E&M

2003/6

Andrea Sironi

Chi ha paura di Basilea 2?

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Negli ultimi mesi i media italiani hanno riportato a più riprese interventi di esponenti del mondo politico, industriale e finanziario i quali hanno espresso numerose e vivaci preoccupazioni nei confronti del progetto di revisione del sistema di adeguatezza patrimoniale delle banche ormai noto come Basilea 2. La riforma dei requisiti di capitalizzazione sembra preoccupare le autorità di governo per i suoi potenziali riflessi sulla competitività non solo del sistema bancario ma anche, e soprattutto, di quello industriale, per il quale il timore è particolarmente accentuato rispetto al segmento delle piccole e medie imprese (PMI) che tanta importanza assume nell’ambito del tessuto produttivo del nostro paese.

Nelle ultime settimane il ministro Tremonti si è espressamente dichiarato contrario al progetto di Basilea 2, esprimendo preoccupazione per i potenziali riflessi di tale riforma per il sistema economico italiano. Analoghe preoccupazioni sono state espresse a più riprese da parte di associazioni di categoria quali Confindustria e Assolombarda. Queste preoccupazioni trovano fondamento in diversi fattori. Fra questi, il timore che Basilea 2 spinga le banche verso sistemi di valutazione del merito di credito delle imprese basati su sistemi meccanici e automatici, a loro volta fondati su fonti informative limitate, come i bilanci, rispetto ai quali il sistema delle imprese italiane, specie per il segmento di minori dimensioni, risulta indubbiamente debole e dunque penalizzato. In generale, si ritiene che le banche sarebbero riluttanti ad affidare le imprese più rischiose, tra cui le PMI, sottraendo loro la principale fonte di finanziamento e impedendo così investimenti essenziali alla ripresa economica. A ciò si aggiunga il timore naturale che le banche, ormai in larga parte riconducibili a pochi gruppi con elevato potere di mercato, approfittino di questa variazione normativa per giustificare politiche di pricing penalizzanti per le imprese, specie nei confronti delle imprese più piccole, dotate di minore potere contrattuale. Infine, vi è il timore che sistemi di assistenza reciproca fra le imprese di una certa area geografica, quali i confidi, possano risultare penalizzati dal meccanismo di riforma proposto dal Comitato di Basilea. Presso il mondo imprenditoriale è diffusa la sensazione che siano già in atto politiche creditizie restrittive accompagnate da un aumento del costo del debito, in particolare nei confronti delle PMI.

Sul fronte delle banche, le preoccupazioni sono molto semplici. Esse consistono nel timore che il nuovo sistema di adeguatezza patrimoniale possa condurre, specie alla luce dell’introduzione di un requisito di capitale addizionale – quello relativo al rischio operativo – a un aggravio patrimoniale che si tradurrebbe inevitabilmente in un onere che imporrebbe alle banche di ridurre il proprio volume di attività.

Per quanto riguarda, infine, gli organi di vigilanza, i quali possono considerarsi in ultima analisi i principali fautori del processo di riforma in oggetto, la principale preoccupazione va sotto il nome di prociclicità. Essa consiste nel timore che il nuovo sistema di requisiti patrimoniali relativi al rischio di credito, fondati sui sistemi di rating interni delle banche, possa accentuare le fluttuazioni del ciclo economico aggravando in particolare le fasi recessive.

Il ragionamento è relativamente semplice: quando il sistema economico attraversa una fase recessiva, le condizioni economico-finanziarie delle imprese tendono a deteriorarsi. Ne segue che un buon sistema di rating dovrebbe condurre a un generale peggioramento dei rating delle imprese finanziate o, in altri termini, a un incremento delle frequenze di downgrading e a una diminuzione degli upgrading. Se le ponderazioni per il rischio relative ai requisiti patrimoniali sono legate al rating delle controparti, ciò significa che il requisito patrimoniale complessivo cui è soggetta una banca tende ad aumentare in corrispondenza delle fasi recessive. In questo modo, la disponibilità di credito al sistema economico tende a diminuire proprio in corrispondenza delle fasi in cui essa risulta più necessaria, di fatto accentuando le fluttuazioni del ciclo economico.

In sintesi, le preoccupazioni riguardano tre aspetti principali:

· razionamento del credito e PMI;

· inasprimento dei requisiti patrimoniali;

· prociclicità.

