E&M

1997/6

Gianni Canova

Il verme nello spot. Da un film ferocemente provocatorio qualche spunto di riflessione sullo stato della pubblicità

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Consigli per gli acquisti

Regia: Sandro Baldoni

Int.: Ennio Fantastichini, Ivano Marescotti, Carlo Croccolo

Italia, 1997

Avidi, cinici, spregiudicati. Disposti a tutto pur di conquistare nuove “quote” di mercato. E insensibili ad ogni considerazione etica sul senso e sul fine del proprio lavoro. I pubblicitari, nel cinema italiano, appaiono per lo più così: bersagli di un dileggio che va dalla reprimenda moralistica alla fustigazione condotta – nel migliore dei casi – a colpi sferzanti di humour grottesco. Vecchia storia, antica acrimonia: benché la pubblicità – fin dai tempi di Carosello – abbia spesso sostenuto e finanziato gli uomini di cinema, lo spot non ha mai goduto tra loro di buona fama. Tanto che perfino Fellini, più o meno nello stesso periodo in cui realizzava uno degli spot più “firmati” nella storia della pubblicità italiana, si ripuliva l’anima (e la cattiva coscienza) inserendo in Ginger e Fred (1986) un beffardo sberleffo antologico dedicato al gusto “trash” che allignava – erano gli anni Ottanta edonisti e opulenti – tra gli spot più pacchiani della cosiddetta Tv-spazzatura. Non molto diverso era stato qualche anno prima l’atteggiamento di un cineasta più giovane come Maurizio Nichetti, che in Ho fatto splash! (1980) rappresentava il mondo aurorale dei pubblicitari italiani con uno sguardo candido e naïf, attento a svelare i modi di produzione e i meccanismi comunicativi del linguaggio pubblicitario. Insomma: mentre il cinema hollywoodiano ha sempre raccontato l’universo della pubblicità con un occhio ironico e divertito, ma anche fondato sull’oggettiva comprensione dei meccanismi linguistici e produttivi che stanno alla base del lavoro pubblicitario (si veda anche solo un film come Un volto nella folla, 1957, di Elia Kazan), il cinema italiano ha sempre oscillato fra la rimozione snobistica e la condanna pregiudiziale, spesso rinunciando a priori – in tal modo – a capire davvero la complessità e il peso sociale dei fenomeni e dei linguaggi così frettolosamente liquidati.

L’uscita sugli schermi di un film come Consigli per gli acquisti di Sandro Baldoni rappresenta in questa prospettiva una novità importante. Perché rompe un tabù, o una “congiura del silenzio”. Perché si svolge tutto all’interno di un’importante (per quanto immaginaria) agenzia di pubblicità. E perché contribuisce a riaprire – sia pure nei toni accesi ed eccessivi scelti dal regista – un possibile terreno di incontro e di scontro fra il linguaggio dell’immaginario (il cinema) e quello della merce (la pubblicità). Copy, account e creativi, per lo più, non vi si sono ritrovati e hanno reagito con toni polemici alla visione del film. Ma questo, se possibile, è un elemento che rende il lavoro di Baldoni ancor più interessante: non offre un ritratto del mondo pubblicitario così come questo crede di essere (o come vorrebbe apparire), bensì come di fatto appare a una certa fetta dell’opinione pubblica. Che cosa racconta Consigli per gli acquisti? Racconta di un’importante agenzia incaricata di organizzare un imponente campagna per il lancio di una nuova marca di cibo per cani. Lavoro di routine? Non proprio. La partita di carne che dovrebbe fornire la materia prima per il nuovo prodotto è avariata e pullula di vermi. Che fare? Nascondere il fatto ai consumatori? Ingannarli? Scegliere la strada dell’omissione? Oppure accettare la sfida, e provare a convincere i consumatori che quei vermetti biancastri sono l’alimento ideale e innovativo per il cagnolino di casa? Come già nel suo film d’esordio Strane storie, Sandro Baldoni sceglie la cifra dell’iperbole venata di guizzi surreali per mettere a fuoco in chiave paradossale i termini del problema: se la pubblicità ha il compito “istituzionale” di favorire e facilitare la diffusione di un prodotto sul mercato, in fondo il problema della “qualità” del prodotto stesso passa in secondo piano. Quel che conta è saper trasformare in merce (appetitosa) un qualcosa (in questo caso i vermi) che non produce sui potenziali consumatori nessuna forma di appeal. Consigli per gli acquisti descrive per l’appunto questo processo, e accenna alle differenti strategie comunicative con cui i vari personaggi coinvolti pensano di poter raggiungere il risultato prestabilito. Il tono a prima vista può sembrare feroce: creativi, marketing-men, manager, specialisti di indagini di mercato, sponsor, eroi delle televendite, intellettuali da tinello e consulenti esperti nelle discipline più improbabili vengono rappresentati con uno sguardo impietoso che non perdona nulla a nessuno (i tic, le nevrosi, la competitività parossistica, il gergo lezioso e rituale) e che si accende di ardenti furori nel descrivere un mondo in cui ormai tutto è sponsorizzato (perfino le manifestazioni dei disoccupati) e finanche le mamme pensano di battezzare i figli nascituri turi con i nomi delle marche più in voga (“Nike se è maschio, Adidas se è femmina... “). Tanta ferocia può certo irritare. Ma può anche – a uno sguardo più attento e sereno – risultare per certi versi preziosa. Perché svela, a suo modo, non tanto un presunto coté fraudolento del lavoro pubblicitario, quanto piuttosto il rischio della banalità che sempre più evidentemente alligna in certe campagne così come nel sistema di attese del pubblico. Come dire: Baldoni suona un campanello d’allarme di fronte a un mondo che continua a dirsi “creativo” ma che sembra incapace – da qualche tempo a questa parte – di creare alcunché. Mette in guardia dalle tentazioni all’inerzia e alla routine, dalle manie di onnipotenza, dall’illusione che il pubblico – appunto – sia sempre disposto ad accettare tutto. L’esilarante sequenza in cui i creativi, il marketing, i consulenti e il committente, seduti attorno a un tavolo, discutono animatamente su come impostare la campagna è da questo punto di vista rivelatoria: non di una presunta “miseria” della pubblicità, quanto del rischio che essa perda la capacità di comunicare. Che il cinema sia “critico” e feroce di fronte a certe procedure e a certi linguaggi non dovrebbe insomma irritare i professionisti del settore, quanto piuttosto spingerli ad interrogarsi sullo stato delle cose. Meglio un cinema critico e problematico che uno apologetico e insulso. Se non altro perché pone una sfida che obbliga il management pubblicitario a dare una risposta, e a ridefinire in una situazione conflittuale le proprie strategie.

Come ci insegna la storia, è proprio dalla necessità di affrontare conflitto che nascono, quasi sempre, le nuove idee.