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Finanza: femminile solo a parole
Il recente rapporto Women in Financial Services di Oliver Wyman riporta l’attenzione su un fenomeno che conosciamo bene: la scarsa presenza di donne nelle istituzioni finanziarie. Nonostante i progressi degli ultimi anni, raggiunti soprattutto grazie all’introduzione di leggi che impongono in vari paesi, Italia compresa, quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate, le donne in posizioni decisionali nella finanza restano poche: nelle 381 istituzioni finanziarie analizzate nel rapporto, che copre 32 paesi, le donne rappresentano nel 2016 il 20 per cento nei consigli di amministrazione e solo il 16 per cento nei comitati esecutivi. È significativo che le donne nei consigli, dove si applicano le quote di genere, siano di più di quelle nei comitati esecutivi, dove si vedono i risultati degli ostacoli alle carriere manageriali femminili.
A cinque anni dall’approvazione della legge 120/2011 che impone le quote di genere in Italia, una riflessione sulle posizioni executive è quanto mai necessaria. La legge è servita per sbloccare una situazione di monopolio maschile nei consigli di amministrazione: la percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane è passata dal 7 all’attuale 30 per cento. La legge ha avuto anche effetti benefici sulla governance delle società (su questo si veda G. Ferrari, V. Ferraro, C. Pronzato, P. Profeta, 2016 Gender Quotas: Challenging the Boards, Performance and the Stock Market, Dondena working paper n. 92). Ma non può certo essere una ricetta magica per rimuovere i numerosi ostacoli alle carriere femminili e stabilire la parità di genere a tutti i livelli.
Come sottolinea il rapporto, dobbiamo concentrarci ora sulle donne in mid-career: l’ambizione delle giovani viene frenata dalle difficoltà di conciliare vita lavorativa e professionale, che, in un contesto generalmente poco attento come è il settore finanziario, diventa la richiesta di un sacrificio troppo grande, di fronte al quale molte – troppe – donne preferiscono cambiare strada. Donne competenti, di talento e motivate, al pari dei loro colleghi maschi, la cui uscita è un costo per il settore. Come arginare questo flusso in uscita?
Le donne – sottolinea il rapporto – chiedono più flessibilità di spazio e tempo di lavoro, più supporto per le responsabilità familiari, più trasparenza nei processi di selezione e promozione e una cultura lavorativa che abbandoni i tanti unconscious bias che ancora così spesso le penalizzano. Sono queste le misure che ora noi studiosi siamo chiamati a valutare e su cui le istituzioni sono chiamate a investire.
(Paola Profeta è professore di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi e coordinatrice di «Dondena Gender Initiative»)