E&M

1997/4

Claudio Dematté

L’occupazione possibile: lo spazio d’azione manageriale e imprenditoriale

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Premessa

La responsabilità prima ed assoluta degli imprenditori, dei dirigenti e dei quadri è quella di salvaguardare la sopravvivenza delle aziende loro affidate, promuovendone la prosperità, nel rispetto delle leggi che regolano l’esercizio dell’attività imprenditoriale. Il loro dovere primario non è quello di creare occupazione. Alle volte, anzi, pur di salvare un’impresa, possono essere obbligati a sacrificarla.

Ma, anche se è vero che il loro dovere primario non è quello di creare posti di lavoro, è però certo che dai loro comportamenti dipende, più che da quelli di molti altri, la realizzazione di quel fine sancito nella Costituzione che vuole garantire lavoro a tutti i cittadini. Le aziende, se ben condotte, prosperano ed assumono. Se condotte male, falliscono e perdono posti di lavoro. Se aumentano gli occupati nelle imprese, aumentano anche quelli nell’indotto diretto, nelle arti liberali e nei mille servizi che pullulano là dove c’è sviluppo. Al contrario, se le aziende muoiono, chiudono i fornitori, chiudono gli studi professionali, chiudono i ristoranti, rimangono squallide aree dismesse e polverosi edifici vuoti. Basta visitare le città che hanno visto chiudere le loro imprese più importanti per rendersene conto.

Purtroppo negli ultimi anni gli imprenditori e i dirigenti si sono trovati più spesso di fronte alla convinzione di dover ridurre il personale, anziché alla possibilità di aumentarlo. L’effetto cumulativo di queste singole decisioni – ognuna probabilmente giustificata o perfino necessaria – è stato quello di una forte disoccupazione, in particolare al Sud, fra i giovani e le donne, nelle persone meno qualificate.

Il fatto che quelle scelte fossero, o fossero percepite, come obbligate non significa che non debbano fare riflettere: nessuna persona, nessun imprenditore, nessun dirigente può credere di vivere bene e in pace con la propria coscienza se attorno a lui un numero crescente di padri di famiglia o di giovani in cerca di lavoro rimangono disoccupati. Ma, anche senza scomodare il senso etico, una situazione prolungata di disoccupazione è controproducente sul mero piano economico, perché crea uno stato di degrado, deprime la domanda e blocca lo sviluppo.

Ritenere che spetti solo al governo riflettere su questa piaga e darvi risposte è superficiale e limitativo, anche perché pochi sono in una posizione così influente sulla dinamica occupazionale come gli imprenditori e i dirigenti. Il governo può e deve creare condizioni favorevoli allo sviluppo dell’attività economica, ma sono gli imprenditori, i dirigenti, gli stessi lavoratori con il loro impegno, le loro azioni, la loro capacità di costruire coloro che possono rendere concreti i posti di lavoro.

In Italia e nel mondo vi sono casi esemplari che dimostrano come, anche in ambienti poco favorevoli all’insediamento e allo sviluppo delle attività produttive, imprenditori e manager lungimiranti e coraggiosi abbiano saputo scoprire margini di azione e capovolgere situazioni apparentemente senza speranza.

Proprio perché le condizioni di contesto, anche se pressanti, non riducono a zero lo spazio di azione dei soggetti, merita analizzare le esperienze positive: quelle dove il concorso felice di un’imprenditoria forte, di un management illuminato e di sindacati costruttivi hanno reso possibile, a dispetto di tutto, la creazione di posti di lavoro veri. Da queste esperienze è possibile trarre spunti per comprendere quali valori, quali comportamenti, quali formule organizzative ed anche quali strumenti possono consentire una politica attiva sul fronte del lavoro.

Prima di addentrarci nel tema va però subito fatta una precisazione, a scanso di equivoci. Proprio perché ho definito dovere primo dei dirigenti quello di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo delle aziende – e non quello di creare occupazione, che è semmai l’effetto indotto – deve essere chiaro un punto: a volte per salvare un’impresa non ci sono davvero altre vie che quella di ridurre i posti di lavoro. Quando è così, i dirigenti che hanno il coraggio di prendere questa decisione vanno rispettati, così come si rispetta un chirurgo quando questi, per salvare un paziente, amputa una sua parte. Se questi dirigenti non avessero il coraggio di intervenire l’impresa fallirebbe e perderebbe non solo una parte dei posti di lavoro, ma tutti: anzi ne farebbe perdere molti di più, per l’effetto domino sull’indotto.

Purtroppo nella nostra società e nella nostra cultura, mentre si rispetta il chirurgo che per salvare un paziente gli amputa una parte, non accade altrettanto nei confronti del dirigente che licenzia per salvare un’impresa. Cambiare questo sistema di valori è importante. Ma forse questo è possibile proprio in quanto si rafforzano e si diffondono fra i dirigenti anche comportamenti fortemente costruttivi nei confronti della questione lavoro.

Per il resto dell’articolo si veda il pdf allegato.