Questi fenomeni sono fra loro collegati. È infatti evidente che un aumento dei requisiti patrimoniali indurrebbe le banche, a parità di altre condizioni, a chiedere tassi di interesse più elevati sui propri finanziamenti o, in alternativa, a contrarre il volume di credito al sistema economico. Analogamente, un sistema di adeguatezza patrimoniale prociclico condurrebbe a requisiti patrimoniali più elevati in corrispondenza delle fasi recessive e accentuerebbe così il rischio di politiche di razionamento del credito proprio nei periodi in cui l’offerta di finanziamenti bancari diviene più critica per le imprese. In generale, vale la pena di esaminare questi timori ricorrenti cercando di capire fino a che punto siano giustificati alla luce delle variazioni che l’intero progetto Basilea 2 ha subito e delle evidenze empiriche disponibili. Occorre inoltre soffermarsi a riflettere sui comportamenti che le imprese, da un lato, e le banche, dall’altro, dovrebbero adottare affinché vengano minimizzati i rischi connessi alle preoccupazioni menzionate.

Basilea 2

Prima di far questo, è utile ricordare molto sinteticamente l’architettura generale del progetto di riforma formulato dal Comitato di Basilea. Come noto, il nuovo schema di adeguatezza patrimoniale, la cui entrata in vigore è prevista per la fine del 2006, si basa su tre pilastri, considerati egualmente importanti e fra loro interdipendenti:

1. un nuovo sistema di requisiti patrimoniali;

2. un processo di supervisione da parte degli organi di vigilanza nazionali volto ad assicurare che le banche si dotino di adeguati sistemi di misurazione e controllo dei rischi e sviluppino politiche di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale;

3. un utilizzo più efficace della disciplina di mercato quale strumento che integri il lavoro delle autorità di vigilanza nel garantire la solvibilità del sistema bancario, da realizzarsi mediante un rafforzamento della trasparenza relativa alle condizioni di rischio e di patrimonializzazione delle banche.

Il Nuovo Accordo sul Capitale (NAC) prevede che il requisito patrimoniale complessivo cui è soggetta una banca non sia limitato al solo rischio di credito ma si estenda anche ai rischi di mercato e al rischio operativo. In questo senso, dunque, il denominatore del rapporto patrimoniale è pari alla somma dei rischi di credito, di mercato e operativo. Le ponderazioni per il rischio di credito vengono significativamente modificate. Il trattamento del rischio di mercato è invece rimasto invariato rispetto all’emendamento del gennaio del 1996. Infine, il requisito patrimoniale relativo al rischio operativo è stato introdotto ex novo.

Per ciò che concerne il rischio di credito, il Comitato propone due approcci. Il primo, definito standard, si fonda sull’utilizzo di rating esterni come quelli prodotti dalle agenzie di rating quali Standard & Poor’s, Moody’s e FitchIBCA, dalle agenzie per il credito all’esportazione o da altre istituzioni qualificate. Il secondo approccio apre invece la strada alla possibilità di utilizzare, previa validazione da parte delle singole autorità di vigilanza nazionali, i sistemi di rating interni sviluppati dalle stesse banche quando questi soddisfino alcuni criteri ancora da definire. L’approccio dei rating interni prevede peraltro un diverso grado di “autonomia” delle banche nella stima dei parametri rilevanti per la determinazione delle ponderazioni per il rischio e dunque per il requisito patrimoniale: minore autonomia nel caso dell’approccio foundation e maggiore autonomia in quello advanced.

Nell’approccio standard le ponderazioni per il rischio continuano a essere determinate in base alla categoria dei debitori (così come previsto dall’accordo del 1988): paesi sovrani, banche e imprese. Vi è tuttavia il ricorso alle valutazioni fornite da istituzioni “qualificate” per la valutazione esterna del credito quali, per esempio, le agenzie di rating. L’approccio basato sui rating interni può essere utilizzato solo dalle istituzioni creditizie che dimostrano di soddisfare alcuni requisiti minimi e può essere implementato in due versioni, una più semplice, il Foundation Approach, e una più complessa, l’Advanced Approach. Quest’ultimo risulta più flessibile dell’approccio base, ma può essere adottato solo se sono soddisfatti ulteriori requisiti.

Per utilizzare l’approccio dei rating interni (IRB) le banche devono soddisfare alcuni “requisiti minimi”. Poiché i requisiti sono di tipo qualitativo, le autorità di vigilanza nazionali dovranno valutarne l’osservanza per definire quali banche potranno adottare il nuovo approccio.

Le componenti fondamentali di rischio identificate dal Comitato di Basilea sono quattro:

· la probabilità di insolvenza della controparte (Probability of Default - PD);

· il tasso di perdita in caso di insolvenza (Loss Given Default - LGD);

· la somma a rischio in caso di insolvenza (Exposure at Default - EAD);

· la vita residua dell’operazione (Maturity - M).

