E&M

2002/3

Matteo Bonifacio Paolo Bouquet Davide Merigliano

Knowledge e management: sono compatibili?

I sistemi di KM non si sono mostrati all’altezza delle aspettative. Ha ancora senso parlare di KM? E, se sì, in che modo? La nostra proposta è di considerare la conoscenza una lente attraverso la quale descrivere l’organizzazione, intesa come sistema di saperi e di processi di apprendimento locali, distribuiti, e come sistema di modelli interpretativi che guidano il modo in cui le persone percepiscono e interpretano i fatti aziendali. Tipicamente, la risposta del management è di investire nella creazione di repository centralizzati capaci di rappresentare l’informazione secondo una semantica unica e condivisa. Troppo spesso questi tentativi falliscono. Presunte tassonomie oggettive sono prive di significato o, in realtà, significative solo per la comunità dei loro manutentori. Obiettivo di un sistema tecnologico di KM non deve essere il condividere un unico linguaggio o sistema categoriale aziendale, ma piuttosto facilitare la traducibilità di un linguaggio nell’altro (interoperabilità semantica) evidenziando come i diversi paradigmi aziendali evolvano nello spazio e nel tempo. Dal punto di vista del consulente, ci pare verosimile immaginare il KM come un percorso di medio-lungo periodo che vede l’azienda e il consulente lavorare insieme su più fronti, laddove il KM rappresenta la lente per la lettura dei fatti aziendali e il filo conduttore che ispira i diversi interventi di cambiamento. Da questo punto di vista, il KM tradizionalmente inteso come soluzione autonoma a un problema specifico nell’orizzonte di un progetto non ha senso.

L'ACCESSO A QUESTO CONTENUTO E' RISERVATO AGLI UTENTI ABBONATI

Sei abbonato? Esegui l'accesso oppure abbonati.