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09/11/2016 Davide Reina

A proposito dell’importanza del senso della misura

Est modus in rebus

(C’è una misura nelle cose)

(Orazio)

 

L’antico motto latino che scrisse Orazio ci rammenta l’importanza del saper dare il giusto peso alle cose, nella vita. Ma anche nelle imprese, in particolare nel momento in cui si debbono produrre delle stime su nuovi potenziali mercati, prodotti o servizi, questa capacità è fondamentale. Non soltanto perché, evidentemente, se si realizzano stime troppo ottimistiche il rischio è quello di fare il passo più lungo della gamba. Ma anche perché, meno evidentemente, se si producono delle stime troppo pessimistiche il rischio è quello di fare un passo troppo corto. Vale a dire, di dedicare risorse ridotte a un progetto che invece ne meriterebbe di maggiori, e quindi di non disporre di sufficiente denaro, persone, attrezzature per realizzare tutto il potenziale di quel progetto.

In questo caso, siamo in presenza di un classico caso di profezia che si auto-avvera: siccome ho stimato un potenziale troppo basso, proprio quel potenziale realizzerò. Perché le poche risorse, un numero di persone limitate e attrezzature inadeguate non possono che determinare un risultato conseguente: cioè un piccolo risultato. Le stime troppo prudenti, dunque, sono dannose per i risultati dell’impresa tanto quanto quelle avventate. Anzi, in alcuni casi lo sono anche di più: perché nella storia di molti mercati ci sono diversi esempi di lanci di prodotto troppo «timidi», che hanno finito per essere dei market test in grado di risvegliare il concorrente dormiente. Il quale, pur entrando nel mercato per secondo, ma investendo un congruo ammontare di risorse, ha spazzato via il first mover troppo prudente.

La soluzione per stimare bene quindi, è proprio l’avere il senso della misura. Non si deve esagerare né verso l’alto né verso il basso. Esattamente come è scritto nella prosecuzione del motto di cui sopra:  sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum (vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto).

Il problema però, nella grande maggioranza delle imprese, è che il management è portato a stimare troppo verso il basso. Due sono le ragioni di questo comportamento. Primo: la cultura dell’errore zero. Secondo: il timore di non raggiungere l’obiettivo «promesso» con la stima e, di conseguenza, di essere puniti.

Ora, come ho sottolineato prima, l’avere un insieme di business case sottostimati nei risultati attesi è un grande problema per un’azienda. E non solo perché alcuni progetti approvati saranno dotati di risorse troppo scarse per generare i risultati che avrebbero potuto portare con le risorse adeguate, ma anche perché altri potenziali progetti saranno depennati. La situazione paradossale di un approccio del genere è che i vertici dell’azienda avranno la percezione di un’ottima performance: nessun insuccesso (o pochissimi insuccessi); quasi tutti i progetti lanciati con esito positivo e realizzando gli obiettivi stimati. Nessun passo più lungo della gamba dunque. Però, e questo è il punto, la ragione è che si procede per piccolissimi passi e troppo lentamente. Non che si è bravi.

Per uscire da questa trappola, che rende l’impresa una macchina apparentemente perfetta ma bloccata, con uomini che si limitano a farla funzionare ma non a cambiarla, occorre fare due cose. Primo: tollerare l’errore. Secondo, portare l’errore all’interno del processo di stima. In pratica, richiedendo al management delle stime che, rispetto ai business case, prevedano obiettivi di fatturato e margini pari a un certo valore, ma con un +x % e un –x % «attorno» (per esempio, e fatto 100 il fatturato: un +10 % verso l’alto e un –10 % verso il basso).

Naturalmente è essenziale che il top management condivida qual è il grado massimo di errore che l’impresa può permettersi di avere, verso l’alto e verso il basso, per un determinato business case. Intuitivamente, l’ammontare di questo errore sarà in funzione dell’importo degli investimenti relativi al business case, del grado di reversibilità degli stessi e del tipo di cash-flow. Perché è chiaro che un business case con elevato ammontare di investimenti, basso grado di reversibilità degli stessi e cash flow negativo è un business case che potrà tollerare un errore piccolo di stima, verso l’alto così come verso il basso. Mentre un business case con investimenti iniziali ridotti e ad alto grado di reversibilità, con cash flow positivo, evidentemente potrà sopportare un errore più grande nella stima di fatturati e margini, verso l’alto così come verso il basso. Per esempio: il primo tipo di business case è il lancio di un nuovo modello di automobile; il secondo tipo di business case è il lancio di un’attività di e-commerce.

Ovviamente, devono essere i vertici dell’azienda a condividere con tutto il management quanto grande può essere l’errore che si può tollerare nelle stime. E l’entità di questo errore deve essere conseguente, e coerente, con la natura del business nel quale l’impresa opera. Come mi disse anni fa un grande imprenditore fondatore di un gruppo italiano che oggi fattura quasi un miliardo di euro: «quando un manager non raggiunge il risultato di fatturato e margini promesso, ovviamente non sono contento. Ma quello che non posso davvero sopportare sono le stime che vengono disattese da risultati doppi o tripli rispetto al previsto». E concludeva: «ecco perché ho deciso di richiedere a tutti i miei manager, per i nuovi progetti, stime che includano il concetto di errore. E che motivino il grado di errore».

La costruzione del futuro esige un senso della misura fondato sul concetto di errore massimo tollerabile. L’idea stessa del raggiugere un obiettivo preciso con errore zero è, infatti, in conflitto con il motto latino di Orazio, e ci porta «al di qua» (al di sotto) delle cose. Come ha scritto un grande scienziato, Fritjof Capra:

 

«La leadership deve facilitare l’innovazione e il cambiamento attraverso la diffusione di una cultura dell’apprendimento nella quale il mettere in discussione lo status quo è incoraggiato e l’innovazione premiata, e attraverso la creazione di un clima di fiducia e supporto reciproco che riconosca l’opportunità del nuovo quando emerge, permettendo la libertà di commettere degli errori». 

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