E&M

2015/6

Stefano Basaglia

Il paese mancato: il difficile rapporto tra popolazione omosessuale, società e imprese in Italia

L’obiettivo di questo articolo è di proporre un modello che consenta di diagnosticare quale clima organizzativo gay e lesbiche possono trovare nel proprio luogo di lavoro. Il modello si basa sulla letteratura di clima e integra le determinanti macro e micro del clima. Il contesto sociale e legale di un determinato paese (determinanti macro) “con-corre” insieme al contesto organizzativo e al diversity management adottato dalle singole organizzazioni (determinanti micro) a definire lo spazio entro cui i lavoratori omosessuali decidono di (1) rendere invisibile e/o visibile e (2) agire la propria identità più o meno stigmatizzata.

The missed country: the difficult relationship among homosexual citizens, society and companies in Italy. This article proposes a diagnostic model in order to analyse which type of organizational climate gay and lesbian workers may expect to find in the workplace. The model is based on climate literature and balances macro (social and legal country-level context) and micro (organizational context and diversity management policies and practices) climate determinants. These determinants shape the space in which gay and lesbian workers decide to come out in the workplace, and perform their own identity.

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Introduzione

Il titolo riprende un libro di Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, edito da Laterza nel 2003.

Questo articolo è dedicato al tema dell’omosessualità nelle organizzazioni in Italia (Basaglia 2010). Per inquadrare questo argomento, può essere utile partire da un caso semplice: ipotizziamo che una persona omosessuale (gay o lesbica)[1], cresciuta in Italia, debba decidere dove andare a lavorare, ossia debba decidere dove e a chi inviare il proprio CV. Quali aspetti dovrebbe prendere in considerazione per capire quale contesto (sociale e organizzativo) gli consentirebbe, a priori, di esprimersi come è realmente e di liberare il proprio potenziale? Per una decisione di questo tipo dovrebbe “analizzare”, da una parte il paese,dall’altra l’organizzazione in cui andare a lavorare.

La scelta del paese: il contesto sociale

Per quanto riguarda la scelta del paese, sono rilevanti due dimensioni: la dimensione legata al contesto sociale e la dimensione legata al contesto legale. Il contesto sociale rileva quanto l’individuo è libero di “agire” la propria sessualità/affettività all’interno della società. Per analizzare questo aspetto si può fare riferimento alle seguenti sotto-dimensioni.

Accettazione morale dell’omosessualità. Il Pew Research Center, nell’ambito delle inchieste su Global attitudes and trends – Global views on morality ha chiesto a cittadini di 40 paesi se credono che l’omosessualità sia moralmente accettabile, moralmente inaccettabile o non sia un tema etico[2]. In base ai dati raccolti, è possibile tracciare un ranking dei paesi in cui l’omosessualità è accettata da un punto di vista morale e/o sfugge ai “controlli” della morale (figura 1). I tre paesi in cui l’omosessualità è più accettata e/o non è considerata un tema etico sono: Spagna, Germania e Francia. L’Italia si colloca in ottava posizione: il 42% ritiene che l’omosessualità sia moralmente accettabile, il 31% che non sia un tema etico e il 19% che non sia accettabile.

Figura 1 Grado di accettazione dell’omosessualità per paese*

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* Il ranking si basa sulla sommatoria tra coloro i quali pensano che l’omosessualità sia accettabile e quanti pensano che non sia in tema etico.

Fonte: Pew Research Center (2015)

Ruolo della famiglia/accesso al matrimonio.Un secondo dato da prendere in considerazione è quanto sia accettato il fatto che gli omosessuali abbiano gli stessi diritti degli eterosessuali. Uno dei campi più discussi riguarda la famiglia e il matrimonio. Le domande di fondo sono: quale insieme di persone può essere categorizzato come famiglia? Chi deve avere accesso al matrimonio? Focalizziamo la situazione sull’Italia. In base a un sondaggio realizzato da Demos & Pi a giugno 2015[3], il 53% si è dichiarato favorevole al matrimonio gay. Il dato varia molto in funzione della generazione di appartenenza dei rispondenti: sono favorevoli al matrimonio gay il 75% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni contro il 33% degli anziani con più di 65 anni.

