E&M

2011/3

Arrivare alla “fabbrica delle stelle” non è uno scherzo. Per andare a Hale End, il centro sportivo dove si allenano i ragazzi dagli otto ai sedici anni dell’Arsenal, si prende la metropolitana di Londra, poi un trenino e infine un taxi.

Le categorie giovanili superiori si trasferiscono sui campi dove si allena la prima squadra e crescono sotto l’occhio vigile dell’allenatore Wenger, capace di buttare un ragazzo in prima squadra senza guardare la carta d’identità.

Il settore giovanile costa 10 milioni di euro all’anno. Ma sono già 45 i giocatori cresciuti nell’Accademia dell’Arsenal che hanno giocato in Premier. Tutti i ragazzi devono vivere a non più di un’ora di distanza dallo stadio dell’Arsenal perché la società intende mantenere uno stretto contatto con le scuole dove studiano. Anche per chi prosegue nel calcio l’istruzione è oramai vitale. Figurarsi per chi non matura.

Quando si accorgono che un giovane non funziona, non lo vendono. Sanno che gli farebbero iniziare una via crucis. Gli rilasciano gratuitamente il cartellino, spiegandogli che non ha attitudini per un futuro da calciatore. Ricordo che uno di questi lo ingaggerà, a parametro zero, una squadra italiana di serie A, enfatizzando la provenienza dalla scuola Arsenal. Il poveretto giocherà una partita e finirà in tribuna. C’è ancora.

Rientriamo in Italia, dove molte scuole e squadrette promettono di preparare i ragazzini a un radioso futuro calcistico. Alcune sono affiliate anche a grandi club, ma spesso sono soltanto uno specchietto per le allodole. Vivono di mezzi propri e personaggi inguardabili proteggono i loro figli incapaci, garantendo un poco di beneficenza. Prive di disciplina, sono spesso scuole diseducative. Gelosissime. Se qualcuno contatta un loro calciatore va a finire in tribunale. Più interessanti sono le scuole che mettono al centro la crescita del ragazzo e non gli interessi di parrocchia. Sono poche, ma val la pena di cercarle.

I più illusi sono spesso i genitori. Non sanno che in tutta Italia arrivano in serie A solo trenta giovani all’anno, uno ogni dieci giorni. Certo: la fortuna può arridere a tuo figlio, ma è come vincere all’Enalotto. E dieci anni dopo, se tutto procede per il meglio, avremo un pensionato a trent’anni. Sempre si attende: dal provino alla crescita, dall’apogeo alla panchina, dai trasferimenti al fine carriera. Per impedire che nei giovanissimi un’attesa spasmodica si trasformi in una trappola mortale occorre esigere che si impegnino a scuola. Ma non basta. L’ideale è aprirli a tante curiosità e ad altre passioni. Stefano, dodici anni, si diverte giocando a calcio. Pratica nuoto, suona la chitarra, si entusiasma con il tiro a segno, frequenta un corso di scacchi. D’estate, campus di calcio e scuola di lingue a Canterbury. L’inglese servirà per tentare, tra qualche anno, il concorso all’Accademia Militare di Modena. Nulla è ossessivo quando esiste una pluralità di attese.

Alla mensa ebraica della Pasqua si usa lasciare un posto vuoto per Elia. Egli può presentarsi come un mendicante, o come il Nunzio della fine dei tempi. È importante avere, nel disegno delle proprie aspettative, una sedia vuota.