In entrambi gli approcci le banche devono essere in grado di fornire una stima della probabilità di insolvenza associata a ciascuna delle classi di rating tra cui hanno ripartito le esposizioni di una data categoria. Nell’approccio foundation i parametri LGD, EAD e M sono forniti direttamente dalle autorità di vigilanza, mentre nell’approccio advanced è lasciata alle banche la possibilità di fornire le proprie stime su questi tre parametri (che saranno soggette a verifica e validation da parte delle autorità di vigilanza).

Una volta determinate le componenti di rischio è possibile calcolare la ponderazione di ciascuna esposizione. I pesi sono calibrati in modo da coprire sia le perdite attese sia quelle inattese e sono espressi come una funzione continua della PD, della LGD e, nell’approccio avanzato, della M, per garantire la massima flessibilità e sensibilità al rischio.

Veniamo ora alle preoccupazioni cui si accennava sopra.

Razionamento del credito e PMI

La tesi secondo la quale Basilea 2 potrebbe spingere le banche verso politiche di razionamento del credito nei confronti delle PMI, parzialmente giustificata nella prima versione del progetto di riforma formulata nel gennaio del 2001, è ormai priva di fondamento. Come noto, infatti, nell’ultima versione del NAC, resa nota nell’aprile di quest’anno, la funzione di ponderazione in base alla quale sono formulate le ponderazioni per il rischio da cui discende il requisito patrimoniale associato a ogni forma di impiego è stata sostanzialmente rivista prevedendo uno sconto significativo per le esposizioni nei confronti delle PMI, definite come quelle con fatturato inferiore a 50 milioni di euro. Lo “sconto” di capitale per le banche è tale da rendere, a parità di altre condizioni, molto meno oneroso per una banca, in termini di requisito patrimoniale, un finanziamento a una PMI rispetto a quello nei confronti di un’impresa maggiore. Tale sconto non rappresenta peraltro un “regalo” alle PMI, ma riflette piuttosto il minor grado di rischio sistematico cui sono esposte le banche quando finanziano queste imprese.

Un’analisi empirica condotta dalla Banca d’Italia ha mostrato come la nuova funzione di ponderazione proposta nell’ottobre 2002, con la correzione favorevole alle PMI, conduca a risultati, in termini di curva dei tassi di interesse attivi per classi di rischio delle imprese, più vicina di quella originariamente proposta nel gennaio 2001 alla curva implicita nei tassi attualmente praticati dalle banche italiane. In altri termini, l’introduzione di Basilea 2 non dovrebbe avere riflessi di rilievo sul costo del credito per le imprese italiane.

Vale inoltre la pena di rilevare che a livello aggregato non vi sono evidenze empiriche che supportino l’ipotesi di una razionamento del credito già in atto da parte del sistema bancario. Secondo i dati disponibili, negli ultimi anni le condizioni di accesso al credito bancario in Italia sono rimaste distese. Gli impieghi verso le imprese hanno continuato a crescere, sebbene a tassi inferiori, anche nel 2001-2002 e nel primo trimestre del 2003. Nel 2002, in particolare, il credito alle PMI è aumentato del 7,2% mentre si è ridotto dal 13,5% al 4,7% il tasso di crescita degli impieghi verso le imprese di maggiori dimensioni. Non si sono inoltre registrati segnali di razionamento né nell’evoluzione del rapporto utilizzato/accordato né nella dinamica del differenziale fra il tasso medio e il tasso minimo sui prestiti a breve termine (Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2002).

In realtà, queste evidenze relative all’intero sistema non impediscono che a livello di singole imprese siano in atto comportamenti restrittivi nella forma di una riduzione delle linee di credito o di un aumento del costo di quest’ultimo. È anzi verosimile che tali comportamenti vengano sofferti dalle imprese più rischiose, caratterizzate da condizioni economico-finanziarie peggiori. Ciò deriva in particolare dal progressivo sviluppo di sistemi di rating da parte delle banche. Questi sistemi riflettono il generale spostamento da una concezione “binomiale” del rischio di credito, secondo la quale un’impresa viene alternativamente classificata come “sana”, e dunque affidabile, oppure “cattiva”, e dunque inaffidabile, a una concezione “multinomiale”, secondo la quale esistono diversi gradi di “salute” delle imprese, ai quali corrispondono implicitamente diverse classi di rating. In questa nuova concezione, il rating assume per le banche il ruolo di una preziosa arma competitiva, che consente loro di praticare condizioni – di tasso, quantità, garanzie ecc. – differenziate per imprese caratterizzate da un differente grado di rischio. In assenza di un efficace sistema di rating, le banche vedrebbero infatti sottrarsi le imprese migliori dalle altre banche in grado di attrarre queste ultime tramite condizioni migliori.