Un altro sondaggio realizzato da Ipsos a ottobre 2015[4] ha messo in evidenza che per il 50% dei rispondenti è famiglia “qualunque coppia legata da affetto e che voglia vivere insieme” (questa percentuale sale al 69% tra chi non è religioso e scende al 32% tra chi lo è). Inoltre, il 74% dei rispondenti si è dichiarato favorevole al matrimonio per le coppie omosessuali o al riconoscimento delle unioni civili (37% favorevoli al matrimonio e 37% favorevoli alle unioni civili).

Accettazione dei comportamenti (privati e pubblici). Un terzo aspetto da prendere in considerazione riguarda quanto la società influenzi i comportamenti delle persone omosessuali. L’orientamento sessuale è una caratteristica primaria e invisibile dell’identità di un individuo. Le persone omosessuali possono “decidere” di agire pubblicamente il proprio orientamento sessuale (attraverso il coming out e/o attraverso il proprio comportamento in pubblico) oppure di depotenziarlo e/o nasconderlo (Ragins 2008). A questo proposito può essere utile osservare i risultati dell’indagine realizzata dalla European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) nel corso del 2012. La figura 2 mostra la percentuale di individui LGBT[5] che sono completamente in the closet, ossia non hanno fatto coming out con nessun membro della propria famiglia e/o con nessun membro della propria rete di amici e/o con nessuno dei propri vicini di casa. Facendo una media tra le tre dimensioni prese in considerazione (famiglia, amici e vicini di casa), è possibile stilare un ranking dei paesi in cui gli individui LGBT sono più visibili all’interno della propria rete di relazioni. I tre paesi con il grado di visibilità maggiore sono Paesi Bassi, Danimarca e Belgio. L’Italia è 18a su 28 paesi.

Infine, l’orientamento sessuale riguarda la sfera sessuale e affettiva di una persona e, quindi, un altro aspetto da tenere in considerazione è non solo quello di “dire” pubblicamente di essere omosessuale, ma anche quello di “vivere” pubblicamente la propria omosessualità. A questo proposito, può essere utile analizzare i risultati presentati nelle figure 3 e 4.

La figura 3 confronta quanto i rispondenti pensano che sia diffuso l’atto di tenersi le mani in pubblico da parte delle coppie eterosessuali e delle coppie omosessuali. Facendo la differenze tra le percezioni relative alle coppie eterosessuali e alle coppie omosessuali, si può comprendere quanto in un paese sia presente un gap tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali. I tre paesi con il gap inferiore sono Finlandia, Paesi Bassi e Lussemburgo. L’Italia si colloca in 26a posizione su 28 paesi. Questo dato può essere completato dalla percentuale di omosessuali che evitano di tenere la mano del proprio partner in pubblico (figura 4). I tre paesi con la percentuale più bassa sono: Spagna, Finlandia e Svezia. L’Italia si colloca in 17 a posizione sempre su 28 paesi.

Due ulteriori dati vanno a completare il senso del “vivere” pubblicamente la propria omosessualità in Italia (Istat 2012). Il primo riguarda il fatto che il 55,9% degli italiani si dichiara d’accordo con la seguente affermazione “se gli omosessuali fossero più discreti sarebbero meglio accettati”. Il secondo dato riguarda il grado di accettazione delle manifestazioni pubbliche di affetto e vanno a completare i dati FRA. Il 94,2% dichiara che è accettabile che una coppia eterosessuale che passeggia per strada tenendosi per mano si scambi un rapido bacio. La percentuale scende al 55% nel caso in cui la coppia sia composta da due donne, e al 52,4% nel caso in cui la coppia sia composta da due uomini. L’accettazione dell’omosessualità in Italia è vincolata al fatto che sia discreta e slegata il più possibile da una manifestazione del legame sessuale/affettivo e/o dall’attrazione sessuale.

