E&MFLASH

05/07/2017 Alessandra Del Boca

Lavoro a tempo determinato

un’Italia alla tedesca

Un recente rapporto Eurostat fa luce sulla diffusione del lavoro temporaneo nell’Unione Europea a 28 in chiave comparata; presentiamo qui un commento ai dati di Alessandra Del Boca e Antonietta Mundo, autrici del recente volume L’inganno generazionale. Il falso mito del conflitto per il lavoro.

Il lavoro a tempo determinato è la principale forma di lavoro atipico, un tipo di contratto alle dipendenze che prevede una scadenza: l’utilizzo di questo strumento risponde alle esigenze di flessibilità delle aziende e consente di aumentare la produttività e far fronte alle fluttuanti richieste del mercato, migliorando l’efficienza organizzativa e riducendo i costi fissi e amministrativi.

Il lavoro temporaneo nelle sue varie declinazioni istituzionali è presente in misure molto diverse nei vari paesi europei, con differenze che vanno dall’1,4 per cento della Romania al 27,5 per cento della Spagna. Appare in molti paesi correlato a una regolazione del mercato del lavoro rigida e protettiva, anche se le recenti riforme di molti paesi europei hanno modificato questa relazione.

Per esempio, in Italia abbiamo visto il lavoro a tempo determinato diminuire tra il 2013 e il 2016 dopo l’introduzione del Jobs Act. La decontribuzione che lo ha accompagnato nei primi due anni ha inizialmente ridotto la convenienza del lavoro a tempo determinato; tuttavia, dalla fine del 2016 al primo trimestre del 2017, terminati gli incentivi con un ciclo promettente ma non completamente stabile, il tempo determinato ha ripreso a crescere. Oltre alle caratteristiche istituzionali delle assunzioni e dei licenziamenti, il lavoro temporaneo è collegato a occupazioni manuali con scarsa dotazione di capitale umano. Per questo motivo le incidenze più elevate del lavoro a termine si osservano in agricoltura (11,3 per cento), nel turismo, alberghi e ristorazione (13 per cento), negli altri servizi collettivi e personali, nell’istruzione, nei servizi alle imprese e nelle costruzioni; la manifattura ha comunque la quota più importante, pari al 15,9 per cento. Questa tipologia di lavoro viene usata come una maniera sicura di testare per un tempo più lungo un nuovo dipendente prima di firmare un contratto a tempo indeterminato.

Secondo un recente rapporto Eurostat, la percentuale di lavoratori con un contratto di lavoro temporaneo nell’Unione Europea a 28 è dell’14,2 per cento. L’Italia si colloca a metà: il 14,0 per cento del totale dei lavoratori dipendenti ha un contratto a tempo determinato, un dato simile al 13,2 tedesco e al 13,5 per cento danese.

Se guardiamo il fenomeno per classi d’età vediamo che il lavoro a tempo determinato si concentra sui giovani tra i 15 e i 24 anni: di questi, il 43,8 per cento è a tempo determinato. In Italia il dato è pari al 54,7 per cento, superiore alla media, ma in linea con il 53,2 tedesco e con il 58,6 per cento francese. Il fatto che l’incidenza dei giovani sia così elevata in paesi dove il mercato del lavoro funziona bene come la Germania ci dice che quello del lavoro temporaneo giovanile è un fattore fisiologico.

 

(Alessandra Del Boca è professore di Politica economica all’Università di Brescia, ha insegnato alla Sapienza Università di Roma e alla University of California di Berkeley; Antonietta Mundo lavorato come attuario all’Ente Nazionale Prevenzione Infortuni e all’Inps, nel ruolo di coordinatore generale statistico-attuariale. Assieme hanno recentemente pubblicato per i tipi di Egea il volume L’inganno generazionale. Il falso mito del conflitto per il lavoro)

lavoroindeterminato