Per quanto riguarda, infine, il problema dei confidi, è sufficiente rilevare come anche in questo caso Basilea 2 non modifichi la situazione preesistente. Ad oggi, il sistema dei requisiti patrimoniali originariamente formulato dal Comitato di Basilea nel 1988 non attribuisce alcun valore alla presenza di questi sistemi di mitigazione del rischio di credito. In questo senso, dunque, è vero che Basilea 2 non attribuisce una ponderazione per il rischio più bassa ai crediti assistiti da questo tipo di garanzie, ma è anche vero che nulla si modifica rispetto a quanto in vigore attualmente.

In conclusione, Basilea 2 non presenta di per sé caratteristiche tali da rendere giustificata la preoccupazione di un fenomeno di razionamento del credito nei confronti delle PMI. Al contrario, i primi dati disponibili resi noti dallo stesso Comitato di Basilea sulla base del questionario sottoposto a un numero elevato di banche di tutti i principali paesi del mondo sembrano offrire risultati opposti: le banche con esposizione elevata nei confronti del segmento delle PMI e del segmento retail sarebbero quelle che beneficiano maggiormente, in termini di risparmio di capitale, rispetto alle condizioni attuali. Eventuali fenomeni sperimentati di recente dalle imprese più rischiose non sono dunque imputabili a Basilea 2 ma piuttosto a una naturale evoluzione del mercato bancario.

Inasprimento dei requisiti patrimoniali

Anche questa preoccupazione appare, alla luce dei risultati dell’analisi empirica condotta sulla base dei dati forniti dalle stesse banche, infondata. Come noto, il Comitato di Basilea ha avviato una serie di indagini periodiche – denominate Quantitative Impact Study (QIS) – rivolte a stimare l’impatto del NAC sulle banche. L’ultima di queste (QIS 3), i cui risultati sono stati resi noti nel maggio di quest’anno e sono consultabili nel sito del Comitato (www.bis.org), hanno evidenziato chiaramente come l’introduzione di Basilea 2 avrebbe in generale l’effetto di lasciare inalterato, e in alcuni casi di ridurre, il requisito patrimoniale rispetto alla situazione attuale di “Basilea 1”. Le banche che risulterebbero maggiormente avvantaggiate, come evidenziato sopra, sarebbero peraltro quelle caratterizzate da una maggiore incidenza, sul proprio portafoglio, delle attività di lending nel segmento delle PMI e nel retail banking. Sono queste, infatti, le aree di attività che ricevono il trattamento più favorevole nell’ambito sia dell’approccio standard sia di quello dei rating interni.

Ancora una volta, è evidente che questi risultati generali non impediscono che vi siano banche per le quali Basilea 2 rappresenterà inevitabilmente un aggravio in termini di requisito patrimoniale. Si tratta naturalmente delle banche caratterizzate da un portafoglio di esposizioni creditizie più rischioso, ossia da un attivo di bassa qualità. Ciò è peraltro inevitabile nel momento in cui si passa da un sistema, come quello attuale, che non riflette in alcun modo il diverso merito di credito delle imprese e impone un requisito patrimoniale indifferenziato dell’8% a qualunque finanziamento a un’impresa privata, a un sistema più sensibile al rischio, che tenta di imporre requisiti più elevati a fronte di esposizioni più rischiose.

Prociclicità

La preoccupazione che Basilea 2 possa accentuare le fluttuazioni del ciclo è forse quella più fondata e condivisibile. Da questo punto di vista, è infatti indubbiamente vero che un sistema di requisiti patrimoniali basati sui rating interni tende a essere prociclico. È anche vero che qualunque sistema di adeguatezza patrimoniale, sia esso o meno fondato sui rating delle banche, è per sua natura prociclico. Numerose evidenze empiriche internazionali suggeriscono inoltre che, a livello macroeconomico, le condizioni di accesso al credito riflettono l’andamento del ciclo economico. In particolare, nelle fasi espansive del ciclo le banche aumentano considerevolmente l’esposizione verso i prenditori più rischiosi, sebbene lo spread a questi applicato non remuneri adeguatamente il maggior rischio assunto; al contrario, nelle fasi di contrazione economica decresce la quota relativa di finanziamenti bancari erogati alle imprese di minori dimensioni o alle imprese più rischiose.

