E&M

2013/3

Si può anche perdere, ma non contro la Corea. Successe invece nel Campionato del Mondo in Inghilterra, nel 1966.

Fu immediata la decisione di bloccare l’acquisizione di giocatori stranieri. Il più deluso di tutti fu Italo Allodi, il grande manager dell’Inter, abilissimo nel costruire le sue squadre giocando d’anticipo. I contratti già firmati, a valere dal settembre 1966, con due grandi fuoriclasse dell’epoca, Bobby Charlton e Eusebio, svanirono nel nulla. L’informazione l’ho avuta direttamente dai due interessati. Italo Allodi non me ne ha mai parlato, anche perché era un tipo che pensava sempre e solo alle mosse successive.

Sapeva scegliere come nessuno. Appena arrivato alla Juventus comunicò a Boniperti che, l’anno dopo, il portiere della Juventus sarebbe stato Dino Zoff. Di fronte a un parere negativo, Italo lo convinse con due argomenti. Primo: Zoff è il migliore portiere d’Italia. Secondo: l’ho già acquistato.

L’avevo incontrato per la prima volta una mattina del 1979, quando era direttore del Centro Tecnico di Coverciano. Per tre ore parlammo di un supercorso per manager sportivi, un’idea cara a Claudio Dematté. Italo mi ascoltava con attenzione e replicava con competenza alle mie proposte, come se fosse un addetto ai lavori. Dopo tre ore di discussioni mi invi a prendere un caffè al bar. Credevo che fosse un modo elegante per congedarmi. Invece mi disse: “Ho una bella notizia per lei. Questo corso lo faremo”. Ho imparato che, come in algebra, anche nelle trattative due messaggi negativi diventano, con pazienza, un consenso.

Nasceva tra me e Italo una grandissima amicizia che durerà tutta una vita. L’ho visitato nella sua casa un mese prima che morisse. Parlava solo dell’Inter, il suo capolavoro. Mi illustrava i cimeli che ornavano ogni parete. I lampi dei suoi occhi erano quelli di sempre. Quando l’Inter fu venduta a Ivanoe Fraizzoli, Allodi rimase senza lavoro. Angelo Moratti, ogni mese, gli faceva recapitare ugualmente lo stipendio sino al giorno in cui Italo glielo restituì perché era passato alla Juventus.

Durante il Corso, affidato poi all’Università di Siena, ogni tanto mi chiamava al telefono verso le cinque del mattino. Mi diceva: “Oggi, al Master, spiegano questo argomento. Me lo vuoi illustrare?”. E, in un’ora, al telefono, gli tenevo una lezione secondo i sacri crismi bocconiani. Durante il pranzo si aggirava tra i partecipanti. “Siete ancora all’attivo e al passivo dello stato patrimoniale? Non vi hanno ancora insegnato che è meglio parlare di fonti e impieghi?” Si consolidava anche così il mito di Allodi. I superficiali lo credevano arrogante. Aveva invece il pregio di selezionare, in ogni campo, ciò che meglio gli serviva.

Figlio di un capotreno, cominciò a giocare in squadre minori, dove un giocatore veniva ceduto in cambio di tre palloni e di una muta di maglie. Aveva un punto debole: correva poco. Si rifece nella vita, dando prova di decisioni rapidissime. Aveva un gusto innato di stupire e di conquistare. Sanno di invidia le malizie con cui hanno cercato di scalfire la sua bravura. Come i suoi campioni, anche Allodi piazzava tutte le sue mosse in rete. A fil di palo.