Figura 2 Grado di invisibilità della popolazione LGBT per paese in famiglia, presso gli amici e con i vicini di casa in ordine crescente*

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* Il ranking si basa sulla media della percentuale di omosessuali invisibili in famiglia, con gli amici e con i propri vicini di casa.

Fonte: FRA (2012)

Figura 3 Quanto tenersi per mano sia un comportamento molto diffuso per le coppie eterosessuali e per le coppie omosessuali per paese in ordine crescente in base al gap tra eterosessuali e omosessuali

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Fonte: FRA (2012)

Figura 4 Percentuale di omosessuali che evitano di tenere la mano del proprio partner per paese in ordine crescente

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Fonte: FRA (2012)

Da un punto di vista del contesto sociale, l’Italia è caratterizzata da luci e ombre. Vi è un elevato grado di legittimazione dell’omosessualità “in sé e per sé” e un buon grado di legittimazione del matrimonio e/o delle unioni civili. Però, è in una posizione arretrata per quanto riguarda la visibilità e per quanto riguarda la possibilità per gli omosessuali di manifestare in pubblico sessualità e affettività.

La scelta del paese: il contesto legale

Il contesto legale riguarda il grado di protezione e riconoscimento dei diritti civili/sociali degli omosessuali da parte dello Stato. A partire dal 2009, ILGA Europe[6] pubblica ogni anno un rapporto che mette a confronto 49 paesi europei andando a misurare l’apparato costituzionale/legislativo al fine di mettere in evidenza il grado di protezione/tutela della popolazione LGBT. Il punteggio massimo equivale a 100% (situazione di pieno rispetto dei diritti umani e di piena uguaglianza), il punteggio minimo equivale a 0% (situazione di grave violazione dei diritti umani e di discriminazione). Le dimensioni prese in considerazione riguardano: l’uguaglianza e la non discriminazione (es. anti-discriminazione nei luoghi di lavoro, anti-discriminazione nella vendita di beni ed erogazione di servizi ecc.); la famiglia (es. matrimonio egalitario, unioni civili che garantiscono gli stessi diritti del matrimonio, unioni civili che garantisco diritti limitati, adozione ecc.); il contrasto dei crimini d’odio e dell’incitamento all’odio; il riconoscimento legale del genere e il diritto all’integrità del proprio corpo; la libertà di assemblea, associazione, espressione; il diritto d’asilo. La figura 5 presenta la classifica 2015 dei 49 paesi europei. I tre con il punteggio più elevato sono Regno Unito, Belgio e Malta. L’Italia si colloca al 34° posto. In particolare, il nostro paese non presenta nessuna forma di tutela e/o uguaglianza sul fronte della famiglia e del contrasto dei crimini d’odio/dell’incitamento all’odio.

Figura 5 – La classifica ILGA Europe 2015

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Fonte: ILGA Europe (2015)

Tra tutte le dimensioni legali analizzate dal rapporto ILGA, come scritto anche più sopra, quella che sta generando il dibattito più intenso in Italia riguarda il matrimonio egalitario e/o le unioni civili. Questo aspetto merita un approfondimento.

Arcigay[7], durante il suo congresso fondativo del 1985, indicò tra i propri obiettivi strategici del biennio 1986-87 le proposte legislative sul “riconoscimento legale delle convivenze e del diritto alla successione nel patrimonio del convivente”[8]. Nel 1986 (IX legislatura) la senatrice Salvato e le deputate Bianchi e Bottari (Interparlamentare Donne Comuniste) presentarono alle rispettive Camere di appartenenza un disegno di legge sulle unioni civili. Nel 1988 (X legislatura), Alma Cappiello (Partito Socialista Italiano) deposita una proposta di legge (n. 2340, Disciplina della famiglia di fatto) per il riconoscimento delle convivenze tra “persone”. La proposta non fu mai calendarizzata[9]. Da quel 1988, sono passati 27 anni e 8 legislature. Si sono succeduti schieramenti di centro-sinistra e di centro-destra, ma nulla è stato fatto.