Il problema della prociclicità è particolarmente sentito dagli organi di vigilanza, i quali stanno lavorando nel tentativo di introdurre meccanismi capaci di alleviarlo. Così, per esempio, la variazione apportata nell’ultima versione di Basilea 2 – che ha sensibilmente ridotto l’inclinazione della curva delle ponderazioni per il rischio per probabilità di insolvenza, di fatto riducendo la ponderazione per il rischio, e dunque il requisito patrimoniale, corrispondente a ogni classe di rating – va in questa direzione. Eventuali peggioramenti del rating connessi a deterioramenti del ciclo economico si traducono, infatti, nel caso di una curva meno inclinata, in minori aggravi di capitale per le banche. Recentemente, sono state avanzate proposte volte a introdurre sistemi di accantonamento per il rischio che possano spingere le banche ad aumentare le proprie riserve in periodi di crescita economica, in modo da utilizzare tali riserve, senza bisogno di accrescere la propria dotazione patrimoniale, nelle fasi recessive. Questi sistemi, denominati di dinamic provisioning e già sperimentati in Spagna, potrebbero consentire di alleviare ulteriormente il problema della prociclicità.

Quali conseguenze per il rapporto banca-impresa?

Per quanto le preoccupazioni che Basilea 2 possa condurre a un razionamento del credito o a un inasprimento dei requisiti patrimoniali siano infondate, non vi è dubbio che il processo di riforma presenti implicazioni rilevanti per il rapporto banca-impresa. In particolare, favorendo lo sviluppo di sistemi di rating interni, Basilea 2 spinge le banche verso sistemi più moderni e sofisticati di valutazione del merito di credito delle controparti. Le banche sono chiamate a muoversi verso una valutazione della debt capacity delle imprese, ossia della relativa capacità di generare flussi di cassa reddituali che possano rimborsare i finanziamenti richiesti. In altri termini, le banche devono essere in grado di analizzare, per ogni impresa che richiede credito, delle projections dei relativi conti economici, a loro volta fondate sulle condizioni economico-finanziarie attuali e prospettiche sia della singola impresa sia del settore in cui opera, svolgere analisi di sensitività e valutare in questo modo il grado di rischio che si assumono, senza necessariamente fondare la concessione del credito sulla presenza di garanzie: muoversi, in sostanza, da una politica di asset-based lending a una di cash-flow based lending.

Dal canto loro, le imprese italiane dovrebbero modificare i propri comportamenti in due principali direzioni. La prima è quella della trasparenza: così come Basilea 2 impone alle banche un maggior grado di disclosure, in termini di informazioni che occorre fornire al mercato relativamente al profilo di rischio della singola banca, analogamente le imprese devono comprendere l’importanza di un maggior grado di trasparenza nei confronti della propria banca. Trasparenza rispetto a cosa? Le variabili sulla base delle quali le banche assegnano il rating e determinano le condizioni di tasso sono le stesse prese in considerazione da Basilea 2: principalmente la probabilità di insolvenza (PD), che dipende essenzialmente dalle condizioni economico-finanziarie dell’impresa e del relativo settore, e la perdita in caso di insolvenza (LGD), che dipende in misura rilevante dalle garanzie. Perché le banche possano muoversi verso una politica di affidamento più moderna, volta ad analizzare la reale capacità delle imprese di generare flussi di cassa operativi, e al contempo possano presentarsi come partner capaci di offrire prodotti e servizi di valore aggiunto rispondenti alle reali esigenze delle imprese, occorre che la relazione banca-impresa sia il più possibile orientata verso un modello di fiducia reciproca e di continuo scambio di informazioni.

La seconda direzione, strettamente legata alla prima, è quella di una relazione più intensa con una singola banca di fiducia, allontanandosi in questo modo dalla logica del multiaffidamento. Questa modifica di comportamento, oltre ad agevolare il processo di valutazione del merito di credito da parte delle banche, presenta altri importanti vantaggi. Numerose evidenze empiriche hanno storicamente dimostrato che una più intensa relazione banca-impresa rende più probabile che l’impresa possa beneficiare di sostegno in caso di crisi finanziaria e garantisce una maggiore stabilità sia nel costo sia nella disponibilità di credito. Recentemente, un interessante lavoro relativo al mercato italiano ha mostrato come una più intensa relazione con una sola banca renda minore, in caso di crisi dell’impresa, la probabilità di subire una politica creditizia restrittiva, nella forma di una riduzione del credito disponibile o di una richiesta di maggiori garanzie.[1] Essa rende invece simmetricamente più probabile una politica accomodante, nella forma di una ristrutturazione del debito o della concessione di nuova liquidità, al fine di consentire il superamento della crisi.

1

Fabrizio Guelfa, Virginia Tirri, Politiche creditizie e relationship banking: alcune evidenze dal mercato bancario italiano, Banca Intesa, 2003.