E&M

2001/1

Claudio Dematté

Le turbolenze dei mercati azionari e la gestione di impresa

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La maggioranza delle nostre imprese - notoriamente di piccola dimensione e spesso anche sottocapitalizzate – è vissuta e si è sviluppata (qualcuna è anche morta) senza avere sofferto il problema dell’altalena dei propri valori azionari e delle attese eccessive o frustrate dei propri azionisti. Piuttosto, ha subito i rischi e le ansie delle variazioni dei tassi di interesse e dell’inversione dell’ effetto “leva finanziaria”, quando il costo del denaro andava oltre il tasso di rendimento sul capitale investito.

Negli ultimi anni un numero crescente di imprese sono state costrette a fare ricorso al mercato azionario per ragioni che ho spiegato diverse volte. E altre lo dovranno fare quanto prima. Le imprese della nuova economia quasi per definizione devono accedere al mercato azionario, tenuto conto che le risorse di cui hanno bisogno sono esposte a livelli di rischio non compatibili con il ricorso al credito e devono necessariamente provenire inizialmente dal venture capital, in seguito dal mercato del private equity e poi dai mercati azionari ufficiali.

Dal momento in cui le imprese si aprono al capitale di rischio esterno al nucleo di controllo. si trovano di fronte a un problema del tutto nuovo: quello di dovere registrare giorno dopo giorno gli umori del mercato e dei propri azionisti; un problema, questo, conosciuto ma spesso trascurato, che richiede un insieme di regole di comportamento, di sistemi di gestione e di attenzioni nella comunicazione che in taluni casi viene presidiato dalla funzione di investor relations. A dire il vero, il problema del rapporto con gli azionisti si presenta già nelle imprese familiari, quando queste sono controllate da più di una famiglia o quando, con il passare delle generazioni, cresce il numero dei familiari, si allenta il vincolo di parentela, si differenziano le posizioni dei membri della famiglia fra quelli che coprono posizioni di comando e quelli che occupano posizioni subordinate o quelli che sono addirittura esterni all’impresa. Ma i problemi che sorgono in questi contesti sono solo avvisaglie di quelli che si registrano quando l’impresa si trova ad avere azionisti professionali (come i venture capitalists o gli investitori istituzionali) e quando l’impresa è quotata ed esposta ogni giorno alla variazione dei propri corsi azionari.

Il problema in questione si amplifica quando i mercati finanziari entrano in fasi di forte turbolenza e i valori azionari percorrono strade non necessariamente correlate all’andamento reale dell’impresa. Negli ultimi due anni queste condizioni si sono presentate sia come rialzi dei corsi oltre ogni limite di ragionevolezza economica, sia come ribassi improvvisi e spesso in modo del tutto indipendente dai risultati di gestione. Per le imprese della nuova economia le oscillazioni hanno assunto i toni di una violenta altalena che ha messo a soqquadro molti canoni di gestione. Quando il mercato azionario assume andamenti siffatti e i corsi azionari oscillano bruscamente a ogni stormire di fronde, anche in assenza di vere ragioni economiche, la gestione di impresa si complica, almeno sotto quattro punti di vista:

1.     diventa difficile individuare l’orizzonte temporale sul quale traguardare gli obiettivi di impresa;

2.     la pianificazione della raccolta di nuovo capitale di rischio diventa quanto mai aleatoria, con rischi, di riflesso, sulla gestione industriale;

3.     diventa difficile ancorare la gestione ai concetti della shareholder value e ancora di più garantire agli azionisti un’adeguata remunerazione nel tempo attraverso la gestione;

4.     i piani di incentivazione diventano instabili e di difficile governo.

 

Prima di analizzare ciascuno dei quattro punti occorre riflettere sul dato di base che è la causa del tutto – ossia, l’andamento “isterico” dei corsi azionari – per individuarne le ragioni, siano esse razionali o meno, e per accertarne le prime dirette conseguenze. Fra queste c’è il brusco e imprevedibile cambiamento fra accessibilità e non accessibilità al mercato azionario da parte delle imprese che sono alla ricerca di capitali di rischio.

 

Per il resto dell’articolo si veda il pdf allegato.