E&M

2002/6

Gianfranco Piantoni

Il gioco continua

Da cinquant’anni le cassandre annunciano la fine del giocattolo calcio. Ma se il sistema è così fragile, perché l’agonia è infinita? Perché la stupidità umana non muore mai.

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Negli anni sessanta, al Casinò di Campione, in una saletta riservata sedeva al tavolo da gioco un notissimo industriale, presidente del Varese Calcio e di un’impresa all’epoca florida. Puntò una somma rilevante sul 14 e uscì il 14. Lasciò tutta la vincita sul 14 e vinse ancora. Spostò parte della vincita sul 29 e uscì il 29. Lasciò tutto il malloppo sul 29 e fece ancora centro. Drappo nero sul tavolo, gioco per quella sera finito, casinò sbancato. Non avevo ancora letto Il giocatore di Dostoevskij ma già potevo scriverlo. Ero presente all’evento. Gli chiesi: “Che cosa prova, dopo una vincita del genere?”. E lui, secco: “Lei non sa quanti ne ho lasciati qui. Questo è niente”. Secondo qualcuno, i presidenti considerano il calcio come il loro casino e il loro casinò. Giocando alla roulette consolidano il senso del rischio. L’altro divertimento, dove la loro ambizione di onnipotenza potrebbe andare in bianco, lo delegano ai calciatori, con risultati soddisfacenti visto che ne parlano un po’ tutti.

Dirottano le restanti energie sui media, che garantiscono loro una grande notorietà. Spennano gli arbitri, fanno le pulci ai loro allenatori, anticipano le formazioni. I giornalisti li intervistano con domande talmente insulse che qualsiasi risposta sembra non priva di intelligenza. Sono ben consapevoli che se escono dal giro non saranno più nessuno. Dove è finito il milanista Farina? Morto? E l’interista Pellegrini? Morto anche lui? Se ancora vivono, vagano nel regno delle ombre.

Ogni tanto, per salvare le apparenze, fanno finta di lavorare e si dilettano a inventare trucchi contabili. Le scorciatoie di bilancio sono il loro sport preferito. Hanno imparato che un conto economico in rosso può at tingere direttamente allo stato patrimoniale, gestibile a fisarmonica. Se due società sono in difficoltà, basta una telefonata. In cinque minuti imbastiscono una simpatica plusvalenza incrociata. Ti dò un gatto da 15 miliardi e tu mi vendi un cane da 15 miliardi. Però te lo pago 30, e anche tu fai altrettanto. Se poi mi accorgo che il cane che mi hai venduto mangia molto più del gatto, te lo restituisco in prestito, con l’onere di provvedere al suo mantenimento.

Il tutto ricorda una storiella simpatica che fece il giro di Internet: due sole mucche bastano per scrivere un intero trattato di sociologia politica. Socialismo: hai due vacche. Il tuo vicino ti aiuta a occupartene e tu dividi il latte con lui. Comunismo: hai due mucche. Il governo te le prende e ti fornisce il latte. Capitalismo: hai due vacche. Ne vendi una e comperi un toro per avere dei vitelli. Anarchia: hai due vacche. Lasci che si organizzino in autogestione. Mondo del calcio: hai due vacche. Ne vendi tre alla tua società quotata in borsa, beneficiando anche di un abbattimento fiscale per il possesso di quattro vacche. I diritti sulla produzione di cinque vacche vengono trasferiti da un procuratore panamense sul conto di una società dell’isola Cayman, posseduta clandestinamente da un azionista che rivende alla tua società i diritti sulla produzione del latte di sei vacche. Nei libri contabili di questa società figurano sette ruminanti, con l’opzione per l’acquisto di un ottavo animale. Nel frattempo, hai abbattuto le due vacche perché hanno il passaporto falso, hanno ingerito sostanze dopanti, sporcano e puzzano. Il gioco continua.