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2015/4

Gianni Canova Severino Salvemini

È arrivata mia figlia. Il paradosso della governante

Un film di produzione brasiliana mette in scena la storia di una donna che accetta di conformarsi alle norme e alle regole sociali e di una figlia che invece queste norme le rifiuta. Diretto dalla regista Anna Muylaert, E’ arrivata mia figlia è un piccolo apologo, arguto e sorridente, sul conformismo come base del funzionamento delle organizzazioni.

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È arrivata mia figlia

Regia: Anna Muylaert

Interpreti: Regina Casé e Camila Màrdila

Brasile, 2015

 

Qui si può, lì no. Questo è ammesso, quello è proibito. Da lì si passa, di qua no. È tutta tramata da una fitta rete di regole e di divieti la vita nella grande casa di Sao Paulo, in Brasile, dove presta servizio come governante la signora Val. Molti anni prima, per cercare di uscire dalla miseria, la donna aveva affidato la sua unica figlia Jessica alle cure di alcuni parenti nel Nord del Brasile e si era trasferita in città. Da allora, grazie alla sua precisione e meticolosità, lavora a tempo pieno presso una famiglia facoltosa che basa la propria esistenza quotidiana su un rigido protocollo fatto di norme e proibizioni. Sarà forse un lascito degli anni del colonialismo, ma non c’è nulla in quella casa che non sia normato e regolamentato: chi può entrare in salotto, chi è autorizzato ad aprire il frigorifero, chi può e chi non può fare il bagno in piscina, chi può e chi non può abbracciare i bambini, a chi è consentito e a chi no sedere a tavola con i signori, e così via. Val le regole le conosce bene, e le rispetta. Non solo: fa tutto quello che può perché vengano rispettate anche dagli altri abitanti della casa. Le ha fatte proprie come se fossero non una convenzione ma un fatto assolutamente naturale. Vestita con la sua uniforme inamidata, Val è la custode del protocollo e la vigilante dell’ordine. Tutto dev’essere impeccabile, perfetto, indiscutibile. Senza ritardi e senza imprecisioni.

Ma un giorno, all’improvviso, il sistema vacilla. E a farlo scricchiolare è l’arrivo inatteso di Jessica, la figlia che Val non vedeva da oltre 13 anni. Venuta a Sao Paulo per sostenere il test di ingresso all’università, la ragazza pensa bene di far visita alla madre. Ma il suo arrivo nella grande casa ha l’effetto di un terremoto: perché quanto la madre è rispettosa e perfino ossequiosa nei confronti delle norme e delle leggi non scritte che presiedono al funzionamento della vita quotidiana, tanto la figlia è insofferente di tutti i protocolli e i rituali. Jessica finisce con il valicare alcune linee di demarcazione, con l’occupare degli spazi che non le spetterebbero. E l’attrito scoppia inevitabile.

Diretto dalla regista brasiliana Anna Muylaert, è arrivata mia figlia è uno di quei film che attraverso una piccola storia esemplare illuminano mondi e realtà ben più ampi e complessi. In particolare, il rapporto che lega Val ai suoi datori di lavoro e il modo con cui essi reagiscono alle “infrazioni” di Jessica offrono più di uno spunto interessante per riflettere sul valore della norma (e sui rischi connessi all’infrazione delle norme) nel funzionamento delle organizzazioni.

 

S.S. Le norme sono uno strumento di primaria importanza nel funzionamento di un gruppo. Servono, se non altro, a garantire il controllo e la prevedibilità dei comportamenti dei membri che ne fanno parte. Spesso non sono scritte (non fanno parte di uno “statuto”, non derivano da un regolamento formale), ma si stratificano nel tempo come prassi sociali, indicando cosa è lecito fare e cosa è tabù: ci si aspetta che in una riunione tutti arrivino in orario, che si rispetti la gerarchia, che ci si vesta in modo formale, e così via. Alcuni comportamenti sono diventati col tempo così “normati” da risultare “normali”: spesso non vengono nemmeno notati perché tacitamente e consensualmente accettati.

 

G.C. Bisogna aggiungere però che le norme sono anche espressione di diritti e di doveri maturati nella società, e che riflettono ciò che viene ritenuto giusto, valido o utile. Spesso, sono lo specchio dei rapporti di forza sociali. E non tutti sono tenuti a rispettarle allo stesso modo. Arrivare in ritardo a una riunione, per esempio, è un’infrazione più grave se a commetterla è l’ultimo arrivato in azienda…

 

S.S. Ma anche il ritardo dell’amministratore delegato non è cosa trascurabile. Magari è un ritardo che non viene sanzionato, tuttavia dà il cattivo esempio, è poco motivante, genera insoddisfazione e malumore tra i membri del team. Anche se va ricordato che in un’azienda il leader vive sempre in una situazione paradossale: deve incarnare la tradizione e l’identità della sua collettività, ma nel frattempo deve destabilizzare le norme, inserendovi elementi critici e prospettici verso il futuro. È il cosiddetto “paradosso del leader”…

 

G.C. Nel film di cui ci occupiamo oggi però siamo piuttosto di fronte a quello che potremmo definire il paradosso della governante: le norme non scritte della casa in cui lavora sono totalmente discriminanti nei suoi confronti, e tuttavia lei le accetta senza batter ciglio. È succube di regole che la escludono, e tuttavia sa che il suo ruolo le impone di accettarle. Le avverte – appunto – come “normali”. Non ci fa caso. Lei sa che è buona norma che il personale di servizio non utilizzi le stanze dei datori di lavoro, che mangi e dorma negli spazi dedicati alla servitù, che non sfrutti i privilegi dei titolari della casa. Sono tutte norme “artificiali”, sono frutto di convenzioni. E tuttavia Val le accetta come naturali, si conforma ad esse senza nemmeno pensare che sia possibile metterle in discussione.

 

S.S. Hai detto bene: si conforma. L’aderenza alle norme produce il conformismo, mentre la rottura delle norme produce la devianza sociale. Siamo soliti attribuire al conformismo un’accezione prevalentemente negativa, ma un’organizzazione è quasi inevitabilmente basata sul conformismo, altrimenti i comportamenti dei suoi membri non sarebbero prevedibili. Val, la governante del film, è oggettivamente conformista. Meglio: si è conformata alle consuetudini e alle regole sociali che governano i rapporti affettivi e di gruppo di una famiglia di alto ceto nel Brasile di oggi. Ma lo studio delle organizzazioni ci insegna che di totale conformismo si muore, perché non ci sarebbero stimoli per dare discontinuità e quindi rottura dei paradigmi. La rottura del conformismo, nella storia narrata dal film, si verifica con l’arrivo della figlia Jessica.

 

G.C. Certo. Malgrado le sue umili origini, Jessica ha un carattere forte ed è insofferente di fronte alle differenze di rango accettate dalla madre. Risoluta e sicura di sé, spezza il tacito conformismo che regola la casa, costringendo la madre a scegliere tra la lealtà ai datori di lavoro e l’amore per la figlia. Jessica infatti vuole usare gli spazi e le relazioni che per tradizione sono vietati alla servitù e finisce con l’introdurre in questo modo la rottura della norma.

 

S.S. La rottura della norma a opera della servitù è un classico della narrativa e della drammaturgia. Penso anche solo al rapporto tra un “servitore” e il suo “padrone” in Goldoni con il personaggio di Arlecchino, o a Molière. Al cinema mi viene in mente Gosford Park di Altman, con i rituali sociali dei nobili che si svolgono al piano superiore, mentre la servitù è relegata al piano inferiore, finché – anche qui – qualcuno non infrange la norme e non fonda un nuovo ordine con regole e norme almeno apparentemente nuove.

 

G.C. Hai detto bene: apparentemente. Quanto l’infrazione della norma genera davvero un nuovo ordine? Tornando al film, le infrazioni di Jessica sono circoscrivibili nel perimetro di una “devianza” individuale o sono fondative di un nuovo ordine? Perché qui sta il cuore del problema: porsi in contrasto con le norme vuol dire quasi sempre staccarsi dal resto del gruppo. Ma per andare dove? Verso un destino di emarginazione individuale o verso un ruolo da leader innovatore e riformatore? Il problema di Val, la protagonista del film, è tutto qui: se esce dal paradosso della governante, se cessa di essere succube, qual è il destino che la aspetta?