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Gianni Canova, Severino Salvemini

The Wizard of Lies

Il volto sobrio della truffa

Se Il lupo di Wall Street di Martin Scorsese ci aveva mostrato il volto folle e sfrenato di certa finanza contemporanea, ora The Wizard of Lies di Barry Levinson si ispira al caso di Bernard Madoff per mettere in luce una truffa dai modi più sobri e felpati ma se possibile ancora più detestabili. 65 miliardi di dollari defraudati, 150 anni di carcere. E una domanda che aleggia su tutto: perché in tanti ci hanno creduto? Come hanno potuto cascarci? Come riusciva Madoff a convincere le sue innumerevoli vittime?

The Wizard of Lies

Regia: Barry Levinson

Int.: Robert de Niro e Michelle Pfeiffer

USA, 2017.

 

150 anni di carcere. A tanto ammonta la condanna che i tribunali americani hanno comminato a Bernie Madoff, il finanziere newyorkese artefice di una delle più gigantesche frodi finanziarie che la storia ricordi. Madoff, che ha ormai quasi 80 anni (è nato nell’aprile del 1938) e sta scontando la pena in un carcere del North Carolina, fu arrestato nel 2008, quando l’esplosione della crisi scoperchiò il pozzo di inganni e di truffe su cui Madoff aveva costruito la sua colossale fortuna, defraudando – pare – di quasi 65 miliardi di dollari le vittime del suo diabolico sistema.

Personaggi come lui scatenano nell’opinione pubblica sentimenti contrastanti, che oscillano fra l’indignazione per il comportamento criminale e l’inconfessata ammirazione per l’indubbia intelligenza con cui ha imbastito la sua truffa.  Ed è proprio su questa ambivalenza, sul paradossale fascino del truffatore, che ha giocato nel 2013 Woody Allen, che a Madoff si è ispirato per costruire il personaggio interpretato da Alec Baldwin nel suo Blue Jasmine. Sulla medesima ambivalenza ha giocato poi la miniserie prodotta dalla ABC, con un premio Oscar come Richard Dreyfuss a indossare i panni e l’habitus mentale del grande truffatore. Sempre su questo filo di sottile ambiguità, ancora una volta sospeso tra fascinazione e repulsione, gioca ora The Wizard of Lies, con Robert De Niro nei panni del finanziere. Severino Salvemini e Gianni Canova discutono sulla sua figura e sulle reazioni che suscita nell’opinione pubblica e negli spettatori dei film o delle serie a lui dedicate.

 

G.C. Ho come l’impressione cha a Hollywood ci sia un nuovo trend: i finanzieri di Wall Street sono per il cinema di oggi quel che Al Capone è stato nel secolo scorso: al contempo demoni e eroi, incarnano più di chiunque altro le contraddizioni e i paradossi del mondo in cui viviamo.

 

S.S. Sono i gangster dell’economia post-industriale. E per certi versi sono perfino peggiori di Al Capone: perché questi infrangeva le leggi e truffava lo Stato, mentre certi lupi di Wall Street ingannano la gente.

 

G.C. Sì, ma Madoff non è un Gordon Gekko, uno squalo che non nasconde la sua sete di denaro e di potere: al contrario è un uomo rispettabile, che gode della fiducia dei mercati. A lungo presidente del Nasdaq, era ritenuto credibile e affidabile  da grandi banche internazionali (comprese un paio di quelle italiane) così come da università, da istituzioni umanitarie e da star di Hollywood quali Steven Spielberg e John Malkovich. Tutti vittime del suo sistema.

 

S.S. Madoff – come ci ricorda bene The Wizard of Lies – ha applicato in modo sistematico il cosiddetto «schema Ponzi». È un metodo truffaldino che prende il nome da un immigrato italiano del secolo scorso, Charles Ponzi, divenuto famoso per avere architettato una truffa ai danni di una comunità di immigrati. Lo schema promette grandi interessi sugli investimenti, ma poi corrisponde tali interessi solo attraverso le iniezioni di liquidità che arrivano dagli investimenti dei nuovi entrati. È uno schema che non può andare avanti all’infinito e prima o poi collassa su se stesso. Cosa che è puntualmente accaduta anche con quelli che avevano creduto in Madoff e sono stati travolti dal suo castello di promesse e di bugie.

 

G.C. Il regista Barry Levinson – che ricordiamo per alcuni cult anni Ottanta e Novanta come Rain Man, Sesso e potere o Sleepers – riesce a farci riflettere sui sentimenti ambigui e contrastanti che un personaggio come Madoff esercita su di noi. Vedendolo all’opera, osservando come distrugge la società che crede in lui e che gli dà fiducia, noi oscilliamo continuamente fra l’indignazione e l’inconfessabile ammirazione, e sperimentiamo sulla nostra pelle l’ambiguo fascino del male.

 

S.S. Non sono del tutto d’accordo. A me pare che Robert De Niro faccia di Madoff un uomo dall’aspetto ordinario, una sorta di sfinge impassibile, forgiata da decenni di silenzi e segreti e dall’attesa di un’impetuosa e inevitabile rovina. Nulla traspare dal suo volto e dalle sue parole se non il suo forzato e impacciato tentativo di autoassoluzione, agganciato all’avidità dei suoi investitori e alla ricerca della protezione verso i propri familiari. Bernard Madoff è un malvagio atipico, conscio delle proprie nefandezze, ma avvolto da un alone di mediocrità che non lo rende mai realmente inquietante o irritante.

 

G.C. Per certi versi hai ragione, non sarà inquietante, ma un certo fascino lo emana comunque. Certo, vedendo il film viene da chiedersi perché Madoff abbia fatto quello che ha fatto. Quali fossero le sue motivazioni profonde. Non certo l’avidità e la smania di diventare sempre più ricco, perché comunque la vita sua e dei suoi famigliari non era certo una vita da tycoon. Né tantomeno l’arroganza e il potere di comandare e di contare nella jet society newyorkese, perché egli passava tutta la sua giornata lavorativa racchiuso al 17° piano del grattacielo, contornato da pochi collaboratori fidatissimi.

 

S.S. Sì, ma il suo nome era circondato da un alone di potenza che forse bastava a giustificare il tutto.  La reputazione. L’autorevolezza. Il senso del potere. Certo, la sua personalità rimane un grande dilemma, che si spiega solo con aspetti caratteriali molto impliciti e difficili da decifrare. Forse, in lui, c’era anche la consapevolezza di aver messo in piedi un sistema fatalmente destinato a rotolare in male modo e la debolezza di non riuscire a fermare la palla di neve quando la valanga comincia a cadere e il castello inizia a sfaldarsi.

 

G.C. Forse però la domanda che dovremmo farci non è tanto perché Madoff agisse in quel modo, quanto perché i suoi investitori cadessero nella trappola. Solo per avidità? Perché ignari dei meccanismi e dei rischi della speculazione finanziaria? Troppo semplicistico. Le persone truffate da Madoff avevano tutti gli strumenti culturali e le conoscenze tecniche per non farsi truffare. Eppure ci sono cascati. Ci hanno creduto. Hanno voluto crederci. Perché? Su questo, purtroppo, neanche il film di Barry Levinson riesce a suggerire risposte plausibili.

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