Il 6 ottobre del 2015 è stato depositato presso il Senato della Repubblica (Atto Senato n. 2081) un disegno di legge sulla “Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili”. È stato “incardinato” il 14 ottobre ma, allo stato attuale, non si sa se e quando verrà approvato. Tale disegno di legge prevede limitati diritti rispetto al matrimonio egalitario (nella nomenclatura dell’ILGA si tratterebbe di una legge di “terzo livello”, parziale e incompleta)[10].

Anche se il testo venisse approvato, l’Italia rimarrebbe, quindi, in una posizione di arretratezza legislativa rispetto sia ai paesi che hanno adottato il matrimonio egualitario sia a quelli che hanno adottato le unioni civili vere e proprie. Pertanto, sul fronte del contesto legale la situazione è di profonda arretratezza. Il sistema italiano è lontano da quello di tutti i principali paesi di matrice occidentale ed è vicino, invece, a quello di paesi caratterizzati da regimi autoritari. L’Italia per questa situazione è stata condannata, nel luglio del 2015, dalla Corte europea dei diritti umani ed è stata “sollecitata” ad agire, a settembre del 2015, dal Parlamento Europeo.

La scelta dell’impresa: il contesto organizzativo

Il contesto sociale e il contesto legale contribuiscono a definire lo spazio entro cui agiscono le imprese, ossia contribuiscono a definire il campo organizzativo. Nel campo organizzativo, i differenti soggetti (imprese, Stato, associazioni ecc.) interagiscono all’interno di una fitta rete di relazioni di potere e di mutua influenza che danno vita a forze di varia natura (regolative, normative e culturali-cognitive) e di differente intensità (coercitiva, normativa e mimetica). Sarebbe sbagliato dire, quindi, che le imprese “subiscono” l’ambiente organizzativo. Le imprese, al pari di tutti gli altri soggetti, concorrono a definire il campo organizzativo (Scott 2001; Bourdieu 2010; Perretti e Basaglia 2014).

Un omosessuale per “scegliere” l’impresa “migliore” presso cui inviare il proprio CV dovrebbe cercare di capire il contesto organizzativo, ossia quanto l’individuo-lavoratore è libero di agire la propria sessualità/affettività all’interno dell’organizzazione, e l’insieme delle politiche e delle pratiche adottate sul fronte della gestione della diversità e dell’inclusione.

Su questi due fronti è possibile cercare di capire la postura delle imprese italiane facendo riferimento ai risultati delle indagini che il Diversity Management Lab di SDA Bocconi ha avviato a partire dal 2009 (Basaglia et al. 2015a). Una sezione dell’indagine ha l’obiettivo di rilevare la percezione circa la probabilità, a parità di competenze, che un individuo appartenente a e/o identificato con una determinata categoria sociale (Burke e Stets 2009) sia assunto e/o promosso (utilizzando una scala 1-7, dove 1 equivale a “estremamente improbabile” e 7 equivale a “estremamente probabile”). In un contesto senza discriminazione la media delle risposte relative alle differenti categorie sociali dovrebbe essere uguale. Se la media di una categoria e? piu? elevata di quella di un’altra, il trattamento e? maggiormente favorevole, se e? inferiore e? maggiormente sfavorevole. Il trattamento sfavorevole puo? essere letto attraverso le classiche lenti della stigmatizzazione (Goffman 1963; Clair et al. 2005; Ragins 2008); quindi, se per una categoria sociale la probabilità di essere assunti/promossi e? inferiore a quella di un’altra, significa che e? presente uno stigma.

Con riferimento all’omosessualità i risultati sono i seguenti:

· per l’assunzione “l’effetto stigma” per l’uomo gay è pari a 0,75 (media uomo senza nessuna specificazione 6,22, media uomo gay 5,47), per le donne lesbiche è pari a 0,4 (donna senza nessuna specificazione 5,94, donna lesbica 5,54);

· per la promozione “l’effetto stigma” per gli uomini gay è pari a 0,62 (media uomo senza nessuna specificazione 6,10, media uomo gay 5,48), per le donne lesbiche è pari a 0,08 (donna senza nessuna specificazione 5,47, donna lesbica 5,39).

Questi dati ci dicono che nella percezione dei lavoratori (eterosessuali e omosessuali) essere gay e/o lesbica non è neutrale, ma può avere delle conseguenze sul piano dell’assunzione e/o della promozione. Questi dati sono coerenti rispetto ai dati Istat (2012): il 40,3% degli omosessuali (contro il 27,9% degli eterosessuali) ha dichiarato di essere stato discriminato nel corso della propria vita a scuola/università e sul lavoro.

Inoltre, all’interno dell’indagine 2013 del Diversity Management Lab di SDA Bocconi (Basaglia e Simonella 2014), è stato chiesto ai rispondenti se l’azienda sarebbe stata disposta a concedere a un lavoratore gay che si era sposato all’estero il permesso per il viaggio di nozze e i benefit. Le risposte sono state le seguenti: il 50% ha indicato “Non so”, il 29% “Sì” e il 21% “No”. Il valore molto elevato dei “Non so” mette in evidenza come le aziende non abbiano ancora affrontato l’argomento e come il tema dell’orientamento sessuale sia ancora nascosto all’interno delle organizzazioni.

È stato anche chiesto se il lavoratore in questione dovrebbe comunicare il fatto di essere omosessuale e la propria decisione di sposarsi a nessuno, ai colleghi e al capo, solo ai colleghi. La maggioranza dei rispondenti (53%) indica “A nessuno”, il 44% “Ai colleghi e al capo”, il 3% “Solo ai colleghi”. Il fatto che la maggioranza abbia indicato “A nessuno” mette in evidenza come l’essere gay rappresenti ancora uno stigma all’interno delle organizzazioni.

La scelta dell’impresa: l’adozione del diversity management

Il Diversity Management Lab di SDA Bocconi ha realizzato nel 2014 un’indagine volta a misurare il grado di adozione del diversity management da parte delle imprese italiane con più di 250 addetti (Basaglia et al. 2015b). In base a questa indagine, il tasso di adozione del diversity management è pari al 20,7% (46% se si considerano le imprese con più di 1.000 addetti), un dato più basso rispetto a quello rilevato in altri contesti europei e/o nordamericani. Inoltre, la sfera di azione del diversity management è limitata in termini di categorie sociali considerate. Molto spesso, infatti, non è che un women management di stampo tradizionalista. Solo il 10% di quel 20,7% di imprese adottanti ha affrontato direttamente il tema dell’orientamento sessuale.

Il dato è basso non solo rispetto al confronto internazionale, ma anche a un confronto che dovrebbe prendere in considerazione il livello del contesto italiano. Le imprese italiane dovrebbero mettere molta più energia su questo fronte poiché si trovano a operare in un contesto socialmente ambiguo e legalmente arretrato.

Un altro dato che mette in evidenza la difficoltà che le imprese hanno nel relazionarsi con l’omosessualità riguarda le percezioni sulla presenza di omosessuali tra la propria forza lavoro. I responsabili HR che hanno partecipato all’indagine hanno dichiarato una percentuale che va dall’1% (non adottanti) al 2% (adottanti). Secondo i dati Istat (2012), gli omosessuali e i bisessuali in Italia sono compresi tra il 2,4% della popolazione residente (percentuale di chi si è dichiarato/autodefinito) e il 6,7% della popolazione residente (percentuale che considera oltre all’autodefinizione anche dimensioni quali l’attrazione sessuale, l’innamoramento ecc.). Questo gap può essere il sintomo di un certo grado di invisibilità dell’omosessualità nell’organizzazione e/o negli occhi dei responsabili HR. Un’interpretazione supportata anche dai dati FRA: la figura 6 mostra il grado di visibilità o invisibilità dei lavoratori omosessuali sul luogo di lavoro e nell’ambito delle proprie relazioni di lavoro, ossia se hanno fatto coming out con i colleghi, con il proprio capo e con i clienti. I paesi con il grado di visibilità maggiore sono Paesi Bassi, Danimarca e Regno Unito. L’Italia è in 16a posizione su 28 paesi.

Figura 6 – Grado di invisibilità dei lavoratori LGBT per paese nei luoghi di lavoro, con i colleghi, il capo, i clienti in ordine decrescente in base alla visibilità

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Il ranking si basa sulla media della percentuale di omosessuali invisibili con i colleghi, con il capo e con i clienti e, quindi, nell’insieme delle relazioni di lavoro

Fonte: FRA 2012

I dati sul contesto organizzativo e sull’adozione del diversity management delineano una situazione in cui l’omosessualità rappresenta un’identità stigmatizzata e nei confronti della quale le imprese non hanno ancora avviato un insieme coerente di politiche atte a depotenziare e/o annullare lo stigma. A questo punto la persona omosessuale del nostro esempio iniziale, mettendo insieme i pezzi del puzzle contesto sociale (luci e ombre), contesto legale (arretrato), contesto organizzativo (stigmatizzante) e grado di adozione del diversity management (basso), dovrebbe seriamente valutare l’opzione di indirizzare la propria attenzione verso sistemi socio-economici più avanzati e più coerenti rispetto alle richieste di una società che è nei fatti post-industriale.

Un modello generale di sintesi

Basandosi sui modelli proposti da Clair et al. (2005) e Ragins (2008), proponiamo che l’analisi congiunta del contesto macro (sociale e legale) e di quello micro (contesto organizzativo e adozione del diversity management) rappresenti l’arco di volta per comprendere i driver del clima organizzativo relativo all’omosessualità nelle organizzazioni. Recentemente, infatti, si è consolidata la tendenza a sviluppare specifiche tipologie di clima organizzativo. Una di queste è il clima per la diversità (Basaglia e Paolino 2015).

Il clima per la diversità può essere declinato in vari modi, ossia si può mettere in evidenza quanto il clima organizzativo sia negativo per gli omosessuali oppure quanto sia positivo (Ragins e Cornwell 2001; Williams et al. 2009). In base a questa tassonomia, possiamo, quindi, identificare un clima per la diversità ostile e uno gay-friendly. Queste due tipologie, però, non saturano ciò che può accadere concretamente nelle imprese. Infatti, da una parte un clima organizzativo ostile può diventare repressivo se l’organizzazione opera in un contesto sociale e legale repressivo come quello che caratterizza i paesi in cui i comportamenti omosessuali sono vietati e/o puniti con la pena di morte e/o quei contesti in cui i diritti civili di base sono vietati. Dall’altra parte, la letteratura sta sempre più concentrando l’attenzione sul passaggio tra l’accettazione della diversità e la realizzazione dell’inclusione (Nishii 2013; Oswick e Noon 2014). Questo passaggio ha, da una parte, un contenuto retorico, dall’altro, però tenta di superare alcuni dei limiti del diversity management. Per esempio, studi recenti (Williams et al. 2009; Benozzo et al. 2015) hanno messo in luce come le imprese gay-friendly in realtà accettino una versione “normalizzata” dell’omosessualità. L’omosessuale deve essere rispettabile, maschile se uomo, femminile se donna, tendenzialmente in una relazione stabile. Deve inoltre separare il piano professionale da quello sessuale/affettivo.

Deve essere cioè neutrale, imparziale e non lasciare trasparire emozioni. L’accettazione, pertanto, riguarda non tutte le possibili identità omosessuali, ma solo quell’identità omosessuale che in qualche modo si “conforma” al modello eteronormativo del blocco dominante e alle attese della maggioranza eterosessuale. Nelle organizzazioni c’è la presunzione che il luogo di lavoro sia uno spazio desessualizzato. In realtà, si tratta di uno spazio in cui la condotta professionale accettata e valutata positivamente è disegnata sul modello eterosessuale (modello eteronormativo).

La manifestazione di “valori” eterosessuali (es. assumere atteggiamenti “virili” o “femminili” da parte, rispettivamente, di uomini e donne) non è percepita come relativa alla sessualità e come violazione dello spazio pubblico del luogo di lavoro. L’impresa veramente inclusiva è quella che accetta non solo l’omosessualità “rispettabile” ma tutte le sue possibili forme. L’obiettivo dell’inclusività non è solo quello di valorizzare le differenze, ma far sussumere le differenze all’interno dell’organizzazione in maniera che l’unicità degli individui divenga una caratteristica dell’organizzazione nel suo complesso e, quindi, tutti i lavoratori si sentano parte dell’organizzazione (Shore et al. 2011; Oswick e Noon 2014). Pertanto, così come al clima ostile si aggiunge il clima repressivo, al clima gay-friendly si aggiunge un clima inclusivo.

La figura 7 mostra un modello generale di sintesi che riprende gli aspetti considerati: bilancia gli effetti dell’ambiente organizzativo (contesto sociale e legale) e dell’organizzazione (contesto organizzativo e diversity management) sul clima relativo all’omosessualità nei luoghi di lavoro.

La dialettica tra le forze in campo può portare all’identificazione di cinque tipologie differenti di clima: clima repressivo, clima ostile, clima ambiguo, clima gay-friendly, clima inclusivo. L’Italia e le imprese italiane devono decidere da che parte stare: dalla parte del polo repressivo/ostile o dalla parte del polo gay-friendly/inclusivo. Per ora si sta a metà del guado e per gli omosessuali la primavera tarda ad arrivare.

Figura 7 Un modello generale di sintesi

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Bibliografia

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Basaglia S., Paolino C., Simonella Z. (2014), “Diversità e discriminazione nelle aziende in Italia: i risultati dell’indagine 2013”, Economia & Management, n. 2, pp. 30-38.

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Williams C.L., Giuffre P.A., Dellinger K. (2009), “The gay-friendly closet”, Sexuality Research & Social Policy, vol. 6, n. 1, pp. 29-45.

1

L’articolo si focalizza sull’orientamento sessuale e sul confronto binario omosessuali ed eterosessuali.

2

Per maggiori informazioni sulla metodologia dell’indagine si veda: www.pewglobal.org/2014/04/15/global-morality/table/homosexuality.

3

Per maggiori informazioni: www.demos.it/a01147.php?ref=HREC1-9.

4

Per maggiori informazioni: www.sonfaggielettorali.it.

5

I dati della FRA considerano sia l’orientamento sessuale (lesbiche, gay e bisessuali) sia l’identità di genere (transessuali).

6

ILGA Europe è il braccio europeo della International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (www.ilga-europe.org/who-we-are/what-ilga-europe).

7

Arcigay è un’associazione italiana attiva nel campo dei diritti delle persone LGBT in Italia. Fa parte del network dell’Arci, di ILGA Europe e dell’Epoa (The European Pride Organisers Association).

8

Arcigay, il 18 maggio 1987, presenta una proposta di legge per il riconoscimento legale delle convivenze di fatto (Arcigay, archivio storico).

9

Fonte: Wikipink.

10

Per una analisi del disegno di legge si veda www.retelenford.it/871-che-cosa-si-perde-con-le-unioni-civili.html.