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2013/5

Gianni Canova Severino Salvemini

Tutti pazzi per Rose. La segretaria, il coach e il brivido della dattilografia

Attraverso l’epopea di una segretaria anni cinquanta che si rivela la più veloce al mondo nel battere i tasti della sua macchina da scrivere, il regista francese Régis Roinsard disegna con Tutti pazzi per Rose una sorridente metafora di alcuni dei valori fondanti del capitalismo. Ma ci regala anche una fiaba color pastello intrisa di ottimismo e di fiducia nel merito e nel talento.

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Tutti pazzi per Rose

Regia: Régis Roinsard

Interpreti: Romain Duris, Déborah François, Bérénice Bejo

Francia, 2013

Quando si dice vintage. In un tripudio di gonnelline a ruota e di capelli impomatati, di completini rosa e di acconciature alla Doris Day, Tutti pazzi per Rose allestisce una sorta di delizioso bazar degli anni cinquanta: un tuffo nostalgico – ma non ideologico – dentro i colori, gli arredi, gli abiti, le musiche e i sogni dell’ultima “età dell’innocenza” nella storia europea. Siamo negli anni in cui la prospettiva di lavorare come segretaria e dattilografa era un sogno per le ragazze di provincia in cerca di forme socialmente accettabili di emancipazione personale. Ma erano anche gli anni dell’ottimismo e della crescita, della fiducia e dell’energia, del merito e della competizione. Parla di tutto questo il film del regista francese Régis Roinsard: e lo fa attraverso la storia esemplare di Rose Pamphyle, fanciulla in fiore che vive in una piccola città della bassa Normandia e sfugge al suo destino di casalinga docile e devota (e al matrimonio già organizzato con il figlio del meccanico…) riuscendo a farsi assumere come segretaria presso un’agenzia di assicurazioni. Sfruttando il suo talento fuori del comune nel battere a velocità strepitosa i tasti della macchina da scrivere, diventerà una delle dattilografe più veloci del mondo e riuscirà a vincere prima i campionati regionali e poi anche quelli nazionali di vitesse (velocità) nella dattilografia. Giudicata dalla critica francese come un’antesignana di Amélie Poulain (la protagonista di Il favoloso mondo di Amélie), con cui condivide la goffaggine ma anche la tenacia, Rose diventa per certi versi la metafora vivente di alcuni valori fondanti della fase espansiva del capitalismo. Ne discutono, come al solito, Severino Salvemini e Gianni Canova.

S.S. Rose ha il mito della donna moderna. E in quegli anni la donna “moderna” non si trova in provincia in campagna, si trova in città. È che si salgono i gradini della scala sociale, ed è che decide di andare Rose, sfuggendo a un destino che la voleva impiegata tutt’al più come inserviente nel negozio del padre. Negli anni cinquanta quello della segretaria è un ruolo che attrae. Lo si vede nella prima scena, quando nella sala d’attesa dell’ufficio di un’agenzia di assicurazione si svolgono i colloqui di selezione per la scelta, appunto, di una nuova segretaria. Le aspiranti fremono dal desiderio di essere scelte. Discutono i requisiti richiesti (apparenza e affidabilità), intervengono sul look più opportuno (“Vanno bene gli occhiali, anche se con lenti finte…”). E in chi fa i colloqui di selezione non c’è ancora la sensibilità circa la political correctness: “L’hai assunta per le sue qualità professionali o per altro?”, domanda l’amico al capo dell’ufficio.

G.C. Rispetto a un film italiano sempre ambientato negli anni cinquanta come Roma ore 11 (1952) di Giuseppe De Sanctis, dove una folla di ragazze si accalca pericolosamente sulle scale d’accesso allo studio di un ragioniere intenzionato ad assumere una dattilografa, il clima è decisamente mutato. Nel film italiano si respira ancora l’atmosfera postbellica, è un’Italia esasperata dalla disoccupazione, dalla necessità di uscire in fretta dalla miseria. Gli anni cinquanta rievocati da Roinsard sono molto diversi: il lavoro non è più solo una necessità o una condanna, è una scelta e un’opportunità. E si respira l’incipiente società dei consumi per i ragazzi nati negli anni della guerra…

S.S. Rose, non c’è dubbio, è una ragazza di quella generazione. Ma la cosa interessante da notare è che la sua corsa verso il successo non avviene in solitaria, ma grazie al suo capo Louis. È lui che le insegna il metodo: per esempio, i colori disposti sui tasti della macchina da scrivere cui corrispondono i colori delle unghie delle dita. Il capo è di fatto il suo coach: “Devi rimanere concentrata, qualsiasi cosa accada intorno”. E ancora: “Tieni la schiena dritta e la giusta postura”. È il capo che stimola la motivazione, il goal setting: “Devi diventare la migliore dattilografa del mondo!”. È lui che esalta la competizione e la rivalità (“Distruggila, zuccherino!”), e che fa leva sulla motivazione all’achievement di Rose.

G.C. Oltre a Rose e al suo capo, il film di Roinsard ha però anche una terza protagonista che è, di fatto, la macchina da scrivere. Il titolo del film nell’edizione originale francese è, non a caso, La Populaire, che è la marca della macchina da scrivere con cui Rose arriva al successo e di cui diventa testimonial. La sua avventura, iniziata contemplando la macchina da scrivere Triumph troneggiante nella vetrina del negozio del padre, si compie promuovendo lo stesso oggetto ma di una marca diversa. Sta iniziando l’epoca del brand. E il marketing della Populaire capisce che l’efficienza della macchina ha bisogno, per manifestarsi appieno, del talento e della competitività umana…

S.S. In effetti, le competizioni di velocità per dattilografe sono una forma molto suggestiva di proto-marketing. Tutte le signorine, sedute dietro decine di banchi di formica, con l’abito delle grandi occasioni, fresche di parrucchiere, non si preparano solo a una competizione sportiva. Mettono in scena una visione del mondo: quella per cui chi si è meglio allenato, chi ha più affinato il proprio talento, chi ha fatto sacrifici e investimenti su se stesso, alla fine è colui che si afferma e che viene meglio gratificato dalla società.

G.C. Quelle delle gare sono le scene più indimenticabili del film. Le ragazze sono testa a testa, e ingaggiano una sorta di braccio di ferro mediato dalle macchine da scrivere. Belle le inquadrature che visualizzano le pressioni mentali e le strategie di destabilizzazione delle avversarie attraverso lo sguardo. E bella anche la strategia di citazioni: così come per imparare la velocità Rose deve ribattere a macchina, e sempre più velocemente, tutti i capolavori della letteratura francese, da Madame Bovary in là, in modo analogo Roinsard ci dice che per esercitare il proprio talento filmico deve provare a rifare certi classici della storia del cinema: la scena in cui Rose esce dal bagno, trasformata da brutto anatroccolo in donna fatale vestita di rosso, ricorda palesemente un’analoga scena di Vertigo di Alfred Hitchcock, mentre altre scene del film ricordano il colorismo di Jean-Luc Godard in Pierrot le fou

S.S. Sarà, ma questa è solo poesia. La sostanza è un’altra. Mentre Louis corteggia Rose, l’amico americano pensa al business e inventa i caratteri su una testina rotante (che sarà poi l’innovazione della macchina da scrivere IBM negli anni settanta). Come dice con un pizzico di autoironia l’ultima battuta del film: “L’America per gli affari, la Francia per l’amore”.