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1999/5

Metafore della strategia in Entrapment di Jon Amiel

Entrapment

Regia: Jon Amiel

Interpreti: Sean Connery e Catherine Zeta-Jones

USA, 1999

Capita spesso, ai tecnici del management e della finanza, di dover operare “a occhi chiusi”. Cioè senza poter cogliere con un colpo d’occhio panoramico o prospettico l’insieme del territorio – reale o virtuale – che stanno attraversando. E senza poter valutare, se non al termine dell’operazione, l’effetto dei propri movimenti e delle proprie decisioni. Che fare in casi come questi? Che strategia adottare? Una possibile risposta viene da una sequenza magistrale del film Entrapment di Jon Amiel, interpretato da Sean Connery e da Catherine Zeta-Jones.

Lui è un voleur gentilhomme specializzato in furti di opere d’arte, lei è l’agente in incognito di una compagnia di assicurazioni incaricata di metterlo in trappola, ma è anche affascinata dall’eleganza dei suoi modi e dalla raffinatezza del suo stile. Senza sapere bene se fidarsi l’uno dell’altro e con il sospetto reciproco di star facendo entrambi il doppio gioco, i due decidono di tentare assieme il “colpo grosso” e di mettere le mani su una preziosissima maschera antica esposta in un museo e protetta da una fitta rete di raggi laser che attraversano, intersecandosi, tutta la sala d’esposizione. Come passare in mezzo a quell’intrico senza far scattare l’allarme? I due agiscono così: si procurano i disegni e i progetti del sistema d’allarme e ne riproducono un modello a casa loro. Tendono decine e decine di fili di lana rossa, li fissano a diversa altezza a piantane di legno e vi appendono dei campanellini. Quindi comincia il training: rigorosamente bendata. Catherine Zeta-Jones prova a passare in mezzo ai fili senza neppure sfiorarli. Addestra il suo corpo a compiere gesti e movimenti di precisione millimetrica senza mai usare gli occhi per orientarsi e per valutare le distanze. Deve abituarsi ad agire al buio. Deve coordinare il suo corpo e sottoporlo a una rigorosa disciplina. Deve memorizzare gli spostamenti anche millimetrici che le consentono di avanzare in quello spazio labirintico impiegando non più di un certo tempo e senza far suonare campanelli. Quasi una coreografia. O un esercizio zen. Che implica prima una simulazione “territoriale” (la ricostruzione dell’ambiente), poi un addestramento prossemicogestuale che deve depositarsi nitido nella memoria per essere ripetuto al momento opportuno. Nessuna improvvisazione. Nessuna fiducia nel proprio intuito. Ci sono tempi e luoghi in cui anche intuito e improvvisazione possono essere utili (ad esempio nei giochi di ruolo che i due personaggi intrecciano all’inizio del film per disorientarsi reciprocamente). Ma al momento di affrontare l’obiettivo vero (quello che è bene non rivelare mai agli altri) sono indispensabili sia una perfetta conoscenza delle coordinate spazio-temporali del terreno d’azione. sia una freddezza che eviti il rischio di gesti azzardati. La flessibilità (dei ruoli) si accompagna all’esattezza (dei comportamenti). Alla precisione delle previsioni. Al rigore dei gesti. Solo a queste condizioni si può pensare di poter agire a occhi chiusi. senza strumenti di verifica in progress della propria azione. Con questa tattica. i due protagonisti di Entrapment conseguono il loro obiettivo. E la creatività non è mai l’effusione sregolata e intuitiva del proprio talento, ma la capacità di saper fare sempre previsioni accurate. Anche a occhi bendati.