la rete e con l'amo
Questo proverbio spiega perché le imprese tedesche in Cina esportano molti miliardi di euro in più in beni e servizi rispetto alle imprese italiane. In proporzione, molti miliardi in più di quanto le rispettive dimensioni dei prodotti interni lordi, e le caratteristiche produttive dei due paesi, farebbero presupporre. La ragione è che le prime sono andate al fiume preparandosi, e disponendo di mezzi adeguati. Mentre le seconde si sono recate al fiume, ricchissimo di pesci, pensando di poterli pescare con le mani. Dopodiché si sono rese conto dell’errore e vi hanno posto rimedio, ma nel frattempo gli anni erano passati e si era accumulato un ritardo difficilmente colmabile. Che i dati tuttora rispecchiano.
Il conventional wisdom di molti degli economisti nostrani ci spiega come alla base di questo approccio improvvisato e pressapochista da parte delle nostre aziende vi sarebbe la loro (troppo) piccola dimensione. E quindi, l’impossibilità di anticipare gli investimenti necessari per dotarsi di «reti e ami» a sufficienza per pescare nel grande fiume dell’economia cinese. Forse hanno ragione. Ma forse, no.
Ci sono altri fattori, infatti, che hanno pesato di più e che pesano e peseranno sempre di più. In primo luogo, il fatto che in Italia le aziende hanno un accesso al credito bancario molto più ridotto rispetto alle imprese tedesche. Conosco aziende italiane da oltre cento milioni di euro di fatturato e leader mondiali nel settore di appartenenza, che sono iper-patrimonializzate e sotto-indebitate e che, non potendo (o non volendo, date le troppe esperienze negative maturate negli anni) ricorrere al prestito bancario, sono costrette a rallentare i loro processi di penetrazione sui mercati esteri. Sviluppando per lo più strategie opportunistiche, caratterizzate da bassi o addirittura nulli investimenti iniziali, ispirate a logiche di market capturing e non, come invece dovrebbe essere quando si è leader, di market making.
In secondo luogo ha pesato una fiscalità che, al di là delle dichiarazioni recenti, negli ultimi vent’anni non ha in nessun modo favorito gli investimenti in macchinari, persone, innovazione, finendo per spingere gli imprenditori verso politiche di espansione sui mercati esteri di stampo sparagnino, e di piccolo cabotaggio. In parole povere, strategie che prima vogliono vedere i fatturati e poi mettono gli investimenti necessari. Ma come tutti ben sanno, questa è una modalità che raramente conduce alla leadership in nuovo mercato. Mentre quasi sempre porta l’impresa che l’ha perseguita a essere l’ultima ruota del carro, in quel mercato. È la trappola del market capturing, il timore di anteporre gli investimenti ai risultati, che determina una tattica attendista da parte dell’impresa il cui risultato è uno solo: il ritardo competitivo.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese italiane, la verità è che fino a quando la politica del credito bancario e il profilo della fiscalità non saranno letteralmente rovesciati come impostazione rispetto alla condizione attuale, non vedremo le aziende andare al fiume con amo e reti. Al massimo con la valigia di cartone. Quello della piccola dimensione è, rispetto a queste problematiche, un falso problema sul quale in questi anni si è ragionato in modo semplicistico. In particolare non cogliendo un punto fondamentale che, in pratica, lo smentisce. E cioè il fatto che il potenziale di mercato (anche estero, ovviamente) di un dato prodotto è indipendente dalla dimensione dell’impresa che lo produce: non esiste nella realtà nessuna correlazione di proporzionalità diretta tra la dimensione di un’azienda e il potenziale di mercato dei suoi prodotti.
In altre parole, non è affatto vero che più grande è un’impresa e più grande è il potenziale di domanda per i suoi beni. Anzi, spesso è vero il contrario. Perché di solito i prodotti a maggior grado di unicità sono realizzati dalle imprese più piccole, non da quelle più grandi. Gli esempi si sprecano.
Grivel è una piccola azienda italiana che, dal 1818, produce attrezzature per alpinismo (picozze, ramponi ecc.) a Courmayeur. Ha un fatturato di 5 milioni di euro, ed è conosciuta in tutto il mondo. Nel suo sito web è scritto: «Noi vogliamo mantenere le nostre tradizioni, tenendoci, cosi, in contatto con le montagne e con l’uomo che vuole sfidarle. Non negozieremo la nostra essenza per il profitto e non rischieremo di perderla insediandola in altre regioni». È un fiero esempio di sana imprenditoria locale che ha clienti appassionati e affezionati in tutto il mondo proprio perché è rimasta piccola e fedele alle sue tradizioni. La sua ridotta dimensione dunque non è affatto un problema. Al contrario, essa è una condizione necessaria affinché si possano realizzare prodotti di altissima qualità e fatti con grande cura.
Le distillerie Berta sono una storica azienda piemontese produttrice di grappe di grande qualità che vanta clienti fedeli in molti paesi del mondo, e che nel 2015 ha conosciuto una crescita del fatturato del +17,5 per cento, per un giro d’affari attorno agli 11 milioni di euro. Anche in questo caso, la forza di questa azienda è la cura artigianale del prodotto che solo la piccola dimensione permette.
Persico Marine è un’impresa che progetta e produce barche a vela da competizione e armatoriali, interamente in fibra di carbonio. Negli ultimi anni ha realizzato barche per alcuni dei team più importanti che hanno preso parte a competizioni come l’America’s Cup e la Volvo Ocean Race. L’azienda, che fattura intorno ai 15 milioni di euro, ha nella cura maniacale della progettazione e nel fatto di essere all’avanguardia nello stampaggio e lavorazione della fibra di carbonio i suoi punti di forza. E, come per le altre imprese prima citate, anche in questo caso la piccola dimensione ha semmai favorito questa capacità di realizzare prodotti superlativi per qualità e tecnologia. Non l’ha certo ostacolata.
Insomma: la realtà ci dice che piccolo può essere globale e può disporre dei mezzi adeguati per recarsi al fiume munito di ami e reti a sufficienza, in barba a una teoria che afferma il contrario. Dopotutto, il fiume premia i pescatori abili, quelli che arrivano per primi e sanno dove posizionarsi lungo il suo corso. Non certo quelli con la canna più lunga e le reti